Quando Elly Schlein è stata eletta segretaria del Partito Democratico in molti temevamo che ci si adagiasse sul nome nuovo, sull’effetto bandierina, dimenticando le fratture che da anni il centrosinistra si porta dentro. Il primo periodo è stato segnato da una risalita nei sondaggi, con i media a parlare di “effetto Schlein” e a rimarcare le prime crepe della luna di miele tra il governo Meloni e la popolazione. Da quel momento in poi, però, la spinta della nuova segretaria e la curiosità iniziale si sono diluite, avviandosi quasi a un’istituzionalizzazione programmatica in antitesi con gli impeti che l’avevano portata all’ascesa. Con l’arrivo delle elezioni amministrative, il PD si è presentato con le stesse modalità di un tempo – principalmente uno scollamento comunicativo con i cittadini – contando di invertire il trend solo attraverso la figura messianica al vertice. Così non è stato, e come risultato è arrivata una batosta da Nord a Sud.
Se al primo turno il centrosinistra era riuscito a vincere tra i capoluoghi soltanto a Brescia e Teramo, ai ballottaggi è andata anche peggio: vittoria solo a Vicenza, dove il neoeletto Giacomo Possamai in campagna elettorale aveva chiesto esplicitamente a Schlein di non presentarsi. È stata inoltre persa la roccaforte Ancona e la débâcle ha coinvolto ancora gran parte della Toscana, storica regione rossa. La sensazione è che Schlein non si sia nemmeno interessata più di tanto a questa tornata elettorale, lasciando le candidature ai giochi di potere delle classi dirigenti locali e sostanzialmente disertando le piazze, mentre Meloni e il centrodestra si sono mobilitati in prima persona. Mancano ancora i risultati dei prossimi ballottaggi in Sicilia, dove però la destra è in netto vantaggio ovunque e ha già conquistato in scioltezza diversi comuni al primo turno. Tra questi la mia città, Catania, dove il neosindaco Enrico Trantino, figlio dello storico avvocato di Marcello Dell’Utri, ha deciso di festeggiare la vittoria mostrando sui social una foto dove è ritratto bambino sotto la fiamma del MSI durante un comizio del padre, per poi parlare di strade da militarizzare come priorità per la città. Considerando che Catania è la città dove è nata l’attuale alleanza del centrodestra, ai tempi del patto dell’arancino, e che Meloni si è attivata con slancio presentandosi al comizio finale, direi che parlare dell’avanzata di un’onda nera non sia un termine troppo iperbolico.
La giustificazione di Schlein durante la sua prima analisi della sconfitta è stata proprio questa: soffia il vento della destra. Per carità, è vero ed è un fenomeno riscontrabile anche fuori dal nostro Paese, visto che negli ultimi mesi anche Svezia e Finlandia sono passate alla destra e attualmente in Spagna la sinistra è in crisi nera, con Pedro Sanchez costretto a convocare le elezioni anticipate. Schlein ha detto anche che “non si vince da soli” e che serve un campo allargato. Durante queste amministrative è però mancata un’identità anche in fatto di alleanze. Non c’è stata infatti una linea comune: il PD in alcuni comuni si è presentato da solo, in altri insieme a liste civiche, a centristi o al M5S, che per sua tradizione non ha mai avuto una forte presenza territoriale, nemmeno nel suo periodo d’oro. C’è anche da dire che non è possibile pretendere da Schlein la bacchetta magica, perché le rivoluzioni hanno bisogno di tempo. Lei stessa ha spiegato di essere segretaria da troppo poco tempo, spingendo sulla narrazione della costruzione dal basso, mattoncino dopo mattoncino. Anche qui nulla da obiettare, e non si può certo crocifiggere una figura che si è appena insediata. Ci sono però degli appunti da fare alla neosegretaria ed è necessario partire dalla tragedia che sta vivendo l’Emilia Romagna per capire l’origine degli errori.
Personalmente credo che a Schlein sia mancata quella dose di coraggio necessaria di fronte a un dramma del genere. L’impressione è che per quieto vivere abbia ceduto a logiche di partito, ammorbidendo le invettive a tema ambientale per non ostacolare Bonaccini nella nomina a commissario per l’emergenza e la ricostruzione. Invece bisognava martellare di più sugli argomenti su cui la stessa Schlein ha basato la sua ascesa. Troppo silenzio quando certi media e negazionisti da tastiera hanno derubricato il dramma a un maltempo qualunque, o quando Salvini (e non solo) hanno sviato l’attenzione concentrandosi sugli attivisti per l’ambiente, classificandoli addirittura come criminali. Bisognava far capire cosa causeranno in futuro – ma anche nell’imminente presente – il cambiamento climatico e i danni che stiamo arrecando al pianeta, ovvero tante altre sciagure del genere, e che continuare a far finta di niente sia deleterio perché non abbiamo più tempo. Schlein si è limitata invece a frasi di circostanza, corrette ma poco incisive, forse volutamente annacquate. Serviva anche a livello d’immagine un gesto forte: lei a spalare il fango e in prima fila negli aiuti. Qualcuno avrebbe parlato di populismo, è vero, ma Schlein ha impostato dagli esordi la sua carriera politica su questi temi, quindi sarebbe stata coerente anche a favore di telecamere, al contrario dei destrorsi che si presentano in Emilia Romagna per fare passerella e poi continuano a ignorare gli allarmi sull’ambiente che risuonano minacciosi da anni. Le scene di Bonaccini perfettamente a suo agio accanto a Meloni, quasi a elemosinare un ruolo, non mi sono piaciute e credo che l’effetto straniante l’abbia avvertito l’intero elettorato di sinistra, che si aspettava dal nuovo corso una risposta più veemente.
