Casino Royale, fermi alla velocità della luce, capaci di viaggiare nel tempo - THE VISION

“Ricordate la prima volta che vi siete incontrati?”, chiedo ad Alioscia Bisceglia e a Dee Mo, seduti l’uno di fronte all’altro mentre pranziamo in un onirico concept store giapponese in zona Navigli, a un passo dal bar, noto alla creative class milanese, fondato dal primo, e giusto qualche strada più in là dalla casa in cui vive il secondo, trasferitosi a Milano dopo una vita passata a Bologna. “Ci siamo visti per la prima volta trent’anni fa, a un concerto dei Public Enemy, mi pare. Mi ricordo di averlo incrociato a Milano, in una casa in zona Rogoredo,” mi risponde Alioscia. “Io ricordo invece di averlo incrociato a una serata Ghettoblaster [ndr. la jam che nei primi anni Novanta veniva organizzata al centro sociale Isola nel Kantiere di Bologna],” ribatte Dee Mo. “La prima volta che ci siamo parlati, però, credo fossimo al Leoncavallo per un’assemblea su autogestioni e autoproduzioni… con gente più grande, c’era anche Primo Moroni. Ci siamo appartati per parlare di musica”.

Alioscia e Dee Mo © Alessandra Lanza

Sempre a Milano, pochi anni prima, nel 1987, si erano formati i Casino Royale, che dopo i primi album in lingua inglese, caratterizzati da un sound ska e reggae, avevano scelto di cantare in italiano avvicinandosi progressivamente a sonorità dub, hip hop e drum’n’bass, con un costante approccio sperimentale. Alioscia – tra i fondatori del gruppo milanese e ancora oggi anima e voce del progetto – si era diplomato un anno prima all’Istituto d’arte con un progetto intitolato “Studio di una linea di metropolitana per la città di Bologna”, innamorato di quella città prima ancora che centri sociali come “Isola nel Kantiere” prendessero vita sopperendo alla carenza, tutta italiana, di spazi culturali indipendenti: luoghi di scambio e aggregazione come quelli presenti in Nord Europa.

Isola nel Kantiere, Piazza San Giuseppe durante l’occupazione di locali appartenenti al teatro Arena del Sole da parte di giovani punk, 1988 – foto di Luciano Nadalini studio Camera Chiara Bologna ©
Occupazione di locali vuoti in piazza San Giuseppe appartenenti al teatro Arena del Sole da parte di giovani Punk nel 1988- foto Luciano Nadalini studio Camera Chiara Bologna ©

“Avevo conosciuto Bologna andando a vedere i concerti, seguendo Andrea Pazienza, le controculture… Tra case occupate e biciclette era la mia Amsterdam Italiana, piena di pionieri dalla mente aperta”. Dee Mo, all’epoca writer e promotore delle serate hip hop all’Isola, oggi art director e grafico, come mi racconta Alioscia, “faceva parte di quel mondo bolognese del rap che era parte di una costellazione di centri sociali, che sentivo più vicino a me e interessante rispetto al mondo del rap militante che vivevo a Milano e non trovavo in linea con i miei gusti. A Bologna era tutto molto più creativo, laico, nordeuropeo, ironico… e nel mio piccolo il posto che avevamo fondato in città [ndr. il centro sociale di via Garigliano a Milano, nel quartiere Isola, aperto nel 1991] era molto più ispirato alla realtà bolognese che alla parte militante e comunista locale”.

Circa un anno fa, con Aldebaran Records, è uscito Polaris, il tredicesimo album dei Casino Royale, l’ennesima reincarnazione sonora di un gruppo da sempre in evoluzione. Era stato anticipato, dopo 10 anni di silenzio, da Quarantine Scenario, un lavoro partecipato di musica e parole per raccontare il difficile momento della prima ondata di pandemia. I temi contenuti in Polaris, dalla solitudine alla necessità di guardarsi dentro per comprendersi meglio, sono perfetti non solo per il periodo che stiamo vivendo dal 2020, ma per questo inizio di Millennio in toto. 

Dee Mo

L’album, infatti, affonda le sue radici negli anni Novanta – momento in cui se Internet era ancora qualcosa di esotico, si sentiva però già forte l’impatto dell’ideologia capitalista, destinato ad allargarsi – e la sua genesi precede la pandemia, perché prende spunto da quella Milano post-EXPO in cui il refrain è produrre, consumare, partecipare, esserci, fare – qualsiasi cosa. Alioscia e Dee Mo si sