Quello che è accaduto una settimana fa a Bruxelles ha dell’incredibile e, se solo non fosse vero, potrebbe anche essere divertente. József Szájer, eurodeputato ungherese, nella notte tra il 27 e il 28 novembre ha partecipato a un’orgia a Bruxelles con altri ventiquattro uomini, fra cui diversi diplomatici e funzionari della Commissione europea. Durante la serata alcuni agenti hanno fatto irruzione nell’appartamento dove si stava consumando il chem-sex party e durante il controllo dei documenti, Szájer ha tentato di darsi alla fuga e ferendosi a una mano. Quando la polizia lo ha raggiunto in strada, l’europarlamentare, trovato senza documenti d’identità, ha addirittura invocato l’immunità parlamentare senza successo. Dopo una perquisizione sommaria la polizia ha anche trovato una pasticca di ecstasy nel suo zaino. “Non so da dove provenga”, ha dichiarato il politico ungherese sostenendo che qualcun altro avesse infilato gli stupefacenti nella sua borsa.
Mentre la Procura della regione di Bruxelles ha aperto un’inchiesta sulla vicenda, domenica 29 novembre Szájer si è dimesso dall’Europarlamento dichiarandosi “dispiaciuto” e “profondamente pentito” per aver violato le regole anti-Covid. Due giorni dopo, a seguito delle pressioni del suo capo politico nonché premier ungherese, Viktor Orbán, che ha definito le sue azioni “inaccettabili e indifendibili”, Szájer ha lasciato anche il partito Fidesz.
Szájer era uno dei volti di punta di Fidesz, di cui è stato uno dei fondatori, e ha ricoperto anche ruoli di primo piano, come la vicepresidenza del gruppo dei Popolari europei fino alla scorsa legislatura. Entrato nel Parlamento ungherese nel 1990 e rieletto per quattro volte, Szájer è stato uno dei sostenitori più integerrimi del matrimonio tradizionale, si è sempre dichiarato ostile ai matrimoni gay (è stato fra i promotori della riforma costituzionale del 2011 che ha riconosciuto come valido in Ungheria soltanto il matrimonio fra uomo e donna) e si proclamava come paladino dei valori cristiani e della patria.
Lo scandalo che ha travolto l’ex deputato ungherese negli ultimi giorni ha però fatto emergere la terribile ipocrisia che si cela spesso dietro a queste figure di moralizzatori irreprensibili. Che gli omofobi più convinti e agguerriti possano in realtà essere segretamente attratti dagli uomini lo ha già dimostrato la scienza in diversi studi, come quello pubblicato su Psychology Today del 2011 o una ricerca apparsa nel 2012 sul Journal of Personality and Social Psychology, che dimostra come chi ha forti pregiudizi nei confronti di gay e lesbiche è molto probabile che possa nascondere tendenze omosessuali più accentuate rispetto alla media della popolazione. Questo fenomeno è anche conosciuto come “omofobia interiorizzata”, espressione che indica il disgusto per se stessi da parte degli stessi omosessuali, proprio come nel caso di Szájer. Questo atteggiamento è spesso il prodotto di una società dove sono ancora diffusi e radicati maschilismo e conservatorismo.
Szájer è stato per lungo tempo il braccio destro di Viktor Orbán, campione europeo negli ultimi anni di sovranismo, autoritarismo e xenofobia. La sua politica, che gli ha permesso di essere riconfermato alla guida del Paese per tre volte consecutive, ha al centro la lotta all’immigrazione, la riaffermazione di un’identità nazionale forte e la progressiva cancellazione dei diritti della comunità LGBTQ+. I nemici numeri uno del premier ungherese sono il filantropo George Soros, accusato di favorire e finanziare l’immigrazione clandestina, i media e la stampa (che ha trasformato in organi di propaganda governativa o che ha messo a tacere con leggi ad hoc), gli stranieri, i migranti che arrivano lungo la rotta balcanica (bloccati da un imponente muro di filo spinato lungo i confini con Serbia e Croazia) e la comunità LGBTQ+, persone trans in modo particolare. Queste ultime sono state il bersaglio di una nuova norma, approvata nel maggio 2020, che vieta loro di cambiare il genere sui propri documenti. Neanche un mese fa, inoltre il governo ungherese ha proposto un nuovo progetto di legge che vieterebbe l’adozione per le coppie dello stesso sesso. A questo si è aggiunta la richiesta di un emendamento costituzionale che imporrebbe di crescere i figli con un’interpretazione cristiana dei ruoli di genere.
Invece di occuparsi della salute dei propri cittadini, i leader sovranisti hanno utilizzato questo periodo di paralisi mondiale e di crisi per rafforzare il proprio potere, inasprire la censura e soffiare sul fuoco dell’odio verso le minoranze, compresa la comunità LGBTQ+. Nel caso dell’Ungheria si tratta di una vera e propria omofobia di Stato – come l’ha definita Più Europa in un post su Facebook – che ha come obiettivo quello di colpire interi gruppi di persone soltanto per il loro orientamento sessuale, emarginarle e privarle dei loro diritti fondamentali.
