Grazie alla musica la televisione è tornata ad avere un senso - THE VISION

Nei primi giorni dell’estate, ogni anno, i due grandi poli televisivi italiani, Rai e Mediaset, presentano i palinsesti della prossima stagione. Agli occhi di un osservatore esterno, la sensazione che suscitano è un lungo giorno della marmotta cominciato una ventina di anni fa e rimasto pressoché nella stessa posizione; inutile negarlo, la televisione contemporanea ci dà spesso un sentimento di eterno ritorno e di mancanza di futuro. Per molti aspetti, la percezione diffusa di essere in un loop temporale è vera e le ragioni dell’immobilismo televisivo sono chiaramente legate all’avvento di internet e alla moltiplicazione dei mezzi di comunicazione e dei contenuti da fruire. Dove c’è un rischio, infatti, risulta più saggio puntare all’auto-preservazione, investendo sul già noto. 

Per altri aspetti, invece, la tv preserva degli elementi di contemporaneità che non solo non sono stati ancora soppiantati dai nuovi media ma, al contrario, in diversi casi vengono emulati: la diretta, l’esperienza collettiva generalista, l’appuntamento regolare in controtendenza con il binge watching. Basti pensare a piattaforme come Netflix che si apprestano a sperimentare lo streaming per alcuni titoli, mentre per altri hanno adottato la formula della cadenza settimanale. La verità è che anche nei consumi e nella produzione di contenuti della cultura di massa nulla si distrugge e tutto si trasforma e la prima parte del 2022, per quanto riguarda la stagione televisiva che si è appena conclusa, ci fornisce un segnale interessante sul possibile futuro non solo della tv ma dei media in generale. La musica, che sembrava destinata a estinguersi dalla televisione con il lento sfumare di emittenti storiche come MTV, ne è un elemento centrale. 

Maneskin, live concert sulla piattaforma TikTok, SchwuZ Queer Club, Berlino

Quando parliamo di tv, per quanto possa sembrarci una realtà eterna che è sempre esistita, siamo di fronte a un fenomeno piuttosto recente, motivo per cui non è poi così strano che dopo un periodo di grande espansione ne segua uno di contrazione in cui smette di essere il media egemonico per eccellenza. Questa mutevolezza sostanziale dei mezzi e delle tecnologie a disposizione, che modificano anche ciò che consumiamo, ci pone davanti anche a una grande incertezza: così come cinque anni fa non avevamo idea del fatto che potesse esistere qualcosa come TikTok, oggi non sappiamo quale sarà l’uso del nostro smartphone tra cinque anni. Non lo sappiamo, ma possiamo immaginarlo, così come possiamo analizzare il fatto che nel 2022 i due programmi televisivi che hanno catalizzato in modo capillare e trasversale l’attenzione del pubblico – oltre all’universo in perenne espansione delle fiction Rai e allo sport – sono due programmi musicali vecchi di oltre mezzo secolo, e non a caso sono anche due programmi che hanno nella loro struttura degli elementi di esperienza fondamentali che non possono essere sostituiti, la diretta e la competizione. Sto parlando ovviamente di Sanremo ed Eurovision, due manifestazioni che vanno di pari passo sin dalla loro fondazione – l’Eurovision, per l’esattezza, nacque proprio ispirandosi alla kermesse italiana.

22a Edizione del Festival di Sanremo, 1972
27a Edizione del Festival di Sanremo, 1977
Sanremo, 1984

La trasformazione radicale di Sanremo negli ultimi cinque anni è visibile agli occhi di tutti, non solo per il fatto che le classifiche italiane rimangono occupate per mesi dai brani che vengono presentati in concorso, ma anche perché gli artisti proseguono l’onda lunga del festival anche in estate, con altrettanti pezzi che vanno a comporre il puzzle delle vendite della musica mainstream. Pensiamo per esempio alla canzone numero uno della classifica estiva attuale, La dolce vita”, che oltre a Fedez e a Mara Sattei conta della presenza della grande rivelazione di questo Sanremo, Tananai. Quando parliamo degli effetti del festival, infatti, ci riferiamo esclusivamente al mercato pop che, al momento, nel nostro Paese è dominato quasi solo ed esclusivamente da artisti italiani.

