L'Emilia Romagna ci ha mostrato che il Partito del Citofono è battibile
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Il giorno dopo le elezioni regionali in Emilia Romagna, se do un’occhiata dalla finestra, questa regione continua a sembrarmi inquinata e decadente come ieri. I problemi sono ancora tutti lì esattamente dove erano sabato, e in parte si tratta di problemi che Stefano Bonaccini non risolverà, perché l’Emilia Romagna alla fine è semplicemente un pezzo d’Italia, d’Europa e di mondo.

In molte regioni del Paese, come ha dimostrato il passaggio dell’Umbria dalla status di “fortezza rossa” a feudo della Lega nell’ottobre 2019, la propaganda salviniana funziona. Questo succede nelle zone periferiche di un tessuto sociale e urbano che progressivamente si sta trasformando in una grande periferia. I centri resistono, ma sono sotto assedio: oppongono un modello, ma non riescono più a diffondere un messaggio alternativo a quello propagandato negli ultimi 30 anni da Mediaset e il suo universo mediatico di riferimento. Già prima di arrivare alle tangenziali delle città, i discorsi nei bar emiliani cominciano ad assomigliare agli stessi discorsi che si possono sentire a Varese, Viterbo o Vibo Valentia. È così che Bibbiano ha perso i contorni di placido comune in provincia di Reggio Emilia per diventare un campo di internamento dove i bambini venivano sottoposti a elettroshock da assistenti sociali esaltati.

Ma non si tratta soltanto di una gara a chi la spara più grossa – che Salvini era determinato a vincere. Nelle zone montane, in certa Bassa, nelle new town spuntate come funghi lungo le strade statali durante l’onda lunga del boom economico, Salvini vince come vince il capo indiano che chiama a raccolta i nativi messi ai margini dall’avanzata del progresso. Solo tre province della regione (Bologna, Parma e Ravenna) nel 2017 sono riuscite a riportare la loro economia ai livelli precedenti alla crisi economica del 2008. La Riviera simbolo del turismo di massa non è soltanto Rimini e Riccione, ma migliaia di pensioncine a conduzione familiare che la Croazia metterà in crisi nel giro di pochi anni.

Salvini non vince soltanto perché racconta fesserie da propaganda. In un certo senso, non è il solo che le dice. In un tessuto sociale che ha smesso da un pezzo di essere competitivo, e mese per mese assiste al suo stesso smembramento, anche chi continua a raccontarci che siamo la terra delle Ferrari, di Farinetti e di Fellini, a volte non ha la percezione di quanto si tratti di chiacchiere vuote. Modena, per esempio, era una realtà industriale quando c’erano le fonderie, e la Ferrari era poco più di una fabbrichetta – famosa in tutto il mondo, ma abbastanza marginale. Ora al posto delle fonderie c’è il museo Enzo Ferrari, che sicuramente non garantisce gli stessi posti di lavoro e i guadagni dell’industria dell’acciaio e del suo indotto. C’è un limite oltre il quale anche la narrazione delle eccellenze diventa un tormentone non molto meno tossico dell’elettroshock di Bibbiano. Oltre quel limite perché Matteo Salvini non dovrebbe vincere? Perché non dovrebbe raccontare che l’euro ci sta strangolando, che negli anni Ottanta si stava meglio e che l’immigrazione abbassa il costo del lavoro? È una visione superficiale, ma in una certa misura lo è anche quella che propone di risolvere tutto con l’auto di lusso, l’abbigliamento di lusso e la ristorazione di lusso.

Per dare un esempio della distanza tra una certa classe dirigente e la realtà del Paese, nell’autunno 2019 il sindaco di Bedonia, piccolo centro sull’Appennino parmense, ha scritto una circolare destinata ai genitori degli studenti, chiedendo per favore di non ordinare lo zaino scolastico su Amazon ma di comprarlo nell’unica  cartolibreria superstite nel paese. La reazione di una parte della stampa nazionale è incarnata dal Buongiorno di Mattia Feltri su La Stampa del 13 novembre scorso ed è riassumibile in un appello del tipo: ma come! Ai ragazzi bisogna insegnare a eccellere, a studiare, a diventare Bezos, non a combatterlo. In pratica, per molta intellighenzia e la sua classe politica di riferimento bisognerebbe insegnare ad andarsene dall’Appennino e dalle altre periferie del Paese, luoghi in cui tenere aperta una libreria è ormai un eroismo inutile.

Mattia Feltri

Di tutto aveva bisogno l’Emilia Romagna tranne che di un’altra esperienza di immobilità amministrativa come quella che sta vivendo la Sardegna dopo il trionfo della coalizione a trazione Lega nelle regionali del febbraio 2019. La maggior parte degli elettori del vecchio bacino emiliano del M5S ha deciso, di fronte a un bivio, che la direzione indicata da Salvini non era praticabile, e questo non era affatto scontato. Questa è la prova che un certo tipo di campagna elettorale non funziona sempre e ovunque. Bisogna ringraziare Salvini, proprio perché durante l’ultimo mese e mezzo ha dato il peggio di sé – per esempio martellando su Bibbiano, fino al personale “blitz antidroga” nel quartiere bolognese del Pilastro – regalando un’occasione gloriosa per dimostrare che il leader della Lega, anche nella sua versione peggiore, non è sostenibile. Non vince neanche se fa il Gabibbo, imbucandosi in qualsiasi sagra per agguantare un prodotto gastronomico e farsi un altro selfie con i suoi sostenitori, ossessionati dalla sua faccia da primo piano sui social.

Dopo Craxi, dopo Renzi, Salvini è l’ennesimo avventuriero che due o tre battaglie vinte hanno illuso di poter conquistare almeno mezza Italia: è senz’altro bello pensare che si sia dovuto fermare sul Taro. Significa che l’Emilia rossa resiste? Anche l’Emilia rossa è storytelling supportato da una classe dirigente un po’ più pratica e onesta, ma quello che vedo io dalla finestra è un pezzo d’Italia individualista e frustrato, che un candidato di centrodestra liberale, pragmatico, amico delle piccole medie imprese o di quel che ne resta lo voterebbe. Ecco, questo candidato la destra italiana non ha mai voluto proporlo. Sia Berlusconi ieri, sia Salvini oggi, si sono sempre lasciati incantare dal mito della fortezza rossa da espugnare con slogan e recriminazioni identitarie: non hanno mai pensato di proporre una vera alternativa a livello di amministrazione, forse semplicemente perché non era disponibile o credibile. Il giorno che lo sarà l’Emilia potrebbe smettere di essere rossa nel giro di poche ore. Ma è una prospettiva molto lontana. Il centrodestra che vince in questo momento è quello che la spara più grossa, come dimostra l’astro crescente di Giorgia Meloni che inizia a insidiare quello di Matteo Salvini. Le chiacchiere che producono funzionano in tv, funzionano sui social e funzionano in tante edicole e bar, ma non fanno vincere le elezioni, almeno nelle circoscrizioni tra il Taro e il Rubicone.

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