È strano svegliarsi il giorno dopo le elezioni e non trovare nessuna analisi della sconfitta della sinistra. Un po’ mi è mancata. Nessun invito a una “lunga e lucida riflessione”. E non perché il centrosinistra abbia vinto, ma perché ha perso bene. Il PD è cresciuto nei voti, AVS in proporzione ha fatto il botto, e pazienza se Fratelli d’Italia ha sfiorato il 29% e le sinistre tedesche e francesi siano crollate: qui qualcosa è cambiato. Ho provato a chiedermi cosa ci fosse di diverso rispetto alle altre tornate elettorali. Sono arrivate le analisi più dettagliate del voto, quelle che studiano la provenienza geografica degli elettori, il titolo di studio, città-contro-provincia. Qui non c’è stata una vera novità, considerando che il centrosinistra vinceva nelle grandi città anche in periodi peggiori. La fiammella di speranza l’ho trovata altrove, ovvero nei dati anagrafici. Come spiegato da un’indagine di Youtrend per SkyTg24, gli under 30 italiani hanno premiato la sinistra. È questa la piccola, grande rivoluzione: non tutto è perduto.
Nel dettaglio, il PD risulta il primo partito tra i giovani con il 18%, seguito dal Movimento Cinque Stelle con il 17% e da AVS con il 16%. In questa fascia d’età, Salvini ha preso meno voti di Calenda, fermandosi al 5%. Il richiamo nostalgico di Vannacci non ha attecchito sulle nuove generazioni, fortunatamente. Ancora più eclatante è il dato sul voto degli studenti fuorisede. Per la prima volta hanno avuto la concessione – quella che in un Paese civile dovrebbe essere un diritto – di votare senza dover rientrare nel proprio comune di residenza. Purtroppo, essendo l’Italia ancora ingolfata dalla burocrazia, ci sono stati parecchi ostacoli burocratici e non tutti hanno fatto richiesta. Di conseguenza, soltanto il 4% dei 591mila studenti fuorisede ha potuto votare. Il “permesso” è stato dato a 24mila di loro, e tra questi hanno votato in 19mila, circa l’80%. So che può sembrare un piccolo campione di rappresentanza rispetto ai grandi numeri, ma i risultati sono comunque sorprendenti. I giovani studenti fuorisede hanno infatti fatto registrare un 40% per AVS, 25% per il PD e 10% per Azione. Fratelli d’Italia è al 3%, la Lega addirittura allo 0,5%. I “cervelli in fuga” evidentemente hanno gli anticorpi contro Vannacci e i rievocatori di periodi bui della nostra Storia.
Sinceramente non mi aspettavo questi risultati. Non perché considerassi disinteressati o pigri i giovani, ma perché fino a qualche mese fa mi ponevo una semplice domanda: “Cosa può spingere un diciottenne a votare per il PD?”. Non riuscivo a trovare una risposta, e anche dopo l’arrivo di Schlein pensavo che l’impulso della nuova segretaria non fosse sufficiente, anche perché l’opposizione al governo Meloni spesso è riuscita a essere soltanto blanda. Eppure, nelle ultime settimane qualcosa è cambiato. Schlein ha deciso di fare la campagna elettorale girando tutta l’Italia, preferendo le piazze o le piccole stradine ai social. Mentre i suoi colleghi di destra facevano pasticci con l’AI su Instragram tra post imbarazzanti e immagini poco consoni ai ruoli istituzionali, la segretaria del PD ha scelto il basso profilo mediatico, cercando di riscoprire i territori “sul campo”. La strategia ha funzionato, anche perché il partito era in uno stato comatoso e fino a qualche mese fa i sondaggi lo davano sotto il 20%. Non bisogna gridare al miracolo, siamo ancora sotto il drappo nero del governo Meloni, ma i giovani hanno dimostrato di essere il punto da cui ripartire per i centrosinistra.
L’altra domanda che mi sono posto, stavolta a risultati acquisiti, è stata: “Cosa ha spinto un giovane a votare per AVS?”. Il mio campione di fuorisede ad aver votato quella lista è più che esiguo, ma ho provato a chiederlo a cinque persone sotto i 30 anni. Quattro di loro mi hanno dato la stessa risposta, dicendo di aver votato AVS per la candidatura di Ilaria Salis. La quinta per quella di Mimmo Lucano. Quindi un voto estremamente politico, persino ideologico, un senso di appartenenza che si riconduce alla lotta contro le ingiustizie e i metodi fascisti – ungheresi, ma anche la destra italiana si è più volte scagliata contro Salis e Lucano. Ho provato ad approfondire, nonostante le mie scarse abilità da sondaggista, chiedendo come fossero arrivati alla vicenda Salis, se attraverso i media tradizionali o con altri metodi. E a questo punto le risposte possono creare diversi scenari di riflessione, perché tre su cinque mi hanno detto di aver seguito la storia di Salis attraverso Zerocalcare. Gli altri due grazie ai social o alle testate online. Nessuno ha menzionato i media tradizionali, cioè televisione o carta stampata. Zerocalcare, infatti, si è recato a Budapest per seguire il processo e ha documentato tutto tramite le vignette di In fondo al pozzo, su Internazionale. Il fumettista, all’anagrafe Michele Rech, si era già occupato di battaglie sociali e civili, per esempio sostenendo in più occasioni i curdi, battendosi contro il 41bis e in generale denunciando la condizione delle carceri italiane, e tante altre vicende che grazie alla sua cassa di risonanza sono finite sotto l’occhio di bue dei social.
