Vi siete mai trovati con la faccia fissa sulla schermata di una delle infinite app di incontri, i like della giornata terminati, un vago senso di artrosi alle dita a furia di swipe e la sensazione che ogni rimasuglio della vostra dignità sia per sempre andato perduto – soprattutto dopo averci trovato vostro cugino di secondo grado? Noi abbiamo provato molto di peggio. Abbiamo partecipato a uno speed date, una di quelle pittoresche situazioni che avete visto in dozzine di commedie americane e nel miglior cinema italiano, e a cui segretamente avreste sempre voluto partecipare, solo per poter dire di averlo fatto.
A uno speed date non ti presenti con le quattro foto migliori che hai, né con una descrizione che ritieni geniale – e che spesso risulta patetica, tipo: “si vive una volta sola” o “entrepreneur presso mé stesso” (l’accento è pura licenza poetica). A uno speed date ti ritrovi a parlare con gente in carne e ossa che sostanzialmente si presenta allo stesso modo, ma lo fa a dieci centimetri dalla tua faccia. In questi casi lo swipe a sinistra arriva solo quando lo decide il campanello – e due minuti possono essere interminabili.
Per non rischiare di trovare l’uomo giusto ci nascondiamo dietro a un paio di identità fittizie: una di noi diventa Emma, tatuatrice italo-australiana con precedenti studi in filosofia – un turbante in testa che “quest’anno va un casino” e un coprispalle verde in velluto degno delle cartomanti di Brera; l’altra, Ludovica, è una giovane avvocatessa penalista con una fervente passione per Gesù Cristo, che traspare dai suoi abiti da educanda cattolica.
Un accostamento improbabile, lo sappiamo, ma prima di raggiungere il bar in zona Navigli dove periodicamente vengono organizzate queste serate all’insegna del romanticismo, optiamo per un abbondante aperitivo, salvagente in una serata potenzialmente molto difficile da affrontare. Cominciamo a correre, dopo esserci rese conto di essere in ritardo, ma a rassicurarci arriva il 20esimo messaggio degli organizzatori, che, garantiscono, attenderanno “tutti, anche i ritardatari”. Rallentiamo.
Il primo impatto, nel varcare la soglia del locale, è lo stesso che si avrebbe entrando in un qualunque altro bar della zona in orario aperitivo: caos, buffet di dubbia qualità e un televisore al plasma che ripropone la migliore discografia dei primi anni 2000. Il nostro speed date, però, alla modica cifra di 20 euro per le donne e 25 per gli uomini, si svolge nella stanza sul retro. La coda per registrarsi è molto più lunga di quanto ci saremmo potute aspettare. La percentuale di uomini è nettamente superiore a quella femminile, con una predominanza di over 40 – che dovrebbero avere uno speed date dedicato nella stanza accanto, secondo un’ipotetica divisione in fasce d’età, che nessuno, nei fatti, rispetta. Mentre andiamo a registrarci, per ricevere il numero che ci identificherà per il resto della serata e un paio di schede su cui annotare impressioni su altri numeri di sesso opposto, ci sentiamo un po’ osservate – come forse tutte le altre ragazze arrivate prima e dopo di noi. Il primo ad attrarre la nostra attenzione è l’uomo in impermeabile appoggiato al bancone, che ci guarda fisso, con le mani in tasca, dando la chiara impressione di nascondere qualcosa. Forse molta timidezza.
Ci separiamo – al cinema questo equivarrebbe a morte sicura. Emma intavola un discorso con un gruppo di donne tra i 40 e i 60 che nell’amore vero non hanno ancora smesso di credere. L’habitué di turno snocciola consigli alle nuove arrivate. “Ogni tanto si incontra qualcuno di interessante e si combina, altre no,” spiega. Qualcun’altra ha finalmente trovato il coraggio di fare il grande passo da internet alla realtà, abbandonando i “soggetti improbabili” conosciuti sui siti d’incontri per conoscerne, forse, di ancora più improbabili. Una donna con una carriera solida e due figli all’università, a cui non sembrerebbe mancare nulla. Un’altra signora, emersa dalla toilette, si siede accanto a Emma e segnala un “gran bel ragazzo” nei bagni degli uomini, ma che per lei è davvero troppo giovane. Poi strizza l’occhio, in un impeto di cameratismo.
Ludovica, invece, da composta avvocatessa qual è, nei primi dieci minuti in cui viene lasciata sola rischia lo shock anafilattico al buffet e intavola una conversazione con un uomo di 35 anni convinto che avere 69 come numero assegnato sia motivo di grasse risate. Lo stesso individuo, che ci tiene a precisare di essere italo-brasiliano, dice di non essere a conoscenza di un’app chiamata Tinder e alla classica domanda: “Cosa ti porta qui?”, risponde: “Voglio ciulare!” E ancora grasse risate. Qualcuno, poco più in là, parla come Darth Vader: è un uomo basso, coi capelli tinti di nero-bluastro da cantante neomelodico, se non fosse per un chiaro problema alle corde vocali. Alla domanda “E tu come ti chiami, signorina?” Ludovica risponde senza esitare “Giulia!”, bucando subito la propria copertura.
