Martedì sera. Salvini fa jogging con cappellino e maglietta della polizia, ammiccando ai fotografi, mentre Conte e Di Maio si preparano per il Consiglio dei ministri. Nel frattempo, al Senato, l’argomento del giorno è il Decreto Genova: è in corso una votazione su un emendamento relativo al condono di Ischia. I vertici grillini sono tranquilli, la macchina della propaganda non si è inceppata quando è stato comunicato al popolo il mantra “non è un condono”. Come per la pace – che era un condono – fiscale e per il contratto di governo: mistificare, distorcere i termini attribuendogli significati diversi. Qualcuno però decide di ragionare con la propria testa. Gregorio De Falco vota contro, Paola Nugnes si astiene. Entrambi sono senatori grillini. Il Governo va sotto al Senato, ed è la prima volta in questa legislatura.
Di Maio si inalbera immediatamente, raggiunge i giornalisti e sentenzia: “È un fatto gravissimo. Purtroppo sono diverse settimane che ci arrivano segnali di dissenso da parte di senatori che hanno firmato degli impegni con il M5S e hanno sottoscritto il contratto di governo”. Poi prosegue riferendosi a De Falco e Nugnes: “Sono già sotto procedura dei probiviri. Speriamo che tutti daranno indietro i soldi da destinare agli alluvionati, stiamo per tagliare 2 milioni di euro ai parlamentari Cinque Stelle che si restituiscono con bonifico.” Con l’ultima frase ha lanciato l’esca nello stagno degli elettori-piranha, e la carne fresca da azzannare sono i due dissidenti.
Visto che il vice premier e ministro del Lavoro ha tirato in ballo il contratto di governo – quelle 58 pagine senza alcuna valenza legale – abbiamo cercato tracce del condono di Ischia nell’accordo gialloverde e nel programma elettorale del M5S. Non le abbiamo trovate.
Ma l’aspetto più comico della vicenda risiede nella conclusione il giorno successivo, mercoledì. Alla fine il condono resta grazie ai voti di Forza Italia, che si è allacciato alle posizioni di governo andando contro quell’emendamento della discordia. Tutto regolare, se non fosse che l’emendamento era stato messo in piedi proprio da Forza Italia.
Gregorio De Falco, ufficiale in congedo della Marina militare, è noto per la triste vicenda della Costa Concordia, nel quale ha tentato invano (“Torni a bordo, cazzo”) di convincere Schettino a non abbandonare la nave, diventando per molti l’emblema dell’Italia giusta. I militanti grillini hanno accolto con orgoglio l’ingresso di De Falco nel M5S, decantandone l’inflessibilità e la fierezza di fronte al dovere. Adesso viene visto come un traditore, soltanto perché sta rispettando quelli che sembravano essere gli ideali del Movimento, quelli che persistevano prima del contagio leghista. L’opportunismo grillino risiede proprio in questo cambiamento: prima lo annoveravano tra gli inscalfibili onesti, nella schiera della presunta retta via pentastellata; ora che invece vota contro un condono, da giusto fra i giusti è diventato un traditore.
I condoni sono sempre stati visti come il male assoluto dal M5S, quindi è difficile spiegare questo nuovo esercito di banderuole pronte a difendere decreti che odorano di Forza Italia, mentre chi giustamente li contrasta viene ripudiato.
De Falco ha quindi replicato alle accuse di tradimento con queste parole: “Io non sono affatto dissidente, ma coerente con le idealità del M5S. Sul condono di Ischia c’è stata una deviazione rispetto ai principi e ai fondamenti del M5S, che ho rappresentato”. Principi e fondamenti che erano ondivaghi e dispersi tra le fitte nebbie già in passato, ma in cui almeno lui credeva. Gli altri hanno abbandonato la nave, e non torneranno più a bordo.
De Falco rischia l’espulsione, mentre Nugnes potrebbe cavarsela con una sospensione. Il sistema interno del Movimento non prevede voci fuori dal coro o anche soltanto una variazione sul tema. Il pensiero unico, granitico nella sua sequenza da scandire giorno dopo giorno, partendo dalla Casaleggio Associati e giungendo ai seguaci tramite il web, ricorda giorni nefasti del passato, quando il dissenso era bandito e il passaggio da autoritarismo a dittatura scorreva veloce tra le giunture del Paese. Il Movimento dell'”uno vale uno”, del cittadino sopra ogni cosa, si sta contorcendo sotto le convulsioni del potere.
Elena Fattori, parlamentare grillina più vicina alla libertà di pensiero di De Falco che ai diktat dei piani alti, ha parlato di “terrorismo psicologico” all’interno del M5S, ringraziando De Falco e Nugnes per “Aver seguito la loro coerenza e aver pensato prima al bene dei cittadini e dell’ambiente che agli ordini di scuderia.” I probiviri stanno affilando le lame anche per lei.
Qualche giorno fa, dopo i pesanti anatemi di Di Maio e Di Battista contro i giornalisti, il capogruppo del M5S a Palermo, Ugo Forello, è intervenuto per difendere la libertà di stampa e criticare le parole ingiuriose dei suoi colleghi di partito. Dopo sole 24 ore, Forello ha acceso il computer e si è collegato su Facebook, dove ha letto di essere stato rimosso dal suo incarico. Non l’avevano nemmeno contattato direttamente per comunicarglielo. Forello avrebbe dovuto abbandonare il suo ruolo dopo la discussione sul Bilancio. Qualcuno dall’alto ha voluto anticipare i tempi, silurandolo dopo le sue parole in difesa dei giornalisti, ovvero queste semplici frasi di buonsenso: “Né puttane, né infami, è sempre errato fare di tutta l’erba un fascio e attaccare così un’intera categoria.”