In effetti non fa una piega: un ventenne per sua natura cerca un punto di riferimento culturale, l’affinità di pensiero e di ideologie con personaggi del suo tempo. Lo facevano i nostri genitori ai tempi di Calvino o Pasolini, è normale che avvenga anche adesso. Solo che all’epoca c’era una maggiore vicinanza anche con il pensiero di determinati protagonisti delle stagioni politiche. Il Berlinguer di turno, per intenderci. Adesso no, e lo stesso Zerocalcare in qualche modo è il simbolo della sinistra senza rappresentanza, del millennial che fatica a riconoscersi in un partito, della disillusione che nasconde ancora un anelito di vigore quando la giusta causa lo richiede. Io credo che senza la candidatura di Salis – e in parte anche di Lucano – AVS avrebbe preso molti meno voti. Sono i numeri a dirlo: Salis ha ottenuto 176mila preferenze, Lucano 76mila. Per fare una comparazione, gli altri più votati nelle liste di AVS, ovvero i politici “tradizionali” Leoluca Orlando e Ignazio Marino, non hanno superato i 25mila voti. D’altronde un giovane di sinistra non avrebbe motivo per votare Orlando, che ha iniziato la sua carriera politica nel 1978 con la Democrazia Cristiana.
Ne ha parecchi invece per dare un segnale di protesta votando chi la politica l’ha fatta in strada. Questo a prescindere dall’opinione personale su come a Salis venga contestato di averla fatta: non tutti i suoi elettori infatti seguono il ragionamento di Christian Raimo sul fatto che “sia giusto picchiare i neonazisti”. Semplicemente volevano sostenere la vittima di un torto giudiziario, una donna che per mesi è stata in carcere in condizioni precarie per una rissa, esposta con le catene e una sorta di guinzaglio da cane in tribunale, e che tuttora è ai domiciliari. In sostanza, è stato un voto di sinistra, azione che ormai nell’ultimo decennio avevamo quasi dimenticato. Lo ammetto: io non ho votato Salis. Non la vedevo come una possibile rappresentante nelle istituzioni, ma ho compreso in pieno chi le ha dato il voto e sono felice che abbia ottenuto così tante preferenze, garantendole la libertà.
Il discorso è però più ampio e non può limitarsi ad AVS. Il 24% del PD segna inevitabilmente una discontinuità con le precedenti segreterie, soprattutto quella di Letta. È principalmente un ritorno alla consapevolezza della differenza tra noi e loro. Il noi non è per forza associato agli elettori di PD, AVS o altre forze di sinistra, è più una massa che si discosta da un loro invece nettissimo: l’estrema destra. Meloni finge di ignorarlo, ma anche il 51% che non ha votato è molto probabile che non condivida in pieno la sua azione politica, contro il pensiero di destra della discriminazione, dell’odio, dei diritti calpestati. È vero, tra gli astensionisti ci sono anche parecchi giovani, e infatti il percorso del centrosinistra è solo all’inizio e si concretizzerà solo nel caso dovesse convincere abbastanza delusi a tornare alle urne. Anche con la consapevolezza che i processi elettorali sono fluidi: il voto dei giovani di oggi non ha il timbro di fedeltà, la certezza che rimanga per sempre. Ce lo insegnano gli altri Paesi. Prendiamo la Germania: alle scorse tornate elettorali i giovani avevano contribuito al boom dei Verdi, mettendo sul tavolo il tema dell’ambientalismo. Nello stesso Paese, nel giro di pochi anni, i giovani hanno votato gli estremisti filonazisti di AfD.
È un rischio che può concretizzarsi anche in Italia, soprattutto quando si punta più sui nomi che su un progetto organico. La stessa AVS l’ha vissuto sulla sua pelle con l’effetto-Soumahoro, e se tra qualche mese la militante antifascista fosse accusata di aver lanciato una molotov contro una vetrina di un McDonald’s il loop si ripeterebbe. Dopo aver criticato pesantemente Schlein per la sua timida opposizione al governo, dal bastone si passa alla carota perché non ha puntato sui nomi, sulla candidatura a effetto, ma sui comizi nei paesini di tutta la penisola parlando di argomenti nemmeno troppo “convenienti” a livello elettorale: cambiamenti climatici e diritti per le minoranze su tutti. Però, evidentemente, hanno fatto breccia sui giovani, gli elettori che più di tutti hanno in mente il futuro e non solo il cinismo del presente, del qui e ora. È l’unico modo per dare nuova linfa al centrosinistra e uscire dalle sabbie mobili che hanno intrappolato un partito, e intere generazioni, nell’apatia politica. Adesso c’è un accenno di risveglio. Sta ai dirigenti di sinistra scegliere se perseguire questo cammino o tornare ai compromessi da manuale Cencelli, alle logiche di potere per una poltrona in più e per un misero voto di oggi che non corrisponderà al voto di domani. I ragazzi e le ragazze di sinistra “poco rappresentati” hanno bisogno di appartenenza, identità e aderenza a un progetto. Altrimenti, abbandonando i giovani, assisteremo a un altro ventennio di destra, e sarebbe imperdonabile.