La grande trasformazione del programma è iniziata poco prima dell’arrivo della direzione artistica di Amadeus, che ha portato il cambiamento a compimento: potremmo dire infatti che è dall’ultima conduzione di Carlo Conti, nel 2017, e dalla doppia conduzione di Claudio Baglioni, nel 2018 e nel 2019, che qualcosa è cambiato. Così come guardare una partita della nazionale, la competizione canora è infatti tornata a essere un momento di aggregazione che non esclude le fasce più giovani e disinteressate alla tradizione della kermesse, ma si è aperta anche alla novità. Una mossa intelligente e lungimirante, dal momento che più allarghi lo spettro della rappresentazione più persone attiri al tuo cospetto. Questo processo di diversificazione ha poi raggiunto l’apice con l’edizione del 2019, vinta da Mahmood, un cantante del tutto estraneo all’estetica sanremese classica in stile Matia Bazar o Michele Zarrillo – posto che non sono mancati neanche gli artisti in linea con il filone classico – e che ha generato un dibattito proprio per la sua lontananza dal canone. 

Amadeus
Mahmood

In realtà il pop non ha un codice estetico preciso, o un manuale di istruzioni per essere tale. Il pop è per antonomasia il genere popolare in linea con i gusti del momento, gusti determinati dalla produzione stessa di musica, un circolo virtuoso – o vizioso, dipende dai punti di vista – in cui è la tendenza stessa ad auto-alimentarsi fino all’esaurimento. In questo senso, Mahmood nel 2019 era a dir poco perfetto, persino nella polemica che ha generato la sua vittoria, una diatriba nata con un suo coetaneo con uno stile totalmente diverso, ma comunque rappresentativo di una fetta enorme di consumi contemporanei. Così come con internet si è polarizzata molto l’opinione pubblica, rendendoci tutti parte di due squadre opposte che tifano su un campo da gioco grande quanto l’intero globo terrestre, così Sanremo riflette queste tendenze, dando vita a un periodo di prosperità per il programma per il semplice fatto di aver inglobato al suo interno tutte le anime del presente. Così facendo, anche quelli che con la tv hanno poco a che fare, come per esempio i molto giovani, hanno assimilato nel loro immaginario un prodotto potenzialmente antico e fuori moda, grazie anche a internet e al “riciclo” ironico delle immagini televisive, che fa sì che la manifestazione rimanga “accesa” anche nei mesi successivi alla sua conclusione.

Il triennio fortunato di Sanremo ha così generato un effetto a catena per cui anche l’Eurovision, manifestazione che per diversi anni ci ha lasciato totalmente indifferenti – basti pensare che per lungo tempo l’Italia non ha neanche gareggiato – è diventata invece parte dell’esperienza collettiva della tv musicale contemporanea. Forti della vittoria dei Maneskin, entusiasmati dal poter ospitare il programma che guardano in tutto il mondo in una nostra città, Torino, l’Eurovision del 2022 è stato un enorme successo in termini di ascolti, specialmente se si paragona agli anni in cui, per l’appunto, non ce ne fregava proprio nulla. Anche in questo caso, la diretta, l’esperienza comune, il commento istantaneo sui social, la competizione con le squadre da tifare e la possibilità di avere un appuntamento fisso coordinato all’unisono, ossia l’esatto opposto della modalità di fruizione dei contenuti di internet dove invece ognuno sceglie il suo palinsesto, hanno reso forte e sorprendente l’esito dell’Eurovision trasmesso su Rai 1. Nessuno sa se questo entusiasmo durerà anche per le prossime edizioni, ma di sicuro l’evento crea un importante precedente da tenere in conto per comprendere il futuro dell’intrattenimento di massa: se nel 2012 ci avessero detto che sarebbe stato un programma del genere a creare questo interesse probabilmente ci avrebbero creduto in pochi.

