Dopo 37 anni il film “Dune” torna per denunciare il rapporto tormentato tra esseri umani e ambiente - THE VISION

“Non voglio essere nella posizione di dover dire ai miei nipoti mi dispiace, di Terra per te non ce n’è più. L’abbiamo usata tutta”. Frank Herbert, l’autore di Dune, si rivolgeva con queste parole alla folla di 30mila persone riunite a Philadelphia per la prima Giornata della Terra della storia. 

Era il 1970. Mancavano nove anni alla pubblicazione del Rapporto Charney con cui NASA e National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense avvertivano che il riscaldamento globale era alle porte, ma già dai primi anni Quaranta si sospettava che i livelli di Co2 nell’atmosfera stessero aumentando invece di essere completamente assorbiti da foreste e oceani. 

Precursore di un sottogenere, quello della climate fiction, che avrebbe esplorato la questione ambientale da una miriade di prospettive diverse nei decenni a venire, Dune era stato mandato in stampa cinque anni prima e aveva già vinto due dei più prestigiosi premi del settore, lo Hugo Award e il Nebula Award. Arthur C. Clarke, autore di 2001: Odissea nello spazio, aveva scritto che “non aveva mai letto nulla di simile, se non Il Signore degli Anelli”. Di fronte a un movimento senza precedenti storici, mentre 20 milioni di statunitensi scendevano in piazza in tutto il Paese per protestare contro l’immobilismo governativo in materia ambientale, Herbert si trovava sul palco per parlare del tema che era stato al cuore del suo lavoro di autore fin dal principio: l’ecologia.

Ambientato in un universo in cui le risorse naturali e il controllo dell’ambiente sono al centro di feroci battaglie politiche, Dune è ricco di riflessioni su cosa significhi doversi adattare a un clima del tutto ostile alla vita umana e su come sia necessario agire collettivamente e con uno sguardo di lungo periodo se si vuole attuare una trasformazione ecologica duratura. 

L’intera storia ruota attorno ad Arrakis, pianeta quasi totalmente desertico abitato da enormi vermi delle sabbie che producono come scarto biologico il melange, o spezia, una sostanza che allunga la vita umana, conferisce doti sovrumane a chi la assume e permette di pilotare le astronavi attraverso lo spazio-tempo. Una risorsa naturale rarissima da cui dipende l’esistenza di un intero impero. Per questo Arrakis è occupata da secoli da casate straniere che, per ordine di una distante corte imperiale, estraggono a ritmo serrato il melange per poi rivenderlo ai quattro angoli dell’universo. 

Gli interessi economici di queste casate – tra cui spiccano gli Harkonnen, spaventosi, crudeli e ricchissimi – si scontrano direttamente con quelli dei Fremen, la popolazione indigena di Arrakis che si è adattata col tempo ad esistere in un ambiente quasi totalmente privo di acqua, e che generazione dopo generazione sta lavorando in segreto per trasformare l’ecosistema planetario perché diventi ricco di acqua e vegetazione, ma necessariamente privo di spezia. Diffidenti nei confronti degli effetti che un intervento umano non ragionato può avere sul pianeta e grandi sostenitori della necessità di fornire un’”alfabetizzazione ecologica” a tutti, i Fremen riflettono a tutti gli effetti la saggezza ecologica delle popolazioni indigene, ignorata se non denigrata dalle potenze coloniali occupanti.

L’ecologia non è l’unico tema di Dune, in cui si trovano anche ragionamenti complessi sul potere, la religione e la mitizzazione, l’ascesa e il declino degli imperi e il lato oscuro dell’eroismo. Ma è impossibile pensare a Dune senza riflettere sulla coesistenza tra essere umano e ambiente. Così, uno dei personaggi centrali della storia è un planetologo ed ecologo, Liet-Kynes, custode della conoscenza indigena e rappresentante della volontà politica ecologista che vuole la trasformazione di Arrakis in un pianeta abitabile, anche se meno economicamente redditizio. Mentre le varie casate si fanno la guerra per il controllo della spezia e la distribuzione del potere a livello interplanetario, Liet-Kynes e i Fremen perseguono uno scopo di lungo periodo basato sulla conoscenza minuziosa del funzionamento dell’ecosistema in cui vivono. 

