Modella, cantante, attivista e renderizzata. La distopia degli influencer virtuali.
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Nella semiotica postmoderna, l’hyperreality è l’incapacità della coscienza di distinguere la realtà da una simulazione della realtà. È un concetto simile a quello di simulacrum, che dal Sofista di Platone arriva fino a Matrix, attraverso un saggio di Jean Baudrillard intitolato Simulacres et Simulation. Molto liberamente tradotto in italiano con il titolo di Simulacri e impostura, è il libro all’interno del quale, nel film, Neo nasconde il back-up del suo software. In questo saggio del 1981 il filosofo francese tenta di indagare la relazione tra realtà, simboli e società analizzando i simulacri: figure ritraenti oggetti che non corrispondono a un originale. Idoli, come suggerisce l’etimologia greca del termine, che in realtà non esistono. Come Babbo Natale.

Nel corso degli ultimi mesi, in molti hanno iniziato a seguire su Instagram un simulacrum decisamente influente: una modella diciannovenne di Los Angeles di origini ispaniche la quale, partendo dal mondo della moda e dello streetwear, è riuscita a generare un dibattito su temi fondamentali come l’odio razziale e l’hate speech. L’influencer in questione si chiama Lil Miquela.

Lil Miquela

Molti dei suoi follower inizialmente si sono chiesti se fosse virtuale o meno. Ad avvalorare la tesi che Lil Miquela fosse reale c’è un’intervista telefonica pubblicata lo scorso settembre dallo youtuber americano Shane Dawson. Nella telefonata con Lil Miquela postata da questo seguitissimo esperto di teorie cospirazioniste, Miquela risponde alle domande sul suo essere puramente virtuale con alcune argomentazioni piuttosto valide, sottolineando come la maggior parte degli utenti di Instagram manipolino digitalmente le immagini postate. Anche la forte somiglianza con la modella e attivista anglo-malesiana Emily Bador ha contribuito a far credere ai follower che l’account fosse l’avatar di un’influencer realmente esistente.

Questa ambiguità non ha impedito al progetto di guadagnare 1,1 milioni di follower su Instagram. Dal 2016 a oggi, Lil Miquela ha indossato vari brand – tra gli altri Chanel, Adidas, Moncler, Proenza Schouler, Vetements e Supreme – ma sembra incarnare alla perfezione i valori di Prada. Le uniche stories in evidenza sul suo profilo hanno l’hashtag del brand.

Emily Bador

La connessione tra Prada e Lil Miquela va oltre la sua partecipazione alla sfilata dell’ultima settimana della moda milanese, presenza alla quale abbiamo assistito grazie ad alcune gif e a un drone che sorvolava la Fondazione. In alcune interviste, Lil Miquela ha dichiarato: “Ho sempre considerato Prada come un’estensione della signora Prada e delle sue profonde radici politiche”, enfatizzando il concetto di “spinta al cambiamento” operato dal brand. Miquela ha sostenuto attivamente molte cause attraverso il suo profilo Instagram, tra cui il femminismo, la difesa dei diritti degli afroamericani, dei musulmani, dei rifugiati e il controllo delle armi. Il suo impegno sociale traspare dalla maggior parte delle didascalie delle sue immagini.

Il 17 aprile, la Cain Intelligence, una società non registrata e quindi evidentemente inesistente che si definisce leader nell’intelligenza artificiale, con chiari rimandi alla supremazia della razza bianca, ha apparentemente hackerato il profilo di Lil Miquela sostituendola con una modella caucasica, tale Bermuda. Il profilo Instagram di Lil Miquela si è così trasformato dall’account di un’influencer molto hype a una piattaforma per la divulgazione dell’hate speech. Sul sito della società è possibile ammirare un bel ritratto di Trump con il cappellino preferito di Kanye West.

Nel giro di qualche settimana, l’hackeraggio si è rivelato essere parte di una narrazione transmediale a opera di un’unica società che risponde al nome di Brud. Questa società, oltre a Lil Miquela e Bermuda, ha sviluppato anche un influencer maschile, Blawko. Il rapporto 2:1 è ampiamente giustificato dal fatto che su Instagram tendenzialmente le donne attraggono più followers. Anche la Brud sembra essere una società che si occupa d’intelligenza artificiale applicata ai media. “Sembra” perché, per quanto ne sappiamo, i profili Instagram di Lil Miquela e di Bermuda, così come i pezzi caricati su Spotify da Miquela, potrebbero essere frutto del lavoro di un team di persone e quindi non opera esclusiva di un software che simula il comportamento umano.