Dopo questa prima mezz’ora di convivialità, progettata per coinvolgere proprio tutti, “anche i ritardatari”, entriamo nel vivo dello speed date. Il tizio losco in impermeabile nel frattempo è sparito; come il buffet, sostituito da altri tavolini schierati per contenere le decine di partecipanti che affollano la sala. Donne sedute, che consumano il loro free drink, uomini istruiti ad alzarsi a ogni scampanellamento per passare alla candidata successiva, secondo un giro reso difficile dalla sempre più netta maggioranza di partecipanti di sesso maschile – alcune donne, infatti, hanno già optato per la fuga. Qualcuno resta in piedi in attesa del proprio turno e osserva, dando di gomito agli altri, qualcun altro, già insofferente, ha il buon gusto di insultare la cameriera, che cerca semplicemente di fendere la folla per consegnare le ordinazioni. In questa parade ci troviamo davanti i soggetti più disparati. Si comincia con un ragazzo di circa trent’anni, maglione da ex studente del Politecnico. Alla domanda standard “E tu che fai di bello?” risponde con entusiasmo: “L’amministratore di condominio”. A prima vista non un lavoro elettrizzante, ma provate voi ad amministrare le struggenti vicissitudini condominiali di un intero quartiere di Milano. *ting* Avanti il prossimo: un divorziato con interessi esoterici, resuscitati forse dall’outfit di Emma. Un uomo solo, che vorrebbe cambiare vita, dopo aver già cambiato lavoro e città, a cui il matrimonio è servito “per capire quello che non voglio” e convinto che quello che vuole potrebbe trovarlo nella meditazione trascendentale – oppure a uno speed date. *ting* arriva il poliziotto in borghese. La prima cosa che chiede a Emma è se ha gli occhi “pallati” per la droga, che come pick-up line è seconda solo a “Hey, ti sei fatta male quando sei caduta dal cielo?”. *ting*, ecco il suo collega – non in borghese. Ipotizziamo che siano lì non tanto per mancanza di affetto, quanto per tenere d’occhio eventuali giri di prostituzione e traffici di stupefacenti.
*ting* All’ennesimo “E tu che fai di bello?” almeno qualcuno che sa sorprenderci, rispondendo: “Il trafficante di automobili”. A Ludovica, vista la professione scelta ad hoc per la serata, chiede un suggerimento, e lei, scherzando, propone di fuggire dall’Italia prima che inizi il processo. Con questo brillante consiglio Ludovica buca di nuovo la copertura. *ting* un uomo pelato, con una polo talmente attillata da bloccargli la circolazione agli arti superiori, prova a distinguersi. “Facciamo un bel gioco: io indovino chi sei tu e tu indovini chi sono io”. Emma viene identificata come una psicologa con la passione per l’arte, Ludovica come una contabile – stavolta almeno la copertura non salta. Quando si arriva al fatidico “E io, secondo te, che faccio?”, ci tratteniamo, ma vorremmo tanto rispondere: “Hai una passione per la tassidermia e nascondi esseri umani nello scantinato.”
*ting* – durante la pausa, dopo oltre un’ora di brillanti conversazioni, più simili a colloqui di lavoro e a test attitudinali che ad appuntamenti, e decine di mani sudate da stringere, c’è chi esce a fumare una sigaretta, chi con questa scusa abbandona la nave e chi approfondisce i colloqui più riusciti. Ma a catturare davvero la nostra attenzione è un probabile studente d’ingegneria che ha gli occhi sbarrati e la schiena incollata alla parete da quando è arrivato. Non ha nemmeno il coraggio di andarsene. *ting* Dopo una serie di individui con stadi di calvizie più o meno avanzati, ecco un toupet che tiene sotto controllo il corpo di un uomo che avrebbe probabilmente dovuto sedersi nella sala accanto, insieme agli altri over 40. Cerca una donna che sappia farlo ridere come solo lui sa fare “con se stesso”. Il resto di quello che ci ha detto ce lo siamo dimenticate, troppo intente a fissare quel lussureggiante toupet castano.
Dopo un’altra decina di scampanellate, che come in un esperimento di Pavlov ci fanno tirare ogni volta un sospiro di sollievo, arriviamo alla fine. Schede e numeri vanno riconsegnati agli organizzatori: in caso di match provvederanno loro ad avvisare entro un paio di giorni i partecipanti tramite una mail – che probabilmente finirà in spam.
Come ci aspettavamo non abbiamo trovato l’amore, ma abbiamo scoperto che le sopracciglia di un uomo possono essere depilate in mille modi diversi e che la saggistica ha più mercato di quanto si potrebbe pensare. Mai vista così tanta gente che legge saggistica in una sola stanza. Che tipo di saggistica? Le risposte più gettonate sono “filosofia orientale” e “macroeconomia”. Sono pochi quelli che hanno il coraggio di presentarsi da soli: le ragazze arrivano in coppia, mentre gli uomini preferiscono spostarsi in branco, stipati in automobili che arrivano dalle più recondite province lombarde. Ma a prescindere dalla modalità di arrivo e dalle formazioni scelte, a stupirci è stata la quantità di persone che partecipa, anche abitualmente, a eventi di questo tipo.
E se per un attimo avete pensato che in un contesto del genere trovare un match sia più immediato che attraverso un’app, sappiate che sono passate settimane dallo speed date e ancora quella email non è arrivata. Neanche in spam.