A noi vecchi amanti del cinema non rimane che il gusto per la noia. Ci siamo ritrovati catapultati in un futuro che mai avremmo immaginato – quello della serialità televisiva onnivora, che fagocita e digerisce qualsiasi genere narrativo, lasciando il cinema indietro, smarrito. Tutti quelli che conosco seguono almeno un paio di serie tv contemporaneamente, il vero feuilleton del terzo millennio. La televisione stessa, Rai in primis, sta finalmente facendo i conti con la disaffezione degli spettatori alla modalità di fruizione classica dei contenuti. In questo futuro si vuole il binge watching, si vuole la serialità anche quando non è necessaria – vedi le tante nuove serie tv che avrebbero potuto tranquillamente essere film, come The end of the fucking world.
In questo futuro in cui ci tocca vivere, capita di incontrare prodotti come The Terror, che rimettono persone come me in pace col mondo e con loro stessi. È normale che in un panorama dove tutto è serializzato e dove le serie sono argomento di discussione nelle saune delle palestre di provincia, che i broadcaster si permettano di ritagliarsi spazi di sperimentazione, in cui produrre serie con ritmi indigeribili e su argomenti che non suscitano, o non dovrebbero suscitare, interesse in quasi nessuno.
The Terror è una serie evento di dieci episodi prodotta, tra gli altri, da Ridley Scott e dalla sua Scottfree per AMC. La serie, tratta dal romanzo omonimo di Dan Simmons, offre direttamente allo spettatore tutta la trama con un semplice cartello iniziale in font bianco su sfondo nero: nel 1846 due delle navi più tecnologicamente avanzate dell’epoca, la HMS Erebus e la HMS Terror, sono partite per cercare il famoso passaggio a nord nell’Artico e non sono mai tornate. Sono letteralmente scomparse, ci dice la didascalia. Oggi sappiamo che non è vero, perché le due navi sono state ritrovate, rispettivamente nel 2014 e nel 2016, ma questo Dan Simmons, quando scrisse il libro nel 2007, non poteva saperlo e credo che ad Amc non interessasse più di tanto. La serie, infatti, è ispirata a fatti realmente accaduti: le due navi sono realmente partite alla ricerca di quel passaggio, ma sui motivi della loro scomparsa le menti di Simmons prima e di David Kajganich, lo showrunner, poi, hanno spaziato libere, costruendo una trama che avvicina The Thing di John Carpenter a Master and Commander di Peter Weir, con un pizzico di Alien di Ridley Scott.
Le prime cinque puntate della serie sono visibili in Italia su Amazon Prime mentre, bizzarria del sistema produttivo attuale, in America sono uscite solo le prime due, in onda su AMC. Le reazioni della critica a The Terror sono state buone, ma non eccezionali. In molti hanno criticato proprio quei ritmi lenti, tendenti alla noia di cui parlavamo inizialmente. Credo che questi critici non potrebbero avere più torto. I ritmi di The Terror contraddistinguono l’incedere di una narrazione che si prende i tempi giusti, perfetti, per raccontare esattamente questa storia. Non avrebbe avuto senso fare un film di due ore tratto dal libro di Simmons. Molti diranno che si potevano comodamente fare sei o otto ore al posto delle dieci effettive ma io, che per il momento ne ho viste solo cinque, sono convinto che ogni singolo istante di The Terror si sia meritato legittimamente di essere trasmesso.
Nella prima puntata l’incedere cerca un crescendo per un climax che non sembra arrivare mai. Nel silenzio bianco dell’Artico, rotto solo dal clangore del ghiaccio contro il legno delle due navi, il regista e lo scrittore ci regalano il tempo di conoscere i protagonisti della storia costruendo scene minimali dedicate ai tre capitani delle due navi (uno è un secondo in grado). Solo la coppia formata dal capitano della spedizione, Sir John, interpretato dal Ciaran Hinds di Games of Thrones e dal capitano Crozier ritratto dal Jared Harris di Mad Men varrebbe il costo del biglietto. I due sono meravigliosamente tratteggiati a livello psicologico da rapidi flashback nella loro vita cortigiana. Intuiamo che c’è una backstory tra i due, ma è dai dialoghi asciutti e precisi e dalle interpretazioni superbe dei due attori che capiamo tutto quello che c’è da capire. Sir John è un ottimista, un uomo accecato dalla convinzione delle proprie possibilità, uno che pone il cuore oltre l’ostacolo, senza rendersi conto quel cuore non potrà avere nessuna vita nei freddi glaciali dell’artico. Crozier, invece, è un realista, un marinaio di esperienza che conosce i limiti non solo della barca che comanda, ma degli uomini che la abitano: “lo sa come diventano gli uomini quando sono disperati”, ricorda profeticamente Crozier a Sir John. A chiudere il trio della catena di comando c’è il Lieutenant di Sir John, interpretato da Tobias Menzies, altro attore inglese troppo spesso utilizzato da caratterista.
