Nanni Loy, con la sua creatività, ha sovvertito come nessun altro la comicità italiana - THE VISION

Nel 1969, il regista Franco Zeffirelli veniva espulso dall’Associazione degli autori cinematografici. La ragione di questa espulsione era la sua invettiva contro il cinema erotico, all’epoca agli albori della sua diffusione, ritenuto da lui volgare e immorale. Zeffirelli era un regista dichiaratamente omosessuale e profondamente cattolico, apertamente di destra, conservatore, anticomunista e grande amico ed estimatore di Silvio Berlusconi: un profilo interessante, insolito nella tradizione cinematografica italiana, per molti aspetti contraddittorio. Oggi siamo sempre più abituati a ragionare per categorie manicheiste, bene e male, buoni e cattivi, una divisione semplice e spontanea che trova sui social e nel numero di like la sua realizzazione. Per molti aspetti del presente, quella di Zeffirelli alla volgarità scadente di un cinema erotico dozzinale potrebbe apparire come una critica legittima, motivo per cui sembra strano pensare a un cattolico gay negli anni Settanta che si oppone alla libertà di costume e che poi diventa grande amico ed estimatore dell’uomo che ha fatto della nudità e della volgarità le cifre caratteristiche di buona parte della televisione commerciale. Ma più che la contestazione di Zeffirelli, è interessante la risposta che diede un suo collega. Cinico, concreto e spietato, Nanni Loy replicò alle accuse con un’argomentazione inoppugnabile: nella società dei consumi, che alla fine degli anni Sessanta toccava i suoi vertici più splendidi e ingenui – per quanto già abbondantemente contestata da intellettuali come Pasolini –, anche la nudità e l’erotismo possono generare profitto. “In una società generale come quella italiana in cui si mercifica tutto non si può censurare solo l’industria cinematografica che soggiace anche lei alla legge del profitto”, dice Loy: gli editori che vogliono censurare il cinema erotico italiano sono gli stessi che vendono prodotti proprio attraverso l’erotismo che vorrebbero oscurare. Perché, dunque, dovrebbe essere proprio il cinema a dover fare da capro espiatorio per questa operazione di ipocrisia censoria?

Nanni Loy era un militante del Partito Comunista Italiano e come tanti suoi colleghi di quegli anni – un’usanza che attualmente è molto sfumata se non quasi estinta, per diverse ragioni che riguardano soprattutto il crollo dei partiti come istituzioni culturali, non solo politiche – non confinava il suo lavoro da cineasta e autore a una mera pratica creativa, distaccata dalla realtà. Una diatriba come quella tra lui e Zeffirelli sembra distante anni luce dal presente, non tanto per il tema della censura da imporre ad alcune immagini e parole, ancora perfettamente attuale seppur con connotazioni diverse, ma per la forte consapevolezza politica e intellettuale che scaturiva dal trattare un problema artistico come parte della realtà, e non come un’astrazione frivola e inutile. Nanni Loy, che da comunista conosceva bene il materialismo storico e il rapporto inseparabile tra consumo e arte, produzione e creatività, è stato infatti un regista capace di mettere a fuoco l’Italia di quegli anni con uno spirito critico estremamente concreto e visionario, anche nelle sue produzioni più ironiche e apparentemente leggere. 

Prima ancora che regista, Nanni Loy è stato un genio della televisione italiana. Nel 1964, sulla Rai, in anni in cui i programmi erano pochi, i tubi catodici oggetti ancora non così tanto diffusi e il mercato audiovisivo ai suoi albori, il regista di origini sarde metteva in scena qualcosa di rivoluzionario. Il programma si chiamava Specchio segreto, ed era uno dei primi tentativi di importare format americani, quello della candid camera nello specifico, declinandolo al nostro contesto nazionale e arricchito con una raffinata analisi del mondo e dei soggetti utilizzati per lo scherzo. Sono almeno vent’anni ormai che in televisione si usa l’espressione “esperimento sociale” per legittimare qualsiasi schifezza: tutto è cominciato con la prima edizione del Grande Fratello, un programma che, nel 2000, poteva in effetti essere considerato un esperimento, per quanto molto leggero e dozzinale. Da quel momento in poi, tutti i reality o i dating show presenti sul palinsesto sono diventati “un esperimento sociale”, da La pupa e il secchione a Temptation Island, una definizione che vorrebbe legittimare in qualche modo qualsiasi bassezza portata sullo schermo con la scusa del materiale umano a disposizione. Chiaramente non è così; non basta mettere delle persone in un set con qualche regola per farli litigare o copulare per avere tra le mani un trattato di antropologia. Ciò che invece metteva in scena Loy, con estrema sensibilità e intelligenza, era davvero un piccolo saggio di ciò che erano gli italiani negli anni Sessanta. 

