Qualcuno spieghi a Berlusconi che il candidato Premier non era lui ma Meloni - THE VISION

Chi pensa che Silvio Berlusconi sia diventato un “vecchio rimbambito”, probabilmente negli ultimi ventotto anni ha vissuto su Marte. Magari, su questo pensiero incidono anche il suo periodo fuori dal Parlamento per via della legge Severino o il ruolo da malato immaginario per saltare i processi, ma Berlusconi, in questi giorni, sta facendo ciò che ha sempre tentato di mettere in atto dal 1994 in avanti: trasformare la politica in un’azienda personale, in una cosa sua. Le stesse persone che lo accusano di soffrire di demenza senile e di danneggiare la credibilità dell’Italia all’estero, forse hanno la memoria corta e dimenticano che già vent’anni fa eravamo la barzelletta del mondo a causa sua. Non c’è nulla di nuovo insomma nelle sue azioni: Silvio Berlusconi è sempre Silvio Berlusconi, e l’Italia non ha ancora evidentemente smaltito le scorie del berlusconismo.

Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi

Nel giro di pochi giorni, Berlusconi ha fatto di tutto per mettere in difficoltà un esecutivo non ancora nato. Psicanalizzare il Caimano, però, non è semplice, ma è innegabile la sua allergia al ruolo da gregario. È la prima volta che la destra vince le elezioni senza avere lui come forza trainante. Se nel 1994, nel 2001 e nel 2008 era proprio Berlusconi il centro della coalizione, infatti, adesso si trova per la prima volta in una posizione di subalternità. Per il maschio alfa per eccellenza, il fatto di avere un ruolo subordinato a una donna, Giorgia Meloni, è poi un’aggravante intollerabile della situazione. Ha così tentato, come alcuni si aspettavano, il colpo gobbo, non votando Ignazio La Russa al Senato – eppure, ciononostante ci ha pensato qualche furbetto all’opposizione a farlo eleggere ugualmente – per poi prodigarsi nella ricerca di ciò che in tutta la sua carriera politica e imprenditoriale è stato il suo motore: la luce dei riflettori.

Ignazio La Russa

Berlusconi non accetterà mai un ruolo ai margini, nonostante il suo partito non superi il 10% da parecchie tornate elettorali. E così, svanita la possibilità di ostacolare l’elezione di La Russa, ha voluto far sapere all’intero Paese il suo pensiero sulla futura premier. Se qualcuno crede che un uomo di spettacolo come lui non avesse previsto la “paparazzata” dei suoi appunti, in cui Meloni viene definita tra le altre cose “supponente e arrogante”, pecca senza dubbio di ingenuità. Il Cavaliere voleva mostrare quel foglio, e tutte le mosse successive sono andate nella stessa direzione, per cercare di ottenere un ruolo di rilievo ormai perduto, a costo di mettere a repentaglio la stabilità della sua stessa coalizione e del Paese. Impuntarsi su Ronzulli e Casellati, pretendendo per Forza Italia il ministero della Giustizia, rientra alla perfezione nei suoi piani, avendo sempre operato in politica seguendo l’istinto di sopravvivenza, ovvero le leggi ad personam costruite su se stesso. Avere tra le mani la Giustizia rappresenterebbe il continuum naturale della sua carriera. Resosi però conto dell’intransigenza di Meloni – che non è di certo una sventurata capitata lì per caso – ha deciso allora di tirar fuori l’arsenale pesante: Vladimir Putin.

Silvio Berlusconi e Vladimir Putin

Gli audio che sono usciti in questi giorni, ovvero le intercettazioni registrate durante l’incontro con i deputati di Forza Italia, sembrano quasi seguire un canovaccio e non un’accidentalità. Non potremo mai saperlo con certezza, ma l’impressione è che Berlusconi volesse rendere pubbliche quelle esternazioni. Farneticanti, pericolose e controproducenti in questo periodo storico. E proprio per questo scomode per Meloni. Gli occhi degli Stati Uniti e del resto d’Europa sono puntati sull’Italia, e già la scelta di La Russa al Senato e alla Camera Fontana – filoputiniano della prima ora – hanno fatto storcere più di un naso. Eppure, Meloni continuava ad affidarsi al programma elettorale della coalizione di centrodestra, invitando tutti a leggere i paragrafi legati alla politica internazionale: sostegno incondizionato all’Ucraina, posizioni fortemente atlantiste ed europeiste. Quel programma si trova anche sul sito di Forza Italia, eppure, negli audio “rubati” Berlusconi dichiara allegramente di aver riallacciato i rapporti con Putin, di essersi scambiati messaggi dolcissimi e di aver suggellato l’intesa anche con regali alcolici. Berlusconi non si è limitato a dipingere Putin come un uomo responsabile, ha anche incolpato Zelensky per la guerra in Ucraina, spiegando che se si fosse arreso sarebbe tutto finito in due settimane. Per una bizzarra legge del contrappasso, dunque, Silvio Berlusconi sembra essersi trasformato in Marco Travaglio.

