Oggi più che mai, la bellezza deve farsi portatrice di valori etici ed essere sostenibile - THE VISION
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La maggior parte degli esseri umani desidera essere bella, o meglio, suscitare ai propri occhi e a quelli del mondo un desiderio di attrazione, piacere, interesse e curiosità. Viene però da chiedersi se questa bellezza sia nell’oggetto o negli occhi del soggetto che lo osserva. Sicuramente è un fenomeno che obbliga alla relazione, anche solo con il proprio riflesso. Ogni tanto assume dei canoni, come se il gusto di un’epoca si cristallizzasse in una forma. Eppure la bellezza è sempre una sorta di sintonia tra l’apparenza e l’essenza, una consonanza tra effetto e intenzione – come ci ricorda Oscar Wilde ne Il ritratto di Dorian Gray. Per questo motivo forme che rispettano in tutto un canone possono apparire fredde, vuote, non attrarre e non emozionare in alcun modo, perché finiscono per essere omologate, ripetibili, e quindi meno uniche, speciali, per certi aspetti idoli della morte. In questo caso la bellezza perde il suo possibile potenziale disvelatorio. È proprio quando il canone si satura che probabilmente la bellezza migra, muta, cambia espressioni. La bellezza infatti non ha una forma prestabilita, ma può cambiare in continuazione. Non a caso Giacomo Leopardi indagò da un punto di vista filosofico e lirico proprio le caratteristiche di indeterminatezza che suscitano in noi un profondo senso di benessere e consolazione.

Un altro grande scrittore e filosofo vissuto nell’Ottocento, Fëdor Dostoevskij, ci ha lasciato una delle citazioni che si sentono più spesso riguardo a questo tema: “La bellezza salverà il mondo”. Tratta da L’idiota, questa è sicuramente una frase di grande effetto, appare però come una delle più decontestualizzate e misinterpretate di sempre. Il dialogo da cui è tratta prosegue infatti con una domanda che ancora oggi è fondamentale porsi: “Quale bellezza salverà il mondo?”. A rivolgere queste parole al principe Miškin, il protagonista, è il giovane Ippolìt, che tira appunto in causa la questione di un possibile riscatto del mondo attraverso l’affrancamento dal male, rappresentato nella storia dalla violenza sistematica che aleggia su certe relazioni d’amore.

La bellezza che nasce all’interno della cultura ortodossa evocata da Dostoevskij è molto lontana dell’armoniosa proporzione delle parti che pone le sue radici nella classicità greca e nell’umanesimo latino. La bellezza per Dostoevskij è connessa a un senso di sacralità, di meraviglia, che scaturisce da una visione etica in cui si intrecciano bello e buono, grazia e moralità in maniera di volta in volta irripetibile e misteriosa. È un inequivocabile manifestarsi del bene, un insieme di caratteristiche che non hanno per forza a che fare con una forma perfetta, armonica e intatta. Il bello del bene consiste nel fatto che, se necessario, si può anche arrivare a rompersi, a perdere letteralmente la propria faccia, se questo serve a preservare un’integrità essenziale. Si tratta quindi di una bellezza che non si cura della possibilità di apparire anche con una forma imperfetta, se questo è il segno della propria tenacia.

Carolyn Everson

La bellezza che Dostoevskij si augura, e che allo stesso tempo mette in crisi, è quella che emana dall’uomo veramente buono che attraversa la storia e la società con una maestosa semplicità d’animo e un’inscalfibile bontà di cuore, sfidando il ghigno dei cinici e la scaltrezza dei manipolatori e dei prepotenti, protetto dalla stessa propria innocenza. Del principe Miškin, che si contrappone alla neonata borghesia russa, non si fa altro che dire quanto sia bello. È questa la bellezza che, davvero, potrebbe salvare il mondo. Ma non c’è certezza, a differenza di quanto si potrebbe erroneamente dedurre dalla breve citazione estrapolata. Quel “salverà” in realtà è un futuro incerto.