L’ispirazione per il suo capolavoro era arrivata all’autore mentre lavorava a un reportage giornalistico su un progetto del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense che avrebbe permesso alle autorità locali di domare le immense e incontrollabili dune di sabbia che si formavano sulla costa dell’Oregon, e mettevano in pericolo la popolazione locale, piantando delle graminacee europee nell’area. Osservando le dune invadere una vicina autostrada, Herbert rimase affascinato dalle implicazioni di ciò che accade quando l’uomo e la natura si scontrano: la storia, avrebbe scritto più tardi, alimentò il suo interesse “per il modo in cui ci infliggiamo al nostro Pianeta. Potevo iniziare a vedere la forma di un problema globale, nessuna parte separata da qualsiasi altra: ecologia sociale, ecologia politica, ecologia economica”. Il suo Dune, sperava, sarebbe stato “un manuale di consapevolezza ecologica”.

Sono passati più di cinquant’anni, l’emergenza climatica che Herbert vedeva all’orizzonte è ormai evidente, e il suo libro, il primo grande romanzo di fantascienza ecologista, arriverà presto nelle sale in una trasposizione cinematografica firmata Denis Villeneuve, già regista di Arrival e Blade Runner 2049. Si tratta del secondo adattamento del libro dopo quello di David Lynch del 1984. Presentato al Festival del Cinema di Venezia dopo un lungo posticipo a causa della pandemia, il Dune di Villeneuve deve affrontare più di una prova. 

Il libro di Herbert è infatti noto per la difficoltà che hanno incontrato in passato i registi che hanno provato ad adattarlo per il grande schermo: uno spettacolare adattamento di Alejandro Jodorowsky doveva farne un film di 10 ore, con un cast che includeva Salvador Dalì, Orson Welles, Alain Delon e Mick Jagger, ma non è mai andato in porto; la versione di David Lynch, del 1984, è ricordata come un enorme insuccesso da pubblico e critica. 

L’altra grande sfida di Villeneuve è dare vita a un ecosistema – ambientale, politico e sociale – estremamente complesso, in un momento in cui più che mai abbiamo bisogno di rispondere collettivamente e creativamente all’emergenza climatica. 

Il regista canadese sembra essere molto consapevole delle aspettative che gravano sulle sue spalle: “all’epoca, Herbert stava facendo un ritratto del Ventesimo secolo, ma penso che nel tempo sia diventato sempre più una previsione di ciò che accadrà nel Ventunesimo”, ha commentato recentemente. Nonostante il suo film racconti soltanto la prima metà di Dune – il regista spera di poter cominciare quanto prima a lavorare sulla seconda – nel guardarlo è impossibile non percepire come il pianeta sia raccontato, esattamente come nel libro, come un essere vivente, un personaggio centrale attorno a cui ruotano le vicende narrate. 

Il rapporto tormentato ma strettissimo dei personaggi con un ecosistema che vogliono controllare a tutti i costi, ma che spesso non hanno la pazienza di fermarsi a comprendere, percorre il film. A emergere è il senso di consapevolezza sulla delicatezza del rapporto tra uomo, ambiente, geografia e clima che Herbert stesso ha esplicitato più volte in vari cicli di conferenze che spiegavano come le preoccupazioni ambientali degli abitanti di Dune fossero analoghe alle nostre. 

Come sottolinea il critico Steve Duffy, “al centro di Dune c’è un senso di catastrofe imminente. I personaggi immaginano un grande conflitto nel loro futuro. Gli onorevoli Fremen si sono stufati degli avidi Harkonnen, e la soluzione non può che precipitare. Oggi siamo ai margini di una simile (sebbene meno drammatica) dicotomia; c’è chi nasconde deliberatamente la testa sotto la sabbia e chi mette in dubbio le evidenti conseguenze che le nostre azioni stanno avendo sulla Terra”. “Con Dune”, continua Duffy, “Herbert ha presentato un pianeta che gli umani hanno dovuto lavorare per rendere abitabile. L’ironia sta nella nostra realtà attuale: viviamo su un Pianeta perfettamente adatto alla vita ma quotidianamente facciamo del nostro meglio per renderlo inabitabile. E questo è forse più difficile da digerire anche della più allarmante delle storie di fantascienza”.

Herbert e il ritorno del suo libro in forma cinematografica sono allora una grande occasione per continuare a parlare di ecologia. Come fa dire l’autore a uno dei suoi planetologi più illustri, “la più alta funzione dell’ecologia è la comprensione delle conseguenze”. E di conseguenze, sulla Terra, ne dobbiamo affrontare sempre di più.

Tutte le foto © Warner Bros.

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