Ho deciso che userò i vocali di Rocco Casalino come sveglia mattutina. Ho deciso che voglio svegliarmi con il suono stridulo ma perentorio della sua voce. Ho deciso di farmi svegliare da Rocco Casalino che dice “Basta, non mi stressate la vita.” Ho deciso di svegliarmi così per rinvigorire l’unica certezza che ho: non voglio essere un giornalista che riceve vocali da Rocco Casalino.
“Basta, non mi stressate la vita” è l’incipit del più recente capitolo del “Casalino furioso”, l’inquietante sfilza di audio in cui il protagonista, Rocco Casalino, portavoce del presidente del Consiglio Giuseppe Conte – che poi si potrebbe dire “voce e basta” visto che le volte che il presidente si pronuncia si contano sulle dita di una mano – bullizza il mondo.
Dopo le minacce di chiusura al Foglio, dopo il messaggio vocale contro i tecnici del Ministero dell’Economia, colpevoli di non trovare 10 miliardi di euro (dai oh, non ci vuole mica un genio, no?) è la volta di una registrazione risalente a tre giorni dopo il crollo del ponte Morandi di Genova. Sua Eminenza Casalino si lamenta con i giornalisti che lo cercano al telefono – tipo per chiedergli cose di poco conto come la posizione del premier riguardo le sparate di Toninelli e Di Maio su Autostrade e le concessioni, cose così, quisquilie. “Io pure ho diritto a farmi magari un paio di giorni, che già mi è saltato Ferragosto, Santo Stefano, San Rocco e Santo Cristo. Mi chiamate come i pazzi, cioè, datevi una calmata. Chiamate una volta, poi se mai mi mandate un messaggio e se ho qualcosa da dirvi ve la dico.”
Alla pubblicazione dell’audio da parte de Il Giornale, sono ovviamente seguiti i soliti commenti che si prodigano nell’indignazione da hashtag, impacchettata magari con un bel gioco di parole, oppure con un’affermazione perentoria, ferma, chiara e convincente. E infatti, gli esponenti dell’opposizione hanno già riempito la rete con i propri #roccovergogna, #casalinodimettiti e via dicendo. Ma dell’assoluta inutilità di questo tipo di opposizione si è già detto e scritto. La richiesta di dimissioni durerà il tempo della riposta di qualche esponente del governo, che sarà: “Avete presente il disegno di legge per abolire l’ordine dei giornalisti?”
Intanto sono arrivate le pseudo scuse dell’interessato: “Nelle mie parole non c’è mai stata la volontà di offendere le vittime di Genova,” ha detto Casalino, che però ha aggiunto il carico: “Offende, invece, l’uso strumentale che alcuni giornali stanno facendo di questa tragedia.” E come volevasi dimostrare è arrivato anche il post di Vito Crimi (ovviamente su Facebook, sia mai che rilasci una dichiarazione a mezzo stampa) sulla necessità, tutta sua, di liberalizzare la professione. Ah, quanta prevedibilità.
E così arriverà questa nuova minaccia, magari sul Blog delle Stelle, e tutto tornerà alla normalità. A quella detestabile e deprecabile normalità. Una normalità in cui il problema non è Rocco Casalino, ma il giornalismo italiano.
La polemica di oggi è tutta concentrata sulla parte di audio in cui Il Portavoce (vi prego, qualcuno faccia una serie Netflix con questo titolo, che House of Cards impallidirebbe proprio) parla delle proprie ferie, saltate a causa del crollo del ponte Morandi. Sia chiaro, è ovviamente deprecabile che l’uomo che rappresenta pubblicamente il presidente del Consiglio si permetta di parlare così. Ma davvero qualcuno si aspettava un comportamento diverso? Dopo i messaggi ai giornalisti per raccomandarsi di dar risalto all’accoglienza da star riservata ai membri del governo ai funerali di Stato di Genova – azione che gli valse i ringraziamenti del Movimento – davvero c’è ancora qualcuno che si sorprende? Dopo aver sentito la stessa persona dire “Sarà una corsa ai coltelli” parlando della volontà del governo di “Far fuori una marea di gente del Mef,” c’è ancora qualcuno che pensa di poter ottenere le dimissioni di Casalino, adesso? Va bene l’ingenuità, ma a questo punto si rasenta il patologico. In questa vicenda, l’unica cosa che lascia sbigottiti è come sia possibile che il giornalismo italiano si presti ancora a questo gioco.
Ciò che deve preoccupare maggiormente infatti è la ragione di questi audio, e cioè la volontà di ribadire una volta di più chi comanda fra la politica e chi dovrebbe fare le domande. Il portavoce del premier impartisce ordini: “Mi chiamate come i pazzi, cioè, datevi una calmata.” Per l’ennesima volta, Casalino si rivolge ai giornalisti ricordando loro chi è il capo, come si devono comportare, quando devono (e possono) disturbarlo. Si ribadisce insomma il funzionamento di quello che Luciano Capone ha chiamato il “codice Rocco”(una definizione che ritengo incredibilmente pertinente, soprattutto per il parallelismo con il codice fascista). In estrema sintesi: cari giornalisti, che siate presentatori, intervistatori, scrittori o direttori, volete avere ogni tanto il privilegio di avere sui vostri giornali o nelle vostre trasmissioni uno qualunque degli esponenti del M5S? Bene, allora scordatevi di fare domande che non siano dolci come il miele e che non siano state preventivamente concordate. Avete presente quella cosa che si chiama contraddittorio? Bravi, dimenticatevela, altrimenti non vi mando manco il cartonato del politico grillino. Ah, dimenticavo. Scordatevi qualsiasi tipo di Conferenza Stampa.
