Per la stabilità di un Paese poche prospettive sono peggiori di una pandemia che causa in media 500 morti al giorno, riempie gli ospedali e costringe lo Stato a indebitarsi fuori misura per riuscire a gestirla. Una di queste è affrontare tutto ciò con una crisi di governo in corso. Se a causarla è un politico a capo di un partito che i sondaggi danno al 2% forse abbiamo un problema. Il rottamatore seriale Matteo Renzi ieri ha svelato il suo ultimo capriccio, facendo capire che l’Italia che ha in mente non è “viva”, ma più che altro incosciente.
Dopo settimane di minacce, ultimatum sui social e ospitate televisive, Renzi è passato ai fatti: la sera del 13 gennaio si è presentato in conferenza stampa alla Camera e ha annunciato l’uscita di Italia Viva dall’esecutivo, facendo ritirare dal governo le ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti insieme al sottosegretario Ivan Scalfarotto. Ha dichiarato che le due ministre non sono dei segnaposto, parlando per interminabili minuti senza coinvolgere le dirette interessate, rimaste in silenzio ad ascoltare il suo monologo. Eppure Renzi le ha usate proprio come pedine di scambio per aumentare la sua influenza sul governo.
Conte, il Pd e il M5S non sono immuni da colpe per l’attuale situazione, se come diceva Sartre “Si è sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare”. Certamente non è stato semplice gestire una mina vagante con un potere basato sulle liste elettorali del 2018, quando Renzi era ancora all’interno del Pd, e quindi con un numero di parlamentari sufficiente per spostare gli equilibri. Il leader di Italia Viva, in quanto padre putativo dell’esecutivo Conte bis, ha avuto il coltello dalla parte del manico sin dal primo giorno, anche se ben consapevole che delle eventuali elezioni anticipate potrebbero cancellarlo dalla scena politica. Viene quindi da chiedersi il perché abbia aperto la crisi proprio in un momento così delicato per il Paese. Renzi ha provato a spiegarlo parlando di questioni tecniche (le discussioni sul Recovery Plan, sul Mes e altri punti di disaccordo con Conte) e soprattutto di “metodo”, dicendo che ha sofferto di fronte a “decreti legge che si trasformano in altri decreti legge, ai messaggi a reti unificate, alla spettacolarizzazione della liberazione dei nostri connazionali”, che hanno rappresentato “un vulnus alle regole del gioco”. La chiosa sulle motivazioni è stata riassunta con una frase che è stata più volte pronunciata in questi mesi: “Non consentiremo a nessuno di avere pieni poteri”.
Renzi ha provato ad allontanare lo scenario di una nuova elezione ribadendo che “Non si vota ora, ma nel 2023”. Il leader di Italia Viva si è poi detto disponibile a dialogare anche con la stessa maggioranza, annunciando però che non avrebbe problemi a stare all’opposizione. Senza dubbio un’idea chiara sulla propria futura collocazione politica. Una contraddizione che non dovrebbe stupire da parte di un politico che da mesi occupa tutti i salotti mediatici grazie alle sue minacce all’esecutivo e poi riesce a dichiarare che lui “non gioca con le istituzioni, perché la democrazia non è un reality show”.
Sfruttando l’assist di Matteo Renzi, ora l’intero centrodestra chiede nuove elezioni, forti di proiezioni che danno la coalizione in netto vantaggio. Adesso Salvini, Meloni e Berlusconi hanno un motivo per chiedere un ritorno alle urne e persuadere gli italiani che l’attuale governo sia il risultato di un accordo illegittimo. Senza una maggioranza in Parlamento il Conte bis non ha i numeri per governare, ma portare milioni di persone a votare durante una pandemia non è la migliore delle idee. Per questo si cercheranno soluzioni alternative, tra governi di transizione, un improbabile Conte ter o un governo tecnico.
Romano Prodi, ospite di Giovanni Floris a DiMartedì, ha fatto un ritratto azzeccato di Renzi paragonandolo a Fausto Bertinotti e descrivendolo come un personaggio che più che rottamare è intenzionato a rompere. Ha poi fatto un esempio per spiegare quanto sia inutile per il governo assecondare le sue richieste: “Se Conte dicesse di essere pronto a vestirsi da muratore e di andare subito a costruire il Ponte sullo stretto, Renzi direbbe che bisogna anche fare il Ponte per la Sardegna”. Non sono bastate infatti le modifiche al Recovery Plan, i fondi redistribuiti verso settori che Renzi chiedeva di mettere in primo piano: ci sarà sempre il cavillo fuori posto, il motivo per far saltare il banco e scontrarsi a favore di telecamere sulle divergenze. Nell’ottica renziana, il dibattito deve sempre ruotare intorno a Matteo Renzi. Il Conte bis andava bene perché nato sotto la sua supervisione; il referendum del 2016 non andava bene come dibattito costituzionale, ma andava reso un plebiscito sul presidente del Consiglio allora in carica; Gentiloni al governo era tollerato perché Renzi manteneva intatto il suo ascendente politico, come si è visto poi alla compilazione delle liste elettorali per le politiche del 2018; Enrico Letta doveva stare sereno; Bersani meritava l’esilio; l’intero centrosinistra doveva implodere e rinascere sotto la sua guida. Il risultato è che secondo un sondaggio del Corriere della Sera Renzi è oggi il politico meno amato dagli italiani.
Le reazioni alla mossa di Renzi non si sono fatte attendere. Conte, durante il Consiglio dei ministri, ha parlato di “grave responsabilità di Italia Viva nel pieno di una pandemia e di una prova durissima che il Paese sta attraversando”. Dal Pd il segretario Nicola Zingaretti ha definito la scelta di Renzi “un errore contro l’Italia”, mentre Andrea Orlando ha dichiarato che il prezzo lo pagheranno gli italiani. I più esasperati sono però gli elettori di centrosinistra.
L’imprudenza di Renzi acquisisce ancora maggiore gravità se si pensa a chi si rivolgeranno PD e 5Stelle, chi saranno i famigerati “responsabili”. Basta fare il nome di Mastella per riaccendere nella memoria i tempi in cui il trasformismo era la nota distintiva della politica italiana, quella dominata da Berlusconi e dal berlusconismo. Pensare a un governo in cui all’incompetenza manifesta dei grillini e all’immobilismo tipico del PD si affiancano personaggi a cavallo fra la prima e la seconda Repubblica, mentre siamo costretti ad affrontare una crisi senza precedenti – e che potrebbe non aver ancora mostrato il suo lato più duro – è abbastanza sconcertante. E lo stesso vale per la possibilità – molto remota – di un voto anticipato, che potrebbe consegnare il potere a quelle fazioni politiche che adesso, in piena epidemia, chiedono agli italiani di non rispettare le leggi e di riaprire i negozi – con gli ospedali di nuovo in sofferenza.
L’unica cosa che una classe politica adeguata deve fare in questo momento è proporre e attuare misure concrete ed efficaci che, anche a causa dei personalismi interni al governo, ad oggi non sono ancora arrivate. La politica ha questo compito, non quello di fermarsi ai proclami o ai sondaggi. O, ancora peggio, all’ennesima e inutile lotta tra galli.