Ecco il primo grande merito di The Terror: aver costruito un cast perfetto. I tre attori principali potrebbero tranquillamente essere comprimari di un dramma BBC in costume. In The Terror, invece, vivono di vita propria, esseri umani con delle debolezze e dei fatal flaw (termine usato spesso nei manuali di sceneggiatura per definire il grande problema che definisce un personaggio) delicati, mai urlati, sempre tratteggiati con grazia. La dipendenza all’alcol di Crozier viene sussurrata dai marinai, come una voce di corridoio, è una chiacchiera tra i luogotenenti e così arriva a noi, prima di scoprirla realmente nell’episodio 5. La debolezza di Tobias Menzies, invece, non è quella che sembra: la sua vanità non è solo un limite e anche Sir John non ha il destino che avremmo potuto immaginare per il suo personaggio. A supportare i tre, ma non solo, David Kajganich rintraccia e assembla un cast eccezionale, fatto di attori quasi sconosciuti. Straordinaria è la storia di Hickey, un marinaio interpretato da Adam Nagaitis. Il rischio, con serie corali e in costume è che molti dei personaggi perdano riconoscibilità. In The Terror non si corre questo rischio perché ogni singolo marinaio ha un tratto, una battuta, un qualcosa che lo distingue dalla massa. In questo senso Hickey è molto più di un gregario: è un quarto protagonista con un arco narrativo che, credo, nella seconda metà della serie esploderà.
Il secondo grande merito di The Terror è quello di essere riuscito nell’intento apparentemente più scontato per la serialità, ma che spesso risulta il più ostico da raggiungere: quello di costruire un mondo. I ghiacci e il freddo di The Terror, pur essendo realizzati quasi esclusivamente in CGI (computer-generated imagery), sono tangibili. Tutta la storia è costellata di piccoli momenti in cui le pelli si lacerano al contatto con superfici ghiacciate, momenti inutili ai fini della narrazione, che hanno però una loro importanza: sono lì a testimoniare le condizioni proibitive in cui i marinai dovevano vivere ogni giorno, e noi con loro per le dieci ore in cui resteremo incastrati all’artico. Proprio come per The Revenant di Iñarritu, il freddo è qualcosa con cui bisogna fare i conti in The Terror. In una delle prime scene un marinaio finisce fuori bordo e dopo pochissimi secondi muore. È tutto lì il terrore per il freddo, quella scena in apertura ci dice che chi sbaglia al Polo Nord muore.
È un mondo alieno, quello glaciale, e in questo senso ricorda un po’ lo spazio definito da Ridley Scott quasi quarant’anni fa. Sempre nella prima puntata un palombaro viene calato nelle acque per liberare il timone della Erebus. Solo, in quello spazio senza altre forme di vita, sembra un astronauta perso nel buio di una galassia. A sfidare il nulla bianco polare ci sono le due navi: pezzi di scenografia incredibile, non solo nell’aspetto ma nella sonorizzazione. Chi ha la fortuna di avere un sistema dolby vivrà in cambusa insieme ai marinai, con un ambiente sonoro ricreato magistralmente. Così come superbi sono i costumi. Non mi intendo di come erano vestiti nella marina inglese di fine Ottocento, ma qualcosa mi dice sia stato fatto un lavoro di ricerca impressionante per restituire un simile effetto di verosimiglianza.
Per ultimo arriviamo al vero terrore, ossia all’”alieno”, alla creatura che, fin dal primo episodio, capiamo dare la caccia ai nostri eroi. The Terror è sì una serie storica, ma è anche una serie horror. Considerato che The Walking Dead sarebbe stato figo se fosse finito cinque anni fa e che anche American Horror Story ha smesso di dire cose interessanti, il panorama delle serie horror non se la passa bene. Non credo che The Terror avrà il successo delle due serie citate in precedenza. Non andrà quindi sicuramente a cambiare il trend negativo della serialità orrorifica (movimento contrario all’invece ottimo momento dell’horror cinematografico). Quello di Kajganich è un orrore troppo raffinato, in cui la paura viene dal non-visto, dal celato. Si intuisce che qualcosa, una creatura, è assetata del sangue dei nostri, ma passano molte ore prima di vederne le sembianze, e ancora al quinto episodio non si capisce esattamente cosa sia. Come nel primo Alien, il mostro in The Terror è una manifestazione fisica delle paure più profonde che ci guidano e il messaggio, sempre attuale, che si evince è che l’uomo non dovrebbe spingersi oltre i confini dettati dalla natura, non dovrebbe andare dove, semplicemente, la vita non può esistere.
The Terror non è una serie di facile visione. Regala ben poco allo spettatore. Eppure quel poco ci deve bastare e ci deve costringere a ricordarci che la serialità può essere anche questo. Che il romanzo popolare seriale può arrivare anche a vette narrative che, fino a poco tempo fa, appartenevano solo al cinema di qualità. E, nell’orgia seriale contemporanea, credetemi, non è poco.