L’ipocrisia di chi vuole la “famiglia tradizionale” per gli altri, ma non per se stesso - THE VISION

Si inaugura oggi il World Congress of Families di Verona. È singolare il fatto che si chiami congresso delle famiglie, al plurale, come se gli organizzatori e i partecipanti tenessero in considerazione tutti i tipi di nuclei familiari, quando invece viene messa sul piedistallo esclusivamente la cosiddetta famiglia tradizionale, il fulcro delle loro battaglie. Ancor più curioso il fatto che i principali sostenitori di questo concetto annacquato non abbiano una famiglia tradizionale con buona pace del ministro Fontana, che patrocina l’evento – anche se non è chiaro a che titolo.

Il vizio di forma alla base di tutto è l’acrimonia che si cela in ogni molecola del congresso. Che danno facciano le altre famiglie ai fautori di quella tradizionale non è dato sapersi. Soprattutto viene da chiedersi il motivo per cui, nel 2019, ci debba ancora essere una classificazione di famiglie di serie A e famiglie di serie B, e perché stiamo ancora qui a parlare di famiglia “naturale” quando questo concetto è stato dichiarato antiscientifico e privo di fondamento da più parti del mondo accademico. Anche però volendo accettare questa contorta logica dai tratti medievali, il risultato che viene fuori è solo l’esaltazione dell’ipocrisia. I principali politici che presenzieranno al congresso sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni, due individui parecchio distanti da quell’immagine di famiglia che vogliono rappresentare.

Salvini ha sempre palesato le sue idee sulla famiglia, dichiarando a più riprese che “C’è una mamma e un papà, e ci sono bambini, che hanno una mamma e un papà. Vediamo di riportare un po’ di buonsenso”. Sostenitore del motto “Dio, Patria, Famiglia”– utile sicuramente a strizzare l’occhio ai nostalgici del Ventennio – Salvini è riuscito nell’ardua impresa di non rappresentare, nei fatti, nessuna di quelle tre parole. In campagna elettorale ha giurato sul Vangelo, salvo poi dimenticarsi i temi dell’accoglienza cristiana di fronte agli immigrati, riuscendo a inimicarsi persino la testata Famiglia Cristiana e a farsi rifiutare l’udienza da Papa Francesco. Il suo concetto di Patria è parecchio distorto, considerando che fino a qualche anno fa non si riconosceva nel tricolore e nutriva un certo fastidio per le persone nate da Roma in giù. L’ultima parola, Famiglia, è quella più strettamente legata al congresso di Verona, ovvero il non plus ultra delle politiche retrograde. Salvini si è sposato, facendo un figlio con la moglie, poi si è separato, ha fatto una figlia con un’altra compagna, l’ha mollata ed è finito tra le braccia di Elisa Isoardi, per poi troncare anche con lei. Adesso è stato avvistato con la giovane figlia di Denis Verdini; è evidente che, per il vicepremier, il concetto di famiglia tradizionale è fluido proprio come le unioni che Salvini tanto disprezza.

Il problema non è il numero di separazioni di Salvini, i figli fatti con donne diverse o le sue peripezie sentimentali, bensì l’incoerenza dietro ogni sua parola. Così come non è possibile giudicare il vicepremier per la sua vita amorosa, allo stesso tempo lui non dovrebbe sindacare su quelle famiglie che non riesce nemmeno a prendere in considerazione. Nessuno farebbe le pulci al ministro dell’Interno se lui e i suoi vassalli non screditassero continuamente le famiglie omogenitoriali.

Ma Salvini non è il solo a rappresentare questo cortocircuito. Qualche giorno fa a Otto e mezzo, Giorgia Meloni ne è stata esempio lampante. Lilli Gruber l’ha stuzzicata proprio sull’ipocrisia della sua presenza al congresso di Verona, ricordandole la sua situazione familiare – convivenza more uxorio e figlia fuori dal matrimonio – piuttosto ambigua per la campionessa di una battaglia del genere. La leader di Fratelli d’Italia si è inalberata, invitando la conduttrice a “farsi gli affari suoi”. È ironico che il grido di tutte le famiglie non riconosciute – e anzi oltraggiate – da Meloni, Salvini e dai paladini di Verona, sia proprio lo stesso: viene chiesto solo che ognuno si faccia gli affari propri, e che tutti siano liberi di amare e di costruire la propria famiglia senza l’incubo di vedersi negati dei diritti. Un grido che, seppure Meloni utilizzi per difendere se stessa, non sembra altrettanto condiviso da chi salirà sul palco con lei, che pretende di mettere bocca sulle più intime e delicate scelte altrui: la sessualità, l’aborto, i figli, gli equilibri della vita di coppia.