Paradossalmente, infatti, Putin è diventato il punto di congiunzione tra destra e sinistra, tra berlusconiani e antiberlusconiani. Persino Alessandro Di Battista è arrivato a dar ragione a Berlusconi sulla guerra in Ucraina, e questa è la perfetta chiusura di un cerchio che rasenta i tratti dell’avanspettacolo. In realtà, però, come sappiamo, è una questione serissima, e riavvolgendo il nastro possiamo notare alcuni dettagli che in passato ci erano sfuggiti. A luglio di quest’anno, Mario Draghi firma degli accordi per la fornitura del gas con l’Algeria. Due giorni dopo, il M5S, la Lega e Forza Italia fanno cadere il governo. All’epoca si parlò di una coincidenza, perché né gli analisti politici né la comunità europea consideravano Forza Italia un partito filoputinano (a differenza degli altri due). Alla luce dei fatti odierni e degli audio di Berlusconi, però, la faccenda va quantomeno rivalutata. Adesso si può dare una diversa lettura alla riverenza di Mediaset verso il Cremlino, all’intervista senza contraddittorio a Lavrov su Rete 4 in piena guerra, così come alla presenza nei talk show di ospiti che confondevano la pace con la resa dell’Ucraina.

Alessandro Di Battista

Proviamo ora per un attimo a metterci nei panni dell’Unione Europea. In Italia sta nascendo un governo retto da una coalizione a tre teste: una di queste, la Lega, ha tutt’ora un accordo politico con Russia Unita; il leader di Forza Italia spende parole al miele con Putin e parla di regalini mentre quest’ultimo rade al suolo l’Ucraina. La preoccupazione è lecita, e l’immagine del nostro Paese non ne esce di certo immacolata, ma irresponsabile, instabile e un po’ più che ambigua. Giorgia Meloni ha tentato di mettere una pezza attraverso un post sui social, dichiarando: “Intendo guidare un governo con una linea di politica estera chiara e inequivocabile. L’Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell’Europa e dell’Alleanza atlantica. Chi non fosse d’accordo con questo caposaldo non potrà far parte del Governo, a costo di non fare il Governo”. Eppure, la stessa elezione di Lorenzo Fontana alla Camera, fortemente voluta da Fratelli d’Italia, stona con il post perentorio di ieri. Un messaggio certamente deciso, ma Meloni stessa rientra in quel pensiero ondivago plasmato sul salto di palo in frasca a seconda degli umori organici del suo elettorato. Per anni, infatti, ha combattuto contro Bruxelles e ancora fino a qualche giorno fa lanciava messaggi affettuosi alla Polonia, nazione che insieme all’Ungheria a livello di diritti e scelte politiche rappresenta un corpo estraneo nell’Unione Europea. Sa però che per far nascere il suo governo deve necessariamente ammorbidire Berlusconi, o tagliare senza fronzoli il nodo gordiano. Perché, per esempio, mettere Tajani alla Farnesina sarebbe un messaggio non troppo rassicurante per l’establishment internazionale, considerando le ultime uscite di Berlusconi, e quindi di Forza Italia. Sapevamo i rischi di avere una destra del genere al potere, ma qui si sta superando la più fosca delle previsioni: l’Italia si ritrova in difficoltà prima ancora che il nuovo governo si sia insediato e, in un periodo di crisi globale del genere, non possiamo assolutamente permettercelo.

Antonio Tajani

Meloni si definisce “non ricattabile” di fronte alle pretese di Berlusconi, ma non possiamo rimuovere ventotto anni di stratagemmi usati dal Caimano per dettare la sua linea, a qualunque costo. Stiamo parlando di un soggetto coinvolto in una compravendita di senatori, nonché di un condannato in via definitiva per frode fiscale, quindi non possiamo lasciarci sopraffare dallo stupore. A qualunque età – anche se con una parlantina meno fluida rispetto al passato o raccontando le barzellette su TikTok – Berlusconi sembra essere sempre in grado di rompere gli schemi per far prevalere la sua concezione di politica, ovvero l’egopolitica. Se Meloni non dovesse piegarsi ad alcune concessioni – sui ministeri e su altre posizioni di comando – Berlusconi probabilmente riuscirebbe a scatenare una potenza di fuoco talmente efficace da posizionarlo come la più credibile figura d’opposizione al governo della sua stessa coalizione. È ciò che stiamo vedendo in questi giorni: con poche mosse, infatti, Berlusconi ha messo più in difficoltà Meloni di quanto abbiano fatto Letta, Conte o Calenda in mesi interi di campagna elettorale. Se pensiamo che siano sparate estemporanee o deliri dettati dall’età, allora rassegniamoci: i veri rincoglioniti siamo noi.

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