Osserviamo le vite altrui senza poter migliorare la condizione della nostra. Siamo millennial. - THE VISION

Nel 1999 avevo undici anni e ricordo davvero poco di quel periodo. Solo qualche flash: l’arrivo al cinema di Matrix, il videoclip di Scar Tissue su Mtv, Sophia Loren che urla “Robertooo” agli Oscar, Andre Agassi che vince il Roland Garros rinascendo dopo il periodo della metamfetamina. Ci sono però due parole che ricordo alla perfezione: Millennium Bug. C’era il timore che i sistemi informatici di tutto il mondo, programmati con una datazione a due cifre, quindi 99 e non 1999, sarebbero “impazziti” allo scoccare dell’anno 2000, confondendolo con il 1900. Banche, centrali elettriche e nucleari, organizzazioni governative e militari, le Borse, archivi digitali: tutto sarebbe collassato causando conseguenze imprevedibili. A livello antropologico fu collegato nientemeno che al timore della fine del mondo. Qualche fanatico si costruì addirittura un proprio bunker, gruppi di persone fecero scorte di cibo e acqua per mesi o anni – negli Stati Uniti anche di armi, ovviamente. Rispetto alla storica fake news della paura dell’anno Mille, l’isteria di massa era diventata concreta. 

Alla fine non successe praticamente nulla, in quanto le principali aziende informatiche si erano mobilitate per risolvere il problema. Ci furono soltanto pochi casi isolati e bizzarri, come alcune fatture di Telecom Italia datate 1900 e centinaia di slot machine che andarono in tilt nel Delaware. I fanatici uscirono dal bunker senza trovare alcuna Apocalisse. In realtà, però, in modo più strisciante, l’avvento del terzo millennio ha dato vita sul serio a una “falla del sistema”, ma non quella che immaginavamo. L’intera generazione che avrebbe dovuto trainare le sorti del pianeta in questi ventiquattro anni, indicativamente le persone nate tra l’inizio degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, ha subito il proprio “bug”. Rispetto alle generazioni precedenti, la società ha ostacolato o precluso il loro equilibrio lavorativo, relazionale, emotivo, persino esistenziale. Una generazione fantasma, schiacciata dalla pressa del capitalismo e dalle crisi che hanno segnato gli ultimi due decenni. Si tratta del Millennial Bug, e ne stiamo ancora pagando le conseguenze.

Il bug consiste in varie condanne. La prima è quella di considerare i millennial sempre giovani anche quando non lo sono più. Un trentenne non è più una giovane promessa, non è un ragazzo: è un uomo o una donna. Se Dorian Grey aveva un ritratto in soffitta che invecchiava al suo posto, i millennial crescono mentre vengono visti dai loro padri, quelli che tuttora muovono i fili del mondo, come se fossero ancora i bambini ritratti in una foto incorniciata nel salotto di famiglia. Salotto di una casa che i nostri padri hanno potuto comprare, mentre noi no. Il millennial infatti vive in affitto spendendo buona parte del suo stipendio, spesso da precario, per una stanza di pochi metri quadri. I suoi genitori, se appartengono al fu ceto medio, hanno una colf che ogni settimana spolvera quella foto dove il millennial è ancora bambino e sorride ignaro del futuro.

Un’altra condanna, forse la più frustrante, è quella di non poter ricalcare le tappe fondamentali della vita dei propri genitori, non potendosele permettere. Un recente studio di Deloitte dal titolo 2023 Gen Z e Millennial Survey spiega quali siano le principali preoccupazioni, e il quadro delineato non è dei più confortanti. Le persone coinvolte nel progetto – in 44 Paesi, compresa l’Italia – riguardano anche la generazione successiva (Gen Z), ma le risposte dei millennial sono state più improntate sul pessimismo rispetto a quelle dei più giovani. Il 71% dei millennial intervistati in Italia, infatti, non crede alla possibilità di poter metter su famiglia, e il 73% ritiene impossibile comprare una casa di proprietà nell’immediato futuro. Inoltre il 79% dei millennial considera fondamentale la flessibilità nel lavoro, con la possibilità di lavorare da remoto e con orari di lavoro meno rigidi, dichiarandosi disposti anche a licenziarsi pur di trovare un’occupazione a misura d’essere umano. Tra le varie richieste fatte spicca quella della settimana lavorativa da quattro giorni. Per concludere lo studio, il 42% dei millennial si considera fortemente “ansioso e stressato”, e come preoccupazioni per il futuro mette ai primi posti timori legati alla propria salute mentale, ai cambiamenti climatici e ai danni all’ambiente, sui costi della vita e la disoccupazione.

Non mi sembrano né timori insensati né richieste da bamboccioni, nonostante certe narrazioni dipingano da anni questa generazione come pigra, disinteressata, incapace di afferrare il proprio futuro. Il focus deve però essere necessariamente l’assenza dei mezzi per poter raggiungere i traguardi prefissati. Il terzo millennio ha settato degli standard – economici e non solo – che si basano sui codici di generazioni passate. E noi non li possediamo. È come se il Millennial Bug avesse costretto le persone coinvolte a una reale disfunzione temporale. In qualche modo, nonostante i sistemi informatici l’abbiano impedito, non si è mai arrivati al 2000, rendendo il Novecento il secolo eterno. Tutte le dinamiche che caratterizzano la vita di un millennial sono novecentesche, ma con la tecnologia del terzo millennio. Quindi l’imperativo sociale, lo status da raggiungere, resta lo stesso dei nostri genitori: posto fisso, comprare casa, creare una famiglia. Non avendo, come detto, i mezzi per farlo, c’è un’intera generazione che si sente fuori luogo. Non si riconosce nella realtà che la circonda, c’è un senso di disorientamento e di precarietà di massa, e questo influenza i rapporti tra le persone, quelli che ormai hanno un comune denominatore: la paura.

