C’è una parola francese che in queste ore rimbalza sui social e nelle piazze: “soulagement”, sollievo. Fino a ieri eravamo tutti con il pallottoliere per capire quanti voti sarebbero serviti a Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella per ottenere la maggioranza assoluta. Non era scaramanzia: dopo il successo alle Europee, la conseguente scelta di Emmanuel Macron di sciogliere l’Assemblée Nationale per andare alle urne e la conferma di Le Pen al primo turno, l’Europa si apprestava a deglutire il boccone della Francia consegnata all’estrema destra, nonché a un partito strettamente legato a Vladimir Putin. Ogni pronostico è stato però ribaltato al secondo turno, con la vittoria delle sinistre confluite nel Nuovo Fronte Popolare, l’inaspettato secondo posto del blocco centrista di Macron e addirittura il terzo posto della destra lepeniana. Dunque sì, soulagement, ma non è arrivato per un atto divino. A differenza dell’Italia, in Francia tutte le forze politiche opposte al duo Le Pen-Bardella hanno fatto scudo per arginare l’ondata nera e impedirle di prendere il potere. Anche se Macron e Jean-Luc Mélenchon si detestano e nonostante le differenze di vedute all’interno della stessa gauche del Nuovo Fronte Popolare, hanno deciso di evitare il peggio creando intorno alle elezioni una sorta di clima da “salviamo la nazione, poi si vedrà”. Ha funzionato. Che le opposizioni italiane prendano appunti.
Le analogie con l’Italia sono parecchie, salvo l’esito elettorale finale. Marine Le Pen, come Giorgia Meloni, ha passato l’ultimo decennio a tentare di ripulire l’immagine del suo partito, a scrostare le patine d’estremismo del fu Front National, partito di suo padre Jean-Marie Le Pen. Front National che nacque prendendo spunto dalle ideologie e della struttura dell’MSI. Addirittura fu chiesto ad Almirante il permesso per usare la fiamma tricolore nel logo, con il colore della bandiera francese. Permesso concesso. I figli di Vichy e di Salò, estremisti francesi e italiani, tentarono in tutti i modi di arrivare al potere, senza riuscirci. Le Pen padre ha basato la sua esperienza politica sull’odio per la società multiculturale francese. Inorridito dalla presenza nella nazionale calcistica di neri figli di immigrati – tutti regolarmente cittadini francesi – fu sfidato dagli stessi calciatori dell’epoca, tra tutti Zidane e Thuram. Oggi la storia si è ripetuta, con Mbappè e colleghi a chiedere esplicitamente ai francesi di non dare il loro voto alla destra di RN.
Eppure, Marine Le Pen aveva l’obbligo di istituzionalizzarsi. Pur continuando a portare avanti politiche contro gli immigrati e ideologie di estrema destra, fu costretta a sfiduciare lo stesso padre. Jean-Marie stava infatti rovinando la strategia di rinnovamento del partito con dichiarazioni più che inappropriate. Quando nel 2015 disse che le camere a gas usate dai nazisti erano solo un “semplice dettaglio” della seconda guerra mondiale, Marine decise di espellerlo dal partito che lui stesso aveva fondato. Lui, irriducibile, nel 2017 si unì al gruppo neofascista europeo Apf, sotto la guida di Roberto Fiore. Sì, lo stesso Fiore di Forza Nuova e della condanna in primo grado a otto anni per l’assalto alla sede della Cgil. Marine cambiò anche nome al partito, oggi appunto Rassemblement National. Ma sia RN che Fratelli d’Italia sono la proiezione naturale di Front National e Movimento Sociale Italiano. Cambiano solo i paradigmi temporali, con i social usati per fingere di non essere ciò che si è, ovvero estremisti di destra. Fuori da ogni sciovinismo, bisogna ammettere che i francesi hanno affrontato con più maturità questa sfida elettorale. Difficilmente mi faccio prendere da facili entusiasmi, ma quando ieri sera si sono riversati nelle piazze intonando il coro – in italiano! – “Siamo tutti antifascisti”, quel senso di soulagement ha pervaso anche me, portandomi un barlume di speranza.
Tornando alle elezioni, viene da chiedersi come mai ci sia stato un ribaltone di tale portata. Un elemento d’influenza può essere stato l’endorsement del Cremlino, che pochi giorni fa ha lodato la “politica estera sovrana” di Le Pen parlando apertamente di una rottura con le azioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. Addirittura ieri, a urne ancora aperte, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov si è lamentato dell’alleanza dei partiti francesi contro Le Pen, dichiarando che le elezioni francesi in questo modo “non assomigliano molto alla democrazia”. Facciamo finta che queste frasi sulla democrazia non siano state pronunciate dal ministro di un governo che elimina gli oppositori politici e “convince” i cittadini a votare con i militari armati. La verità è che Le Pen è sempre stata una pedina di Mosca. Nel 2017 un’indagine condotta da Bbc, Der Spiegel, Zdf e La Repubblica portò alla luce un patto tra il Cremlino e alcuni partiti populisti e neofascisti europei, con la documentazione di una mail del Dipartimento di Politica estera del Cremlino stesso. Si parlava di una “rete informale” per favorire le politiche russe all’interno dell’UE. Il partito di Le Pen era tra quelli coinvolti, così come Lega e M5S. Non a caso tutte le forze politiche in questione votarono contro le sanzioni alla Russia e spinsero per politiche anti-Nato. Per Rassemblement National il rapporto con la Russia è ancora più ambiguo. Nel 2023 il partito fu costretto a dare spiegazioni riguardo a un finanziamento di 9,4 milioni di euro arrivato da una banca ceco-russa, con Macron a parlare di “Putin banchiere di Le Pen”. RN disse che si trattava di un prestito e che una grossa parte della somma era stata rimborsata all’azienda russa Aviazapchast. Di fatto Le Pen ha ammesso i contatti anche finanziari con il dittatore russo.