L’Ungheria di Orbán e la Polonia del primo ministro Mateusz Morawiecki e del presidente Andrzej Duda, oltre a fare ostruzionismo in sede europea per bloccare l’erogazione dei fondi del Recovery Fund se legati a un rispetto dello stato di diritto da parte dei membri Ue che ne fanno richiesta, sono unite anche nella crociata contro la comunità LGBTQ+ dei rispettivi Paesi. Entrambi i governi sono fieri difensori del principio della famiglia tradizionale, che difendono a spada tratta contro l’avanzata della “peste arcobaleno”, come è stata definita dall’arcivescovo ultra-conservatore di Cracovia Marek Jedraszewski.
Secondo il rapporto Rainbow Europe 2020 di Ilga, il dossier che ogni anno l’associazione internazionale per i diritti LGBTQ+ realizza prendendo in esame 49 Paesi europei e dell’Asia centrale, la metà degli Stati europei non ha fatto nessun progresso nell’ultimo anno nella tutela dei loro diritti. Ungheria e Polonia addirittura retrocedono, con quest’ultima che si posiziona all’ultimo posto fra i Paesi dell’Unione europea.
La battaglia contro la “teoria del gender” va alla grande anche nel Brasile di Bolsonaro, che ha proposto di creare un Family Day globale a difesa dei valori tradizionali, per la lotta al gender e all’educazione sessuale. È la Polonia, però, il Paese occidentale dove la comunità LGBTQ+ è più osteggiata e perennemente sotto attacco. A dimostrarlo è stata la campagna elettorale di Duda per le elezioni presidenziali del 12 luglio, basata in larga parte sulla presunta minaccia della comunità LGBTQ+. “Non sono persone, sono un’ideologia”, aveva detto Duda in un comizio a giugno. “Non ho visto la generazione dei miei genitori combattere il comunismo”, ha aggiunto, “solo per accettare un’ideologia che è ancora più distruttiva per l’essere umano”.
Uno degli episodi più violenti ai danni della comunità LGBTQ+ è stato il Pride di Białystok nel luglio dello scorso anno,già ribattezzato lo Stonewall polacco. In quell’occasione poche centinaia di manifestanti sono stati accerchiati da migliaia di neonazisti e gruppi di estrema destra che li hanno colpiti con pietre, bottiglie e petardi, causando decine di feriti e la denuncia da parte di Amnesty International. Białystok si trova a nord-est della Polonia, in una di quelle zone che nell’ultimo anno si sono auto-dichiarate “LGBTQ+ free zones”, ovvero territori dove vengono negati i diritti basilari alla comunità LGBTQ+. A oggi queste aree, più o meno estese, sono circa un centinaio e di fatto coprono un terzo dell’intero territorio polacco, un’area che corrisponde alla superficie dell’Ungheria. Il Parlamento e la Commissione europea hanno condannato le zone LGBTQ+-free già nel dicembre 2019, minacciando il governo polacco di tagliare i fondi europei ricevuti dal Paese, ma le violenze e gli attacchi non si sono ancora fermati.
Anche la destra conservatrice e sovranista italiana ha ormai fatti suoi gli slogan per la difesa della famiglia tradizionale e le battaglie contro l’”ideologia del gender”. Anche in questo caso gli esponenti di punta di questa crociata sono però personaggi che non rappresentano affatto quei principi e quei valori: Salvini è divorziato e ha avuto due figli da due donne diverse; Meloni è una paladina dei valori cristiani e della famiglia “naturale” eppure ne ha avuto una fuori dal matrimonio; Daniela Santanché, che oltre a essere divorziata ha anche un figlio nato da una convivenza more uxorio, ha partecipato tranquillamente a vari Family Day e al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona.
Da un sondaggio dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea emerge che sei persone omosessuali e transessuali su dieci non si sentono sicure a camminare mano nella mano per strada con i loro partner, e, se rispetto a sette anni fa le persone che hanno fatto coming out sono aumentate, passando dal 36% del 2012 a oltre il 50% del 2019, fra queste il numero di chi afferma di aver subito discriminazioni è salito dal 37% al 43%. È chiaro che questa escalation di violenze e odio nei confronti della comunità LGBTQ+ è in larga parte responsabilità della propaganda dei governi e dei partiti sovranisti e populisti di destra.
Il paradosso è che adesso uno dei promotori più convinti dell’omofobia sovranista, l’ex eurodeputato Jozsef Szájer, dopo lo scandalo che l’ha travolto, è diventato lui stesso vittima del sistema oscurantista e retrogrado che ha contribuito a instaurare in Ungheria e che vorrebbe imporre al resto dei cittadini dell’Unione europea. Forse sarà per lui una buona occasione per riflettere sul fatto che un governo che fa della repressione della libertà individuale il punto centrale della sua azione ottiene come unico risultato un Paese dominato dall’ipocrisia e dall’incoerenza. Uno Stato dove si insegna a una parte dei cittadini a odiare loro stessi per il semplice fatto di esistere.