C’è una tecnica di marketing chiamata transmedia storytelling utilizzata per raccontare una singola storia su più piattaforme con diversi formati. Le origini di questo approccio sono riconducibili alla strategia giapponese del media mix, nata negli anni ’60. È la tecnica utilizzata per la penetrazione dei Pokémon nel mercato americano. Nel caso dei Pokémon, la narrazione nata da una coppia di videogiochi per Nintendo e Game Boy è poi continuata nella quotidianità degli utenti soprattutto grazie ai supporti non digitali come le card, i manga e i vari gadget fino ad arrivare al gioco di realtà aumentata Pokémon Go.

Miquela inizialmente sembrava essere un progetto sviluppato da una società di intelligenza artificiale chiamata Brud. Ma ecco che, dopo l’hackeraggio dell’account Instagram operato dalla Cain Intelligence, Lil M ha annunciato con un post di aver smesso di collaborare con i suoi “manager”, accusando la società di aver fatto qualcosa di imperdonabile: l’aver speculato sulla sua immagine di “donna di colore” vendendola ai brand.

Nella sociologia della cultura c’è un termine, middlebrow, utilizzato per definire quella categoria di prodotti culturali e artistici di facile accesso e consumo. Il contenuto middlebrow è per definizione aperto alla mercificazione dell’industria. Nel 2018, non solo il confine tra cultura e commercio è scomparso, ma sono i brand stessi a generare cultura. L’hackeraggio dell’account di Lil Miquela ha avuto risonanza su tutti i media, non solo sulle testate di moda e streetwear. Miquela ha effettivamente ampliato il concetto di “push for change”, di spinta al cambiamento. Ma dato che non abbiamo certezze sulla vera origine del progetto e sulla sua conseguente natura commerciale o non-profit, si possono elaborare solo delle ipotesi.

Lil Miquela, per quel che sappiamo, potrebbe essere un progetto d’arte digitale creato da un brand visionario – possibilità remota ma plausibile. Ipotizziamo che questo brand abbia scelto di investire nella creazione di uno storytelling transmediale assolutamente inedito. Sappiamo tutti che i grandi gruppi non hanno più bisogno dei media tradizionali in quanto, avendo ormai autorevolezza e budget superiori a qualsiasi testata giornalistica, sono arrivati a produrre contenuti culturali qualitativamente ineccepibili.

Se così fosse, per la prima volta ci troveremmo di fronte a un progetto di marketing che rifiuta le logiche del mercato e si trasforma in un terreno di battaglia per tematiche politico-sociali piuttosto urgenti. Lil Miquela è esattamente quello che Claude Lévi-Strauss avrebbe definito un “significato flottante”: un concetto senza alcun oggetto di riferimento nella realtà tangibile. Un oggetto che non ha un esatto corrispettivo nel mondo reale è, di conseguenza, potenzialmente associabile a qualsiasi significato.

Un’influencer vestita Vetements e Supreme sembra arrivata dal cielo a sanare l’odio razziale divulgato quotidianamente dai giornali e dai partiti e lo fa contro un’altra influencer CGI bianca decisamente più brutta e anonima. Se per Karl Marx l’oppio dei popoli era la religione, in una società postmoderna e postindustriale il nostro panem et circenses sono i social. Se Instagram e i brand sono il nuovo credo, nel 2018 il campo di battaglia ideale per discussioni fondamentali come quella sull’hate speech e sull’odio razziale è l’account Instagram di Lil Miquela.

