“Non leggo mai i giornali al mattino, perché stampano solo quello che voglio io”. Con questa frase Napoleone III ironizzava sulla pratica censoria che lui stesso aveva imposto in Francia dopo il colpo di Stato del 2 dicembre 1851. A causa sua, infatti, ogni pubblicazione politica doveva passare al vaglio del governo, furono inasprite le pene per i reati di opinione e la libertà di stampa rimase a lungo un’utopia. Oggi le parole del re di Francia sembrano riecheggiare a proposito di una decisione che ha scosso l’opinione pubblica, ovvero quella di vietare ai minori di 18 anni il film di Stefano Mordini tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati, La scuola cattolica.
La storia racconta da un punto di vista alternativo il massacro del Circeo, avvenuto tra il 29 settembre e il primo ottobre del 1975 e in cui la diciannovenne Rosaria Lopez perse la vita dopo ore di sevizie e violenze sessuali, perpetrate da un gruppo di giovani della Roma bene. Insieme a Lopez, nella villa degli orrori che fu teatro del delitto, era stata trascinata anche Donatella Colasanti, all’epoca minorenne e sopravvissuta per miracolo. Durante il processo, Colasanti salì al banco dei testimoni per ritrovarsi presto a essere anche imputata: la difesa di Izzo e Guido, due dei responsabili del delitto, tentò di mettere in discussione la sua reputazione accusandola di facili costumi e sottoponendola al fuoco incrociato del maschilismo e del bigottismo all’epoca imperante. Oggi, la pellicola che avrebbe dovuto raccontare alle nuove generazioni non solo una storia di crudeltà e violenza atroce e gratuita, ma anche fotografare una società che stigmatizza le donne che subiscono violenza piuttosto che i loro carnefici, in Italia viene oscurata.
ll divieto di visione del film esteso agli infradiciottenni arriva a soli sei mesi dall’intervento del ministro Dario Franceschini, che dichiarava archiviato il sistema di controlli che consentiva allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti. A prendere questa decisione è stata la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche, adducendo la seguente motivazione: “Il film presenta una narrazione filmica che ha come suo punto centrale la sostanziale equiparazione della vittima e del carnefice. […] In particolare i protagonisti della vicenda, pur partendo da situazioni sociali diverse, finiscono per apparire tutti incapaci di comprendere la situazione in cui si trovano coinvolti”. Il regista Stefano Mordini si è detto amareggiato per questa decisione drastica e per le motivazioni addotte dalla Commissione. Nel ritrarre la vicenda, spiega Mordini, il film ha voluto evitare la manichea suddivisione tra “buoni” e “cattivi”, mettendo in luce che, qualunque sia il nostro sostrato socioculturale, ognuno di noi può scegliere di orientarsi verso azioni moralmente rette. Il regista ha poi aggiunto che la pellicola è stata realizzata proprio per raccontare ai giovani le atrocità di un fatto accaduto molti anni fa, ma che rivela dinamiche sessiste purtroppo ancora residue. Anche i familiari di Lopez e Colasanti hanno mostrato disappunto per la decisione di censurare in questo senso il film, come si evince dalle dichiarazioni dell’avvocato Stefano Chiriatti. “I miei assistiti”, ha spiegato l’avvocato “hanno visionato il film. Il loro evidente coinvolgimento, personale e affettivo ha indotto in loro il risvegliarsi di traumi e dolori profondi. Malgrado l’enorme sacrificio, umano ed emotivo, legato alla rievocazione vivida, visiva e sonora, di quanto accaduto alle rispettive sorelle, hanno, tuttavia, apprezzato la volontà di tramandare, anche in chiave di ammonimento per il futuro, la memoria della loro tragedia, soprattutto alle giovani generazioni”.
Ciò che stride più di tutto è il fatto che questa decisione sia in contraddizione con quanto dichiarato da Franceschini alla firma del decreto dello scorso 5 aprile. A tal proposito, fonti del ministero della Cultura precisano che la pellicola uscirà nelle sale senza tagli e modifiche e che dunque non si può parlare di vera e propria censura poiché “è la classificazione dell’opera che rimane in essere, come succede nella stragrande maggioranza degli altri paesi europei”. Francesco Rutelli, presidente dell’Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e multimediali) si è apertamente scagliato contro il divieto: “Purtroppo gli annunci di abolizione della censura non hanno trovato riscontro in una procedura che, spero per poche settimane, è ancora in vigore” Poi ha continuato: “Qualcosa non funziona, se si pensa di far votare i sedicenni, ma gli si impedisce di vedere [… ] un film basato su fatti di cronaca, cui tutti hanno avuto liberamente accesso e che hanno profondamente interpellato la società italiana”.
