Una delle frasi che sento ripetere da quando ho memoria è la seguente: “La classe politica è lo specchio del Paese”. Considerando che in Italia i politici non sono di certo percepiti come degli statisti illuminati, spesso la frase nasconde un’accezione negativa, il sottotesto lascia intendere che una massa di cialtroni abbia eletto un gruppo di cialtroni. Anche perché c’è sempre stata la tendenza a denigrare il popolo, e di solito chi lo fa non si sente parte di esso, come se si defilasse da quello che negli anni è stato definito popolino, popolo bue, plebaglia. In tal modo il popolo diventa indefinito, sono “gli altri” e non noi. E se è probabile che nel corso della storia la classe politica sia stata realmente lo specchio del Paese o che i cittadini non abbiano spiccato per lungimiranza e acutezza di pensiero, è però arrivato il momento in cui possiamo considerare la società civile superiore alla classe dirigente. E non è per forza un aspetto positivo, perché in teoria i rappresentanti dovrebbero essere le persone più qualificate, quelle più adatte ad assumersi determinate responsabilità.
Eppure, il declino politico del Paese non soltanto ha portato al potere personaggi improponibili, ma ha finalmente reso il popolino, quasi per rigetto, popolo. Lì dove i governanti mostrano lacune e arretratezze, negli ultimi anni c’è stata un’attivazione popolare attraverso i mezzi a disposizione per poter realmente cambiare le cose. In primis le raccolte firme, come quella recente per il referendum riguardo la riforma della legge sulla cittadinanza. 500mila firme ampiamente superate per ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza che servono ai cittadini non appartenenti all’Unione Europea per chiedere ufficialmente la cittadinanza italiana, un modo per uniformare la legge italiana a quella di diversi Stati UE, come tra l’altro era previsto in passato nel nostro Paese fino al 1992. I cittadini si sono mossi laddove il governo latitava, chiuso nelle sue torri esclusive e xenofobe, ignorando un’esigenza che riguarda circa 2,5 milioni di cittadini. Viene da chiedersi, a questo punto, come mai la nazione delle firme e della ricerca di più diritti sia diventata il Paese di Meloni; ma in realtà la domanda da porsi è un’altra: lo è diventata davvero?
Il dato oggettivo è che Fratelli d’Italia è stato il partito più votato alle elezioni nazionali del 2022. Sommando i voti con il resto della coalizione di centrodestra ha raggiunto il 43%, quindi nessuno sta mettendo in dubbio la vittoria elettorale e la legittimità della formazione del suo governo. Meloni, però, sbaglia quando nelle dichiarazioni, e lo fa sin dal giorno della vittoria, dichiara di avere la maggioranza degli italiani dalla sua parte. Con un tasso d’astensionismo alle stelle, il 25% del suo partito si traduce in 7 milioni e 300mila voti. Anche sommando gli altri partiti di governo, si arriva a 12 milioni su 60 milioni di abitanti, corrispondenti al 43% di chi è andato a votare. Quindi già senza contare gli astenuti (ovvero il reale partito di maggioranza del Paese) c’è il 57% che non ha votato a destra e il 75% che non ha votato Fratelli d’Italia. Eppure Meloni agisce come se non fosse la presidente di tutti gli italiani – quindi anche di chi contrasta le sue idee politiche – ma soltanto della sua fazione. La realtà è che un ipotetico referendum “Meloni sì-Meloni no” avrebbe probabilmente oggi una maggioranza schiacciante del Meloni no, anche solo riferendoci ai suoi fasti del 2022. E, visto che i cittadini non sono “il popolo bue”, il malcontento in seguito a leggi e manovre di questi due anni è salito parecchio.
Quindi no, l’Italia non si è risvegliata neofascista all’improvviso. Anche perché, flussi elettorali alla mano, gran parte dell’elettorato di Meloni proviene, andando a ritroso, da Salvini, Movimento Cinque Stelle, PD renziano e Berlusconi, ovvero il tentativo di votare la novità del momento per mischiare le carte, non una vera aderenza ideologica. Altrimenti non si spiegherebbero altre iniziative popolari di successo che sono radicalmente opposte al pensiero della destra, come le raccolte firme per i referendum su eutanasia e cannabis legale, entrambi uccisi sul nascere dalla Consulta con acrobazie legislative poco convincenti. Inoltre il popolo italiano, come spiegano i sondaggi, ha una posizione nettamente diversa da quella del governo riguardo il conflitto Israele-Palestina, schierandosi in modo deciso contro le mosse di Israele, a differenza di un esecutivo da sempre amico di Netanyahu e che continua a inviare armi a Israele. Le persone che manifestano in piazza, che raccolgono firme e che mettono in piedi iniziative contro il governo sono l’espressione di un rifiuto dell’imbarbarimento politico, dell’odio e dell’intolleranza come arieti per ottenere il potere e della repressione del dissenso per mantenerlo, nonché di una maturità che il governo – e in alcuni casi anche le opposizioni – non dimostra di avere.