D’altronde, ricordiamo ancora le città tappezzate di cartelloni raffiguranti il viso in primo piano di Meloni e la scritta Difendi la famiglia tradizionale. Suona quantomeno bizzarro, come se Trump pubblicasse su Twitter una foto con la bandiera del Messico o se Toninelli invitasse a comprare le auto elettriche dopo aver acquistato un Suv Diesel. Ah, già, questo è successo davvero.

L’impressione, per non dire certezza, è proprio che il congresso sia un inno al patriarcato, così come tutti i Family Day che si sono susseguiti negli anni. Un patriarcato che non risparmia né donne né uomini, come dimostra la presenza della stessa Giorgia Meloni, che non è di certo l’unica paladina della famiglia “naturale” – esclusivamente fuori dalle mura di casa – tra le donne della destra italiana. Il caso più eclatante riguarda Alessandra Mussolini, sostenitrice della famiglia tradizionale, più volte in prima fila al Family Day, e con a casa un marito che ha patteggiato per prostituzione minorile. Oppure Daniela Santanchè, che difende con tenacia le idee del congresso di Verona, accusando gli oppositori di vivere in una “dittatura del politicamente corretto”. La Santanchè ha dichiarato: “La famiglia non è una coppia omosessuale. A Verona si sancisce come è la famiglia naturale, cioè l’unione di un uomo e di una donna con figli eventualmente”. La stessa Santanchè che ha avuto un figlio fuori dal matrimonio e che ha detto: “La cosa più bella che possa capitare a una donna innamorata è servire il proprio uomo. Le donne devono essere madri e mogli”. Se la famiglia naturale è quella in cui la donna ha il compito di servire il proprio uomo e sfornare figli come una macchina per procreare, forse è bene starne alla larga.

Tutti questi esponenti del centrodestra con le idee un po’ confuse hanno poi un padrino d’eccezione: Silvio Berlusconi. Sostenitore della prima ora della famiglia tradizionale, il Cavaliere è probabilmente la figura più distante dai precetti del Family Day e del congresso di Verona. Due divorzi alle spalle, figli da donne diverse, stile di vita orgiastico tra bunga bunga e relazioni con ragazze che potrebbero essere sue nipoti, Berlusconi ha trasmesso ai nuovi delfini del centrodestra, in primis Salvini, la vocazione del predica bene-razzola male, il tutto per puro fine elettorale. D’altronde, è stato un fenomeno a gestire i rapporti con il mondo ecclesiastico, con Comunione e liberazione, con l’Opus Dei, aggirando le sue contorte vicende personali per intrecciare una rete di relazioni utili solo alla sua avventura politica.

Forse soltanto una persona è in grado di battere Berlusconi in fatto di ipocrisia su questo argomento: Mario Adinolfi. Fondatore nel 2016 del partito Il Popolo della Famiglia, contrario ad aborto, eutanasia, matrimoni gay e qualsiasi altro tipo di diritto da lui definito “falso mito del progresso”, è divorziato, ha figli con due donne diverse e in seconde nozze si è sposato in un hotel di Las Vegas. Passa le giornate a sputare sentenze al vetriolo sui social – spesso venendo bannato – e a puntare il dito contro chi combatte per ottenere diritti che in un paese civile sarebbero automatici. Adinolfi si è detto contrario al World Congress of Families non certo per divergenze ideologiche, ma perché secondo lui è troppo politico e poco cattolico. Ma questo è anche il Paese dove il vicepremier Di Maio tenta di smarcarsi dal congresso parlando di “destra di sfigati”, quando con gli stessi sfigati ci governa e li salva dai processi; quindi certi automatismi sono per noi ancora ignoti.

È dunque questa l’Italia del congresso di Verona, quella che giudica le famiglie altrui, senza considerarle tali, e dimentica di guardare in casa propria. L’Italia dell’arretratezza e dell’intolleranza, che non si riunisce per qualcosa, ma contro qualcuno. L’Italia della caccia alle streghe, dei roghi fuori tempo massimo, del maschilismo atavico e trasversale per genere, ceto sociale e livello d’istruzione. L’Italia che non ha niente di “naturale”, se non quella paraculaggine che infetta una parte della penisola come un morbo invisibile. Forse a molti partecipanti del congresso rode proprio questo: loro non hanno una vera famiglia, i nuclei omogenitoriali sì.

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