Per chi è nato in tempo per assistere all’ultimo ventennio di vera e propria egemonia televisiva sui consumi degli adolescenti italiani, il Festivalbar rappresenta un tempio della malinconia. Periodicamente ritorna in voga la possibilità di avere una nuova stagione di quel programma che ha accompagnato le nostre estati – così come si è detta la stessa cosa per i Telegatti. Nessuna delle due trasmissioni avrà un grande ritorno come ai vecchi tempi andati, ma in realtà in un certo senso è già successo. Solo questa estate, per esempio, su Italia Uno è stato trasmesso il concerto a scopo benefico organizzato da Fedez e J-Ax per la loro grande reunion, il Love Mi, con una line up composta da artisti perfettamente compatibili con i gusti della Generazione Z, da Shiva a Lazza, da Gali a Tananai. Appena qualche giorno dopo, su Rai 2 è stato trasmesso un live itinerante che proseguirà per il resto dell’estate, il Tim Summer Hits, esattamente come il Festivalbar, e anche in questo caso con una scaletta molto “giovane”, ossia aderente alle classifiche.

Alessia Marcuzzi e Fiorello alla presentazione di Festivalbar in Piazza Plebiscito, Napoli, 2000

Italia Uno e Rai 2, storicamente, sarebbero le reti più pop del palinsesto e il fatto che entrambi i canali, che negli ultimi anni hanno subito grossi cali d’ascolto, abbiano puntato su due grandi eventi musicali conferma che è la musica a fare spesso da polmone d’acciaio per l’intrattenimento generalista del presente. Oltre a questi due programmi, nel futuro e nel passato recente della tv ci sono infatti diversi altri esempi simili: su RaiPlay verrà lanciato Rap Game, presentato da Wad, Roshelle e Capo Plaza – format decisamente inusuale per la rete di Stato – e in autunno Fedez tornerà nella giuria di X-Factor, una scelta emblematica, soprattutto perché un personaggio come lui non ha certo bisogno di spinte mediatiche. Dopo anni lontano dal programma che lo ha sdoganato al grande pubblico sembrava infatti che il rapper non avesse alcuna intenzione né necessità di ritornare alla dimensione televisiva, ma il rilancio di X-Factor, con l’aggiunta di nuovi elementi come Rkomi, Dargen D’Amico e Ambra Angiolini, oltre che la conduzione di Francesca Michielin, è in linea con la direzione che la tv ha preso negli ultimi anni.

Francesca Michielin e Fedez, 71a Edizione di Sanremo, 2021

Non si tratta di fare accanimento terapeutico su un mezzo di comunicazione che ha finito le sue risorse, ma è poco lungimirante al momento credere che la tv sia solo una scatola da rottamare. La televisione è un mezzo che, nell’era della singolarità e del consumo individuale, riesce ancora a riportare su una dimensione sincronica e collettiva l’esperienza dell’intrattenimento: non è né migliore né peggiore di qualsiasi cosa che verrà dopo o che è già qua, è solo diversa, ma anche continuativa e complementare. Per quanto riguarda l’informazione, per esempio, è chiaro che la televisione sia un mezzo superato; ma per ciò che riguarda invece lo spettacolo, il connubio tra musica e tv è un mix di cui beneficiano entrambe le realtà grazie ai loro punti di forza in comune.

L’intrattenimento di oggi è molto diverso da quello di trent’anni fa, sia nella forma che nel modo in cui possiamo accedervi. La televisione, paradossalmente, ha manifestato proprio nel suo periodo di grande crisi il suo più grande pregio, ossia quello di riunirci in un unico posto, fisico o metaforico che sia. Il suo futuro è incerto, ma il fatto che il genere umano condivida l’esigenza di ritrovarsi da qualche parte per stare insieme a fare qualcosa è una certezza, sia che questa cosa avvenga fisicamente che con un’esperienza lontana ma comune. Dopo due anni di isolamento, la grande spinta di eventi dal vivo degli ultimi mesi è una prova concreta del fatto che per quanto possiamo essere autonomi c’è un momento in cui vogliamo uscire dalla nostra bolla e nell’incertezza generale di un’epoca sempre più atomizzata e individualista sapere che questa cosa può avvenire qualche volta tramite la musica è un piccolo conforto.

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