Un altro segnale di debolezza è stata l’impotenza di fronte a quella che è a tutti gli effetti un’occupazione della destra del servizio pubblico. Come reazione alla cannibalizzazione della RAI mi attendevo una Schlein con il coltello tra i denti, ma così non è stato. Anche in questo caso ci sono state le parole di protesta, ma troppo blande rispetto alle promesse di quando era candidata alle primarie. Schlein è stata premiata proprio per dare uno scossone a un partito ormai morente, per rappresentare l’antagonista di Meloni su ogni fronte. L’opposizione dura e intransigente però non c’è stata; non nei fatti almeno. Abbiamo assistito alle versioni 2.0 dell’editto bulgaro berlusconiano, con Fazio e Littizzetto accompagnati alla porta e Annunziata che ha scelto di dimettersi per non lavorare in un ambiente ostile. Il rischio di una Schlein succube delle correnti e costretta a compromessi di ogni tipo è esattamente ciò che gli elettori di centrosinistra volevano evitare. La rinascita doveva passare da un rinnovo della vecchia classe dirigente, non da un’accondiscendenza della nuova per cercare di tenere insieme tutti i pezzi, se stiamo parlando di una struttura ormai fatiscente che andava ristrutturata dalle fondamenta.
Ancora una volta stiamo assistendo a errori di comunicazione, a una distanza tra il partito e i papabili elettori che non riesce a essere colmata. Non è un periodo storico semplice: di solito quando il ceto medio vacilla – e dopo una pandemia, una guerra e la crisi economica è quello che sta succedendo – ci si aggrappa ai conservatori e al pugno di ferro di un leader più che alla progettualità a lungo termine. Dunque Meloni trova terreno fertile in quelle classi sociali che paradossalmente con i suoi decreti sta ulteriormente impoverendo, mentre il PD non riesce a intercettare il malcontento perché non conosce più il linguaggio della popolazione, i codici d’adesione che avvicinano un cittadino a un suo rappresentante. Schlein è stata scelta per svecchiare il partito anche nella comunicazione, eliminando quel sentore di elitarismo che da troppi anni il centrosinistra non riesce a scrostarsi di dosso. Grazie anche a una propaganda denigratoria perpetrata dalla destra, ora Schlein passa come la paladina delle battaglie inutili. Sì, perché per la destra combattere per le minoranze non è una priorità, e questo morbo a quanto pare sta contagiando anche chi un tempo battagliava con loro.
Alle sacrosante battaglie civili, che comunque Schlein sta affrontando con un’insolita timidezza, vanno aggiunte anche quelle sociali. E lì casca l’asino. Sul Decreto Lavoro del governo Meloni, infatti, non è riuscita a spiegare in modo chiaro alle fasce coinvolte che si tratta di un inno alla precarizzazione, e che riguarda direttamente il loro futuro. Sono errori di comunicazione che potevamo aspettarci dai dinosauri della politica, dal PD versione Internet Explorer a cui eravamo abituati, non da una nuova leva che dovrebbe traghettare il centrosinistra nel terzo millennio, pur portandosi dietro i residuati bellici della Seconda Repubblica (qualcuno pure della Prima) che non vogliono abbandonare la nave.
È sbagliato addossare a Schlein tutte le colpe; è evidente come ci sia una corresponsabilità dettata dalle troppe anime che stazionano nel partito. E lei deve accontentarle tutte. Non può fare uno sgarbo a Bonaccini, non può tirare la corda troppo a sinistra altrimenti fuggono i moderati – come avvenuto con Cottarelli o altri – e troppo al centro per non perdere credibilità come figura progressista. È un funambolismo difficile da affrontare, e d’altronde essere a capo della segreteria del PD è uno dei mestieri più ardui, probabilmente un’impresa a perdere. Bisogna però provarci, ritrovare lo spirito delle primarie e dare una speranza agli astensionisti, a quei cittadini che hanno ormai perso la fiducia e non si presentano al voto neanche per arginare le forze neofasciste. Per farlo serve una rottura degli schemi, una terapia d’urto, a costo di perdere l’appoggio di nomi rilevanti. Schlein deve conquistare i cittadini, non i capoccia del suo partito. Anche perché adesso è lei al vertice, e se vuole essere efficace come anti-Meloni deve imporre la sua ricetta, che deve essere scritta con una grafia comprensibile, perché altrimenti ci sarà sempre qualcuno in grado di farsi capire meglio di lei scrivendo in stampatello maiuscolo delle bugie alle quali è facile credere.