Le vicende di queste settimane non rappresentano un’eccezione nel modus operandi del M5S: le epurazioni ci sono sempre state e i dissidenti sono finiti del tritacarne del web, additati come nemici del popolo. Proprio per questo i grillini hanno spinto per mettere nel contratto di governo la proposta di inserire in Costituzione il vincolo di mandato, un provvedimento di età fascista e altamente nocivo per la macchina democratica di una nazione.
E infatti oggi alcuni esponenti grillini l’hanno ripetuto.
In principio fu Pizzarotti, primo sindaco grillino di una città di un certo rilievo: Parma. L’idillio è finito quando, inserito tra gli indagati per abuso d’ufficio sulle nomine del Teatro Regio, è stato sospeso dal M5S tramite il blog di Grillo. Nel frattempo il sindaco ha inviato svariate e-mail ai vertici del Movimento, senza risposta, nel tentativo di chiarire la sua posizione. Quando poi sono state archiviate le accuse a suo carico, ha chiesto di essere riammesso nel M5S. Non avendo ricevuto una risposta nemmeno in quel caso, ha abbandonato il Movimento, si è ricandidato con una sua lista alle elezioni di Parma ed è stato rieletto. Da quel momento ha iniziato a svelare i contorti meccanismi interni al M5S, attaccando più o meno tutti i suoi esponenti e definendolo “il partito della disonestà intellettuale”. Recentemente Pizzarotti ha criticato il sistema Casaleggio, parlando di assenza di dialogo e delle mosse per reprimere nel sangue tutte le voci contrarie, dicendosi “meravigliato di come i cittadini non si rendano conto di questo e giustifichino ogni cosa.”
La Casaleggio Associati è il fulcro di tutti i discorsi degli epurati. Quando Grillo andò a parlare con Renzi, allora appena eletto Presidente del Consiglio, alcuni grillini non approvarono il comportamento del loro garante, che inscenò uno spettacolo ridondante, come se fosse un suo show teatrale. Furono cacciati. Tutti. Lorenzo Battista, uno di loro, ha spiegato così l’espulsione: “Ci dicevano che era una scelta della Casaleggio, che è il vero potere. Hanno capito che gli italiani ormai credono a qualunque cosa perché sono stanchi dei vecchi poteri, voterebbero anche Topolino, se si candidasse.” Che poi è l’effetto Waldo di Black Mirror, ovvero la leva originaria del M5S.
All’interno del Movimento è impossibile fare politica, proporre idee o contestare una linea. Chi decide di abbandonare il progetto di sua spontanea volontà viene marchiato a fuoco e accusato di aver abbandonato la nave per prendersi lo stipendio intero al gruppo misto, o per eludere la regola dei due mandati. Mara Mucci, una delle fuoriuscite, ha spiegato così la situazione: “Denunciammo che veniva preclusa la possibilità di far politica, ma la risposta del capogruppo di turno era sempre ‘Casaleggio dice questo’. Loro contano sulla manipolazione e su un livello culturale che è scemato anche a causa loro.” Lapidaria l’ex grillina Alessandra Bencini: “Chi tira le fila è la Casaleggio Associati.” Maria Mussini si dimise da senatrice proprio perché non era d’accordo con i metodi del Movimento, dichiarando: “L’esperimento di Casaleggio è stato far diventare la politica il prodotto della propria azienda.”
Giovanni Favia disse, senza giri di parole, durante un fuorionda, che “La democrazia nel M5S non esiste”. Grillo lo cacciò all’istante. Fecero la stessa fine Federica Salsi, rea di aver partecipato a Ballarò, e Marino Mastrangeli, per un’intervista a Pomeriggio 5. Mastrangeli chiese il perdono, ma Grillo lo bollò. La Salsi invece non si pentì, e rincarò la dose dichiarando: “I metodi del Movimento sono la versione digitale dell’inquisizione.” Quando alle amministrative del 2013 il M5S prese una sonora batosta, la senatrice Adele Gambaro consigliò a Grillo di “Venire in Parlamento e osservare di più. Paghiamo la sua comunicazione sbagliata.” Il consiglio non andò a buon fine, e la Gambaro venne espulsa, anche grazie ai voti della rete. Come lei, tanti nomi poco conosciuti che hanno messo piede in Parlamento hanno fiutato i meccanismi la struttura pentastellata, hanno mosso qualche critica e sono stati fatti fuori. Alcuni sono scappati da soli, prima ancora dell’epurazione.
L’alcova della democrazia diretta, degli streaming scomparsi dopo qualche sparuto tentativo, della politica a colpi di clic, non è altro che lo specchietto per le allodole in quello che raramente viene chiamato con il suo vero nome: partito-azienda. Ogni scelta è in funzione dell’interesse dei vertici, coadiuvati da soggetti che si occupano esclusivamente della comunicazione (leggasi propaganda). I Casalino di turno assumono un ruolo tanto determinante proprio perché in questa stagione politica un buon social media manager è più utile di un proposta solida. Le idee dei parlamentari non contano e, quando si discostano dal progetto dell’azienda, vengono silenziate. Così come chi le propone.
Chi non si allinea è fuori. E pazienza se a seguire i progetti iniziali sia proprio De Falco, e non Di Maio. La linea politica varia di continuo proprio perché non c’è; occorre solo eseguire gli ordini in silenzio, altrimenti le carriere politiche vengono bruciate e date in pasto ai mostri della rete. Senza pietà.
Tu chiamale se vuoi, epurazioni.