I cittadini francesi in questi mesi sono stati critici sia con Le Pen che con Macron sul versante guerra in Ucraina. Con Macron per la proposta di mandare soldati Nato a combattere al fronte – proposta rigettata praticamente in massa dagli stessi Paesi della Nato – e con Le Pen per quel servilismo verso Putin che ha portato a dire di smettere di mandare le armi agli ucraini in caso di vittoria alle elezioni. La politica estera è però solo uno dei fattori che ha spostato gli equilibri alle urne. Il punto è che Le Pen, come il padre, non ha mai accettato il multiculturalismo francese e il tessuto sociale che porta avanti la nazione anche a livello economico. Non si tratta nemmeno di immigrazione, perché furono gli stessi francesi dopo la seconda guerra mondiale a prelevare dalle ex colonie africane la loro nuova forza lavoro della seconda metà del Novecento. Serviva manodopera nelle fabbriche, ma i “nuovi francesi” furono emarginati e ghettizzati in quartieri-prigione. Il rapporto della Francia con il suo colonialismo non è mai stato del tutto risolto, e l’odio – “la haine” – dei francesi di terza o quarta generazione è figlio delle condizioni più che precarie a cui sono condannati. O diventi un calciatore milionario, o resti nel ghetto. Le Pen negli anni ha provato a trasformare il neofascismo in sovranismo, mantenendo però quella componente xenofoba che in Francia spaventa ancor di più che in Italia. Sinistra e centro hanno fatto leva sul pericolo di una tensione sociale (che sicuramente sarebbe avvenuta) al limite della guerra civile per schivare il pericolo Le Pen.
Pochi minuti dopo il successo alle elezioni, però, come da tradizione della sinistra europea, sono già partiti i primi ostacoli. Mélenchon ha chiesto a Macron di lasciarli governare, ma senza il sostegno del blocco centrista del Presidente non hanno la maggioranza. Gollisti, socialisti e altre realtà di sinistra sono tuttora in un limbo dove è incerta la governabilità e la coalizione che potrà spuntarla. Però almeno l’estrema destra è stata sconfitta. In Italia no, e soltanto dopo le europee le forze d’opposizione si sono rese conto di doversi unire per avere qualche speranza di battere Meloni. Le realtà italiane e francesi sono però diverse sia per il sistema elettorale sia per quello politico, essendo la Francia una repubblica semipresidenziale. Un eventuale secondo turno in Italia avrebbe di fatto portato il Paese a votare, come in Francia, a favore o contro un candidato. I francesi hanno scelto di non farsi governare da Le Pen e Bardella, e probabilmente anche in Italia ci sarebbero state più possibilità di un diverso esito con questa formula elettorale, non avendo Meloni la preferenza della maggioranza assoluta degli italiani, numeri alla mano. Per arrivare a questo punto, anche con la nostra legge elettorale, serve però un’unità che da noi manca. Il gruppo di Macron si è avvicinato alle sinistre, mentre i centristi italiani – come Renzi o Calenda – non sono compatti nemmeno tra loro.
Gli stessi PD e M5S faticano a presentarsi insieme anche alle semplici amministrative, e le agende politiche sono diverse su svariati temi. Forse a mancare è una coesione nazionale, l’intento di evitare una prolungata stagione di estrema destra con un moto di responsabilità collettiva. Macron e la sinistra francese sono estremamente distanti tra loro esattamente come lo sono le forze d’opposizione in Italia, eppure hanno fatto fronte comune. La lezione delle elezioni francesi non può però limitarsi a un sollievo fine a se stesso, se non si replicano le stesse modalità di resistenza per impedire ai neofascisti di guidare un Paese. Quindi siamo costretti a sentire il coro “Siamo tutti antifascisti” in Francia, mentre in Italia svetta la fiamma tricolore che i nostri cugini d’oltralpe hanno schivato. Dal tonfo di Le Pen può aprirsi una nuova breccia, e si spera che Schlein, Conte, Fratoianni, Bonelli, Renzi e Calenda diano vita a un campo di opposizione credibile nonostante l’astio che serpeggia tra loro. Bisogna ingoiare il rospo per il bene del Paese, altrimenti l’estrema destra continuerà a vincere, e l’Italia non troverà mai il suo sollievo.