La pratica censoria, a cui questa decisione comunque appartiene, è una violenza, e la scelta di applicarla ancora nel 2021, ai danni di un film come La scuola cattolica non è solo anacronistica, ma sintomatica di un bigottismo ipocrita che promuove un presunto politicamente corretto a sfavore della consapevolezza delle nuove generazioni. Il massacro del Circeo non racconta solo un fatto di cronaca nera e un crimine efferato, ma è diventato uno dei simboli più pregnanti delle battaglie femministe in Italia. Grazie al coraggio e alla dignità di Donatella Colasanti, che rifiutò il cospicuo risarcimento offerto dalle danarose famiglie degli stupratori e scelse di salire sul banco dei testimoni, alla metà degli anni Settanta si aprì un dibattito che si concluse nel 1996, quando in Italia il reato di stupro passò dall’essere considerato un crimine contro la morale a crimine contro la persona. Difesa dalla penalista e femminista Tina Lagostena Bassi, che si batté per la tutela delle vittime di violenza sessuale, Colasanti divenne un simbolo per generazioni di donne la cui vita è stata segnata dal sessismo dell’opinione pubblica, oltre che dagli abusatori.
La scuola cattolica vuole raccontare ai giovani una tragica storia appartenente al nostro passato, portatrice di plurime narrazioni e di forte peso nella realtà contemporanea: la reificazione della donna, il nichilismo giovanile, l’assenza di valori di alcuni ambienti altoborghesi, che talvolta può commutarsi in comportamenti crudeli e azioni criminali. Vietare la pellicola ai minori è l’ennesimo schiaffo a una generazione che ha un urgente bisogno di conoscere il passato, anche attraverso il mezzo artistico, per poter riflettere e costruire un proprio pensiero e una coscienza critica.
I giovani non hanno bisogno di essere protetti attraverso metodi che limitano la loro libertà di sguardo e di pensiero. Non siamo ipocriti: oggi immagini e video che inneggiano alla violenza, così come esempi di comportamenti discutibili, sono fruibili dalle nuove generazioni senza alcun filtro. Il web costituisce non di rado un serbatoio di abusi psicologici realmente e tragicamente lesivi dell’emotività di tutti quegli adolescenti che, proprio perché in un’età delicata, sono particolarmente fragili ed esposti. Alla luce di questo, reputare un’opera come il film di Mordini pericolosa per i minorenni è ingiusto e ridicolo: la cultura e l’arte in tutte le sue forme saranno e continueranno a essere gli strumenti corretti per la formazione del libero pensiero della persona e per la stratificazione del suo sguardo sulla realtà. La scuola cattolica è, o meglio avrebbe potuto essere, lo strumento per far conoscere ai giovani il difficile cammino che ha portato le donne a conquistare certi diritti che sarebbero dovuti essere stati riconosciuti loro ben tempo prima, e anche a comprendere che di fronte a una violenza sessuale non è mai colpa delle vittime, nonostante qualcuno ciclicamente provi a sostenere il contrario.
Le nuove generazioni hanno il diritto di sapere e di vedere, e questo ennesimo gesto di ipocrisia gli toglierà una possibile occasione di farlo. La “censura” de La scuola cattolica mette in luce quanto in Italia siamo ancora vittime e schiavi di un’arretratezza che ci impedisce di progredire da un punto di vista etico ed esistenziale. La storia del nostro Paese parla chiaro: per anni la pratica censoria ha mutilato le opere di registi divisivi, sfrontati, dissacranti, capaci di rappresentare la società con una lucidità e profondità di sguardo uniche, primo fra tutti Pier Paolo Pasolini. Con il decreto del 5 aprile, sembrava che la storia della censura cinematografica in Italia fosse giunta al suo epilogo, ma la decisione della commissione nei confronti del film di Mordini ha scritto un nuovo triste capitolo.