La zuppetta è forse il più celebre di questi sketch orchestrati da Loy. In un periodo storico in cui le telecamere erano una rarità e il meccanismo della candid camera era ancora sconosciuto a tutti, nessuno avrebbe mai potuto sospettare di essere ripreso: Nanni Loy si apposta in un bar del centro a Bologna, prende un cornetto, e lo inzuppa nella tazza del suo vicino di bancone. Le reazioni sono quasi tutte stupite e divertite, e quella scena diventa iconica, un piccolo manifesto della realtà che entra a contatto con la finzione per trasformarsi in spettacolo. Ma La zuppetta non è l’unico numero di Loy, dal momento che Specchio segreto racconta diverse altre situazioni in cui si possono apprezzare momenti di verità e di spontaneità quotidiana, ma anche di estremo cinismo, alienazione, distacco, tutti elementi sociali sempre più presenti e centrali nel mondo iper-industrializzato del dopoguerra. Dal fingersi un immigrato meridionale che chiede per strada agli sconosciuti di essere invitato al pranzo di Natale fino alla messa in scena di un’evasione dal carcere romano di Regina Coeli, tutti gli episodi di Specchio segreto presentano la stessa impostazione che prevede non solo la semplice derisione dei malcapitati, vittime di uno scherzo, ma anche l’intenzione di mettere sotto la luce del sole il comportamento e la morale dominante dell’epoca, sia nei suoi lati più umani che in quelli più ostili e diffidenti. Un esperimento che va avanti anche con un altro format, Viaggio in seconda classe: stavolta le “vittime” sono viaggiatori ignari di un’intervista che è in atto tramite telecamere nascoste. Anche in questo caso, lo scherzo non si limita al divertimento e alla sorpresa, ma serve come innesco per intraprendere discorsi molto più profondi e sinceri con chi si trova inconsapevolmente al centro della gag.

Specchio Segreto (1964) di Nanni Loy
Nanni Loy nella celebre sequenza della “zuppetta” in un bar di Bologna

Oltre alla televisione, mezzo di comunicazione in ascesa dove l’autore lascia un segno indelebile per tutte le generazioni future, l’opera di Loy si distingue anche nel cinema. Audace colpo dei soliti ignoti – con Claudia Cardinale, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, un classico della commedia all’italiana – seguito del famoso I soliti ignoti del collega Mario Monicelli, prosegue la saga di queste pellicole in cui la disgrazia di un gruppo di poveracci diventa un’occasione per tentare dei colpi da banditi, fallendo miseramente. Anche in Cafè express, film di diversi anni dopo con protagonista Nino Manfredi, Loy racconta le vicissitudini della sopravvivenza, in questo caso di un venditore di caffè abusivo che passa le giornate su un treno, intrappolato in questa occupazione misera solo per poter mantenere il figlio in collegio. Così come nei suoi sketch televisivi, anche al cinema Loy porta un’ironia che tende al cinismo, una caratteristica tipica della rappresentazione di grandi registi di quegli anni, da Dino Risi a Pietro Germi.

Audace colpo dei soliti ignoti (1959) di Nanni Loy

Cafè Express (1980)

Ma non solo la comicità, seppur amara, è protagonista dei film di Loy: nel 1971, per esempio, esce il suo Detenuto in attesa di giudizio, capolavoro tragico che vede Alberto Sordi protagonista in un insolito ruolo drammatico: una storia che sembra dare vita a un romanzo di Kafka, in cui il protagonista è bloccato in un incubo burocratico con la giustizia, ingiustamente accusato di un crimine che non ha commesso. Già diversi anni prima Loy aveva dato prova del suo grande talento drammatico, oltre che comico, con un film straziante come Le quattro giornate di Napoli – film del 1962 con protagonista Gian Maria Volonté e che fu anche candidato all’Oscar come miglior pellicola straniera – dove vengono raccontati i fatti realmente accaduti nel capoluogo campano nel 1943, quando il popolo partenopeo si ribellò alle truppe tedesche dopo alcune fucilazioni di marinai italiani. 

Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy

Le quattro giornate di Napoli (1962) di Nanni Loy

Nanni Loy è stato un personaggio cruciale negli anni della massificazione dei media, un intellettuale in grado di valorizzare la potenza di un mezzo come la televisione rendendola già dai suoi albori una parodia lucida e demistificatoria di sé stessa. Una missione che si può apprezzare anche nel capolavoro collettivo di satira Signori e signori, buonanotte del 1976, anno in cui uscì anche Quelle strane occasioni, di cui Loy firma l’episodio più divertente e cinico Italian Superman, con protagonista Paolo Villaggio nel ruolo di Giobatta, un emigrato italiano ad Amsterdam, e la cui trama tipicamente sprezzante di qualsiasi lieto fine e ottimismo rappresenta uno dei tratti più caratteristici e distintivi della sua poetica. Disilluso e concreto, Nanni Loy è stato uno dei protagonisti più interessanti e acuti della nostra tradizione cinematografica e televisiva, grazie a un modo di raccontare il mondo che, senza fronzoli e finzioni, non tenta di consolare i suoi spettatori ma di tenerli sempre sulle spine, attraverso un senso di disagio che si traduce alla perfezione in uno sconosciuto che inzuppa il suo cornetto nel nostro cappuccino: fastidioso ma divertente. 

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