E così capita che il governo di uno dei membri del G8 annunci una manovra economica quantomeno azzardata, ma non si disponga una conferenza stampa dove i giornalisti di tutto il mondo possano chiedere spiegazioni che so, su quella cosa chiamata “coperture” per esempio.
In questo modo l’unica narrazione di cui possiamo godere è quella costruita su un balcone, qualche bandiera e un vicepremier attorniato da microfoni che servono solo da megafono. Delle domande nessuna traccia. Del giornalismo nessuna traccia.
Perché sia chiaro, un giornalismo che rinuncia alla sua principale prerogativa, quella cioè di fare domande e di pretendere risposte, non è solo inutile ma anche terribilmente pericoloso in quanto diventa mera cassa di risonanza di chi è al potere. Se il giornalismo si limita a riportare le dichiarazioni dei politici senza analizzarle, né verificarle, che differenza c’è fra un sito d’informazione e uno spazio di affissione? Se l’unico compito diventa quello di rilanciare gli hashtag più disparati, che differenza c’è fra un giornalista e l’algoritmo di un social network? Nessuna, e noi siamo esattamente a questo punto della storia.
Siamo ormai arrivati al punto in cui addirittura si sollevano dubbi sulla legittimità della pubblicazione di questi audio di Casalino. Come se questo non fosse una figura pubblica, come se non vi fosse interesse pubblico nel sapere che il portavoce del presidente del Consiglio manifesta la volontà del proprio partito di far fuori i tecnici di un ministero. Come se minacciare la chiusura di un giornale non fosse in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione, su cui si fonda la libertà d’espressione e la libertà di stampa.
Ma questa non è neanche la parte peggiore. Nella miopia generale che sembra aver afflitto l’intero Paese, e probabilmente sfiancati dagli infinti quanto del tutto inutili discorsi del ventennio berlusconiano, sembra che nessuno veda l’enorme conflitto d’interesse sotto cui sta soccombendo il mondo dell’informazione italiano. Qualche tempo fa, in un’intervista a Luigi Di Maio sul futuro dell’informazione, il ministro delle Telecomunicazioni (sì perché Luigi Di Maio è ministro del Lavoro e delle Telecomunicazioni) ha candidamente raccontato che l’informazione tradizionale era per il Movimento “Un argine che non permetteva di veicolare i nostri temi” – che, ci tengo a ricordare erano, fra gli altri, le teorie contro i vaccini.
Dice Di Maio: “Assodato che lì non c’era modo di veicolare i nostri temi, abbiamo creato un altro modello di informazione. Quello basato sulla rete. Oggi abbiamo un canale con cui quando lanciamo una campagna, per esempio quella dei vitalizi, riusciamo a battere tutto lo share dei tg e dei quotidiani ma anche dei canali generalisti delle tv nazionali.”
Ovviamente nell’intervista non c’è traccia di domande su quale sia lo scopo di questo nuovo modello d’informazione, né da chi sia gestito. E dire che sarebbe stata una bella occasione per fare un po’ di chiarezza, dal momento che questo modello è quello formato dalla galassia di siti che ricadono sotto l’egida della Casaleggio Associati, che per esempio si occupa fra gli altri anche del Blog delle Stelle, il principale organo di informazione del M5S. E Rocco Casalino è un uomo della Casaleggio Associati.
Quell’intervista sarebbe anche stata una buona occasione per chiedere se la creazione di un nuovo modello d’informazione abbia a che fare con quella volontà tutta grillina di non combattere le fake news in quanto manifestazioni della libertà d’espressione – e indovinate dove è comparso il post che sosteneva questa particolare tesi, con il titolo “Solo il Movimento 5 Stelle difende la libertà d’espressione in Rete”? Sarebbe stata un’ottima occasione, ma così non è stato. E così continua ad essere. Se l’unica cosa che sa fare l’Ordine dei Giornalisti è aprire un iter per capire “Se le dichiarazioni del giornalista professionista Casalino, il loro tenore e l’uso del linguaggio siano pertinenti, continenti e compatibili con gli articoli 2 e 11 della legge professionale n. 69 del 3 febbraio 1963,” allora davvero quest’Ordine di categoria non ha più alcun senso.
È per questo motivo che Rocco Casalino e il suo comportamento arrogante non sono il problema. In una democrazia, ciò che deve indignare e preoccupare è l’assenza di una stampa capace di fare domande e pretendere risposte. E se è il giornalismo stesso a rinunciare al suo compito, allora ha ragione Rocco: i giornalisti non servono a nient’altro se non a rispondere ai suoi ordini, perché tutto passa da lui.
E dire che quella sua voce così fastidiosa funzionerebbe così bene per dare a tutti quanti una svegliata. Soprattutto ai giornalisti.