È proprio su questo snodo fondamentale tra etica e bellezza che si inserisce l’appello portato avanti dai protagonisti del secondo episodio di Tech.Emotion – Empower Human Potential – creata da Emotion Network e da Facebook e co-prodotta da Lotus Production, in onda stasera su SKY ARTE alle 20:40 e mercoledì su SKY TG24 alle 21.15 –  Lorenzo Bertelli, filosofo ed ex campione di rally, oggi Marketing Director & Head of Corporate Social Responsibility del gruppo Prada; la designer e architetta Patricia Urquiola; Jacopo Sebastio, cofondatore e CEO di Velasca; Carolyn Everson, al tempo del girato Vice Presidente del Global Business Group di Facebook; e Jennifer Hyman, CEO e co-fondatrice di Rent the runway. La bellezza, oggi più che mai, deve farsi portatrice di valori etici e quindi, per forza di cose, essere sostenibile. Se per molti l’associazione spontanea al concetto di bellezza è l’affermazione della propria identità in particolar modo attraverso la moda e più in generale quegli oggetti che vanno a dare forma al life style, è arrivato però il momento di riconoscere la necessità di ridurre il più possibile l’impatto della nostra esistenza – che come viene sottolineato nell’episodio è soprattutto espressione – sul mondo. La bellezza è strettamente connessa alla libertà e alla possibilità di esprimersi e confrontarsi con gli altri. Non può quindi essere rinchiusa in un recinto, ma dovrebbe essere il più plurale possibile. Non è solo questione di forma e materiali, ma anche di intenzioni e di etica. In questo si può dire che, come da tradizione, le attuali sfide della contemporaneità ci invitano a tornare a un’accezione profondamente morale della bellezza: è bello ciò che è anche “buono”.

Jennifer Hyman

Secondo Bertelli la cultura è necessaria per conoscere e comprendere la pluralità della bellezza che trascende la forma, e in questo riverbera la lezione della madre, Miuccia Prada, la prima a far irrompere il brutto sulle passerelle. Per questo è importante ampliare il più possibile i propri orizzonti, leggere, viaggiare, instaurare un dialogo col mondo e con le epoche del passato. La moda, in questo senso, così come l’architettura, per esistere e svilupparsi ha bisogno di nutrirsi di tanti altri ambiti del mondo. È forma univoca che di volta in volta catalizza una visione composita. La cultura ci permette di riconoscere il bello con più facilità, ricercarlo e ricrearlo, dato che può avere infinite forme. La bellezza è un prisma che proietta tanti colori diversi davanti ai nostri occhi, qualcosa in grado di emozionarci e in cui avere fede.

Per Patricia Urquiola questa fede si manifesta anche nell’attesa della bellezza. Il camminare lungo le grandi spiagge sconfinate delle Asturie ha profondamente influenzato il suo lavoro. La spiaggia, infatti, sembra un paesaggio unitario e invece è un luogo cangiante, che cambia di continuo, di metro in metro, di ora in ora, in maniera fluida, sotto lo sguardo di chi la percorre, sembra non esserci quasi niente e invece c’è una moltitudine di impressioni. Allo stesso tempo, racconta che la fine del franchismo, in Spagna, portò a un dirompente desiderio di scoperta, di ampliare i confini dell’esperienza e della propria espressione creativa. Finalmente c’era la libertà. Fu così che seguendo questa tensione arrivò al Politecnico di Milano, città in cui c’era ancora “un profondo e positivo rispetto dei padri”.

Patricia Urquiola

Sui social spesso vediamo tanto di poco, ma dovremmo esercitarci a vedere un poco di tutto, sottolinea Bertelli. Per questo bisogna imparare a vedere e a discernere. È arrivato il momento di cambiare il nostro orizzonte e la nostra prospettiva, nulla è dato a priori. “Si è sempre fatto così” non può essere una giustificazione. Uno degli intellettuali che per primi pose l’accento sulla necessità di un’esistenza sostenibile e di una creazione etica, già consapevole della crisi ambientale, al pari del poeta Andrea Zanzotto, fu Enzo Mari, che diceva: “Guarda fuori dalla finestra e se ciò che vedi ti piace, allora non c’è ragione di fare nuovi progetti. Se invece ci sono cose che ti riempiono di orrore al punto da farti venire voglia di uccidere i responsabili, allora esistono buone ragioni per un progetto”. Creare quindi per cambiare, spinti dal proprio senso critico e dalla propria visione sociale. L’omologazione impoverisce la vita, che si evolve e sopravvive nella varietà. Il brutto, invece, nutre la nostra voglia di cambiare il mondo, è un punto di riferimento fondamentale. Dobbiamo ridarci una proporzione che il capitalismo ci ha fatto perdere. 