Il concetto di coppia viene dunque distorto fino a renderlo una simulazione della coppia stessa. La virtualità dei rapporti è in aumento, e se l’amicizia resta tuttora un antidoto alla solitudine del cittadino globale, questa si instaura più per un senso di appartenenza. E, nel 2024, spesso è riconducibile alla frase: “Ah, anche tu stai di merda”. Ci si riconosce, si condividono i sogni repressi, le chimere e i traguardi che non si riescono a raggiungere, e ciò che si crea è un conforto di gruppo. L’unica consolazione dei millennial infatti è sapere di non essere soli nella battaglia che quotidianamente stanno combattendo. Sapere di essere quasi tutti “sulla stessa barca” però genera sì un collante, ma non costituisce uno strumento abbastanza efficace per ribaltare la situazione stagnante in cui ci si trova. In tal modo subentra l’impotenza di una generazione che si sente “invisibile”.

È quello che emerge dalla ricerca Oltre le generazioni. Esperienze, relazioni, lavoro, realizzata dal Centro studi di Valore D insieme all’Università degli Studi di Milano. Sono state coinvolte quattro generazioni (Baby Boomer, Gen X, Millennial e Gen Z), e ancora una volta sono stati i millennial a mostrare i tratti più legati alla disillusione. Il campione dei millennial intervistati ha dichiarato di trovare ostacoli nell’esprimere e far valere le proprie opinioni in ogni ambiente, specialmente in quello lavorativo. Il lato più svilente è stato associato ai discorsi sulla “gavetta da fare” e sull’essere considerati junior pur avendo anni di esperienza professionale. Rispetto alle altre generazioni, i millennial si sono sentiti maggiormente “esclusi e marginalizzati”.

Parlare di Millennial Bug non è un esercizio di vittimismo, ma un’esposizione dei fatti, che non cambiano nemmeno quando alcuni rari millennial raggiungono posizioni di potere. Elly Schlein è una millennial ed è arrivata a essere segretaria di uno dei partiti più importanti d’Italia, il principale di centrosinistra. A più di un anno dalla sua investitura, la sua azione però si è arenata principalmente a causa delle correnti interne al partito che hanno frenato i suoi propositi di rinnovamento. E a capo di queste correnti ci sono le stesse facce di vent’anni fa, politici che anagraficamente potrebbero essere genitori di Schlein e che continuano a dettare l’agenda del partito. E non è un fenomeno soltanto italiano. Per restare in politica, negli Stati Uniti anche Alexandria Ocasio-Cortez è una millennial, e c’era chi auspicava una sua candidatura per le elezioni di novembre. I democratici hanno preferito però puntare ancora una volta su Joe Biden, ottantunenne. Alle scorse elezioni nazionali, il PD ha inserito nelle liste elettorali soltanto quattro under 35 su centinaia di nomi. Un’altra millennial, Giuditta Pini, è stata fatta fuori per permettere di candidare Pier Ferdinando Casini, in parlamento da quarant’anni.

Alexandria Ocasio-Cortez

Il paradosso è che i principali riferimenti nella cultura pop e nella società mainstream nel 2024 sono dei millennial (che siano Taylor Swift o Chiara Ferragni nella sfera più glitterata, Amanda Gorman o Zerocalcare in quella più impegnata), ma questo non si traduce in un passaggio di consegne effettivo. Il millennial bug dunque crea dei modelli generazionali che non possono essere raggiunti, e la conseguenza spesso è l’invidia sociale, un senso di smarrimento, l’impressione di essere chiusi in una gabbia senza avere la chiave per uscirne. Nel Novecento, i moti rivoluzionari, in qualsiasi campo, venivano da figure che avevano l’età che hanno oggi i millennial. Che Guevara, Jim Morrison, Malcolm X. Lo stesso Martin Luther King quando è stato assassinato aveva meno di quarant’anni. Senza riferirci per forza a personaggi noti, il motore del secolo scorso erano i trentenni, anche solo per la forza lavoro, per l’apporto alla crescita demografica ed economica del Paese. 

Oggi i trentenni sono relegati a un ruolo d’arredamento nel tessuto sociale della nazione, osservano le vite degli altri senza poter migliorare la condizione della propria, percepiscono la piaga di un ascensore sociale bloccato, sono nella terra di mezzo tra la coda infinita dell’adolescenza e un futuro fatto di nebbia. Non sono, non siamo, protagonisti del nostro tempo. E, rispetto al 1999, non c’è nessun operatore capace di risolvere questo bug. L’errore di sistema è organico, possiamo solo notificarlo, sperare che alle generazioni successive non tocchi la nostra stessa sorte e che noi non ripetiamo gli errori di quelle precedenti, quando hanno “ammazzato i loro figli” nella culla.

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