Secondo il sociologo canadese Marshall McLuhan, il medium è il messaggio, nel senso che il mezzo che veicola le informazioni non è mai neutrale, in quanto tende a influenzare la forma mentis del destinatario. La televisione, per McLuhan, era un medium rassicurante, perché non prevedeva un’interazione con il pubblico e non dava così luogo a novità in ambito sociale o nelle interazioni personali. Forse la creazione di un’influencer virtuale che interagisce con la sua comunità in modo attivo, promuovendo messaggi come il rispetto e l’uguaglianza, per quanto non-umana, ha un valore politico, divulgativo e culturale superiore a qualsiasi telegiornale o quotidiano. In un’intervista recente, Lil Miquela ha dichiarato: “Ho usato la mia piattaforma per raccogliere denaro al fine di supportare alcune organizzazioni di Los Angeles e ho visto la vita reale di alcune persone cambiare di conseguenza. Penso che l’unica possibilità che abbiamo sia quella d’insegnare collettivamente ai nostri cari come pensare in modo critico e come riconoscere la disinformazione. So che possiamo manifestare il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo e Internet può essere lo strumento giusto per farlo”. Una frase che sembra citare il celeberrimo statement del Mahatma Gandhi e la sua idea di “servizio all’umanità”.

Detto ciò, tutto quello che ho scritto domani potrebbe già essere obsoleto. Lil Miquela potrebbe trasformarsi in una sostenitrice di Trump, come ha fatto quel mattacchione di Kanye West. Siamo di fronte all’apoteosi del concetto di “razionalità limitata”, ovvero dell’idea per cui, nel momento in cui ci troviamo a dover prendere una decisione, la nostra mente agisce in base alle informazioni che abbiamo, ai nostri attuali limiti cognitivi e al tempo che abbiamo a disposizione. Scrivere un articolo su un argomento apparentemente banale ma incredibilmente sfaccettato, come un’influencer virtuale senza un corrispettivo nella realtà tangibile, ci porta automaticamente ad abbassare l’asticella della nostra razionalità: non sappiamo realmente chi è, chi l’ha creata e soprattutto perché.

Herbert Alexander Simon, l’economista, psicologo e informatico che ha coniato il concetto di “razionalità limitata”, sostiene che spesso in economia vengano utilizzate soluzioni di tipo euristico per prendere decisioni importanti. Il procedimento euristico è un metodo di problem solving che non segue un percorso definito ma si affida all’intuito, piuttosto che a rigide regole di ottimizzazione, al fine di generare nuova conoscenza. In sostanza, è l’opposto del processo algoritmico. È interessare notare come, digitando Brud su Google, il primo risultato di ricerca al momento non sia la società che ha creato Lil Miquela, bensì un sito che propone soluzioni euristiche connesse all’intelligenza artificiale.

Una delle poche certezze che abbiamo è che la Brud ha raccolto 6 milioni di dollari di finanziamenti dalle società della Silicon Valley, ed è stata fondata da un ex dj di trentatré anni di nome Trevor McFedries, che sul suo LinkedIn non ha la qualifica di CEO come ci si aspetterebbe, ma quella di Head of Compassion.

Anche l’approccio che ho usato io per trarre le conclusioni su questa storia è euristico, perché anche io, come voi, non so esattamente di cosa stiamo parlando e verificare le fonti risulta particolarmente complesso. Non ho la più pallida idea di cosa sia falso e di cosa sia vero, come d’altronde non ce l’ho sull’80% delle immagini e delle informazioni che vedo e leggo ogni giorno su internet.

Come alcuni hanno scritto, bisogna aggiungere che un’influencer virtuale come Lil Miquela è più controllabile di una persona umana. Siamo costantemente di fronte ai breakdown psicologici di personaggi di fama mondiale, come Justin Bieber, Britney Spears e lo stesso Kanye West. Ecco, Lil Miquela non avrà mai questo problema e, a meno che i suoi creatori non lo decidano, non finirà mai per avere una svolta politica folle e imbarazzante come quella di Kanye.

Miquela può essere un sinonimo del post-capitalismo? Forse. L’unica certezza che ho è che si tratta del simulacrum più hype dai tempi di Platone e che è anche un perfetto esempio di accellerazionismo, la teoria della piena automazione che permetterebbe un mondo senza lavoro in cui tutti avrebbero il tempo di dedicarsi ai propri affetti e ai propri veri interessi. Ipoteticamente, se un’influencer virtuale riuscisse a raccogliere milioni di euro da condividere ad esempio con gli altri influencer, questi non dovrebbero più accettare di postare immagini di prodotti che non li rappresentano per guadagnare 5.000 euro.

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