Lorenzo Bertelli e Patricia Urquiola

Per ritrovare questa misura bisogna ripensare al nostro ruolo nel mondo. Ci vuole molta delicatezza, sensibilità e attenzione, per vivere nel mondo, e spesso questi atteggiamenti nascono da un senso di umiltà, che ci può dare la bellezza maestosa della natura, ad esempio, ricordandoci che siamo solo una minuscola parte del cosmo, e non gli immortali demiurghi che di solito siamo portati a credere di essere. Il mistero della bellezza – di un volto, di un cielo, di un oggetto o di un’azione generosa – si manifesta quindi come un’epifania e può insegnarci a provare un profondo rispetto verso l’ambiente che ci circonda e tutti gli altri individui.

Enrico Casati e Jacopo Sebastio

Seguendo questa lezione, Velasca, azienda di calzature artigianali, ha fatto riverberare i concetti di bellezza ed etica nella sua comunicazione. Grazie a un uso consapevole e mirato dei social, infatti, è stata in grado di poter offrire i suoi prodotti non a un prezzo accessibile (solo apparentemente democratico), ma a un prezzo giusto. La bellezza per Jacopo Sebastio sta infatti nel valore che diamo alle cose, non nelle cose in sé. È il nostro sguardo che la riconosce e le nostre azioni che la sanciscono. Così Velasca – nata con l’ambizione di portare alle persone di tutto il mondo l’inconfondibile classe italiana – riesce a ridistribuire in maniera un po’ più etica gli utili ai vari attori della filiera, e questa innovazione della collaborazione lavorativa finisce per riverberare positivamente fino ai consumatori. In questo agire c’è la certezza che si debba ridare una misura al mondo, anche nella magia caleidoscopica dell’espandersi dei confini e dell’annullamento delle barriere dato dalle tecnologie digitali. Il canone di bellezza di Velasca è classico per definizione, senza tempo, e quindi non scade mai, non invecchia mai, non deve mai essere sostituito per rappresentare qualcosa di alternativo. Diffonde un ideale di bellezza durevole e responsabile, che può essere riparata invece di essere sostituita, sfruttata e buttata. “Quando ci si impegna ad agire in maniera etica,” sottolinea Sebastio riprendendo la miglior tradizione milanese, “è come se il lavoro diventasse espressione creativa. Ci si gode il piacere di svegliarsi e di andare a lavorare, come fosse un rito, tempo di qualità che dà valore all’individuo e al resto della sua esistenza”.

Lorenzo Bertelli e Jacopo Sebastio

Alla luce di tutte queste visioni, possiamo dire che spesso nella nostra epoca la bellezza svolge una sorta di azione riparatrice. Come scrive il teologo Giuliano Zanchi ne La bellezza complice, dall’avvento dei mezzi di comunicazione mainstream fino ad ora, la bellezza sembra aver preso il posto lasciato vuoto dalla verità: “Dove non è più possibile, per conclamata mancanza di esistenza, affidarsi a qualcosa di vero e reale, si sviluppano strategie di simu­lazione estetica”. La congiunzione tra lo sviluppo tecnologico e il mercato ci ha fornito prodigiosi strumenti digitali per esprimere con una portata inedita le nostre molteplici identità; ci si chiede allora se grazie a una nuova concezione estetica sia possibile riuscire a rifondare anche una nuova etica. Secondo i protagonisti di Tech.Emotion si direbbe di sì. Oggi è sempre più urgente impegnarsi per tornare a far convergere forma ed essenza, bellezza e verità, se vogliamo davvero agire in maniera virtuosa per salvare il pianeta e con esso la nostra esistenza.


“Tech.Emotion – Empower Human Potential” è stata creata da Facebook e da Emotion Network, la media company fondata a Milano da Mattia Mor, Karin Fischer, Gianluca D’Agostino, Massimo Redaelli, Alec Ross, Claude Finckenberg e Thomas Schneider e co-prodotta con Lotus (Leone Film Group) nelle persone di: Enrico Venti, produzione esecutiva, Salvatore De Chirico, sceneggiatura, Danilo Carlani e Alessio Dogana, regia. 

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