In effetti è complicato collegare indissolubilmente un popolo ai suoi rappresentanti, salvo rare eccezioni. Anche nei periodi della nostra storia repubblicana in cui la vicinanza era più evidente, come durante i decenni con la Democrazia Cristiana al potere o il ventennio berlusconiano, c’è sempre stata una nota di dissonanza, un rigurgito del popolo di fronte a questioni di rilevanza superiore. Ad esempio la DC era contraria sia all’aborto sia al divorzio, e all’epoca era di gran lunga il partito più votato nel nostro Paese. Eppure i moti “dal basso” portarono ai referendum e ai conseguenti cambiamenti epocali. Idem durante i governi Berlusconi, quando l’antiberlusconismo rappresentava la vera nemesi di un periodo storico caratterizzato dal tentativo di trasformare l’Italia in una succursale della Fininvest, con un uomo solo al potere. Anche fuori dai nostri confini, spesso si fa l’errore di associare un governo alla popolazione che dovrebbe rappresentare, una nazione a un sentimento collettivo e omogeneo. Si parla di ebrei e viene in mente esclusivamente Israele, mentre vivono in netta maggioranza in altri Paesi del mondo e parecchi di loro condannano gli attacchi a Gaza e le politiche di Netanyahu. Proprio per questo criticare le azioni di Israele non ha alcun nesso con l’antisemitismo. Le eccezioni di cui parlavo sono rappresentate da alcune dittature che, attraverso manipolazioni e costrizioni di ogni tipo, hanno trasformato il proprio popolo fino a renderlo materia unica con il regime. Questo può succedere nei luoghi dove il dissenso viene fermato sul nascere, come in Corea del Nord o nella Germania nazista. Si arriva a un punto tale di coesione da sprofondare nello smarrimento e nel senso di colpa una volta crollato il regime in questione. Con la fine della seconda guerra mondiale, per esempio, ci furono suicidi di massa tra i tedeschi e fu necessario il processo di Norimberga per ripulire non soltanto l’apparato statale, ma la coscienza di un’intera nazione, anche soltanto per colpe “indirette”.
Definire dunque l’Italia “il Paese di Meloni” non è solo una forzatura, è proprio una logica fallace. E così prendersela con la massa senza volto è un esercizio d’assoluzione di certi commentatori che non riescono a capire come la società civile non sia un oggetto immobile, ma un corpo in continua evoluzione. E adesso ha raggiunto una coscienza collettiva che su temi come diritti sociali e civili si dimostra migliore della classe dirigente. Questo non vuol dire che gli elettori smetteranno di votare partiti improponibili, ma è necessario analizzarla quella massa, comprenderne la struttura e notare i moti di contrasto che spingono la corrente nella direzione opposta rispetto a quella dei governanti. Persino delle opposizioni, come detto, se anche il centrosinistra quando governava non ha legiferato su salario minimo, eutanasia, Ius soli o Ius scholae, legalizzazione delle droghe leggere. Esisterà sempre una fetta di popolazione più manipolabile, meno abile a decifrare le reali intenzioni di una fazione politica, soggetta ai populismi di ogni sorta, ma oggi faccio fatica a considerare il Parlamento lo specchio del Paese e i cittadini un popolo bue. Perché vorrebbe dire chiudere gli occhi di fronte a un dissenso che, seppur soffocato dalla propaganda di destra, esiste eccome e sta crescendo anche tra gli elettori dell’attuale governo. Il tempo dello snobismo contro “la plebe” è al suo crepuscolo, e dire che siamo governati da individui “peggiori di noi” non è più un tabù, ma una consapevolezza che progressivamente sta prendendo piede in un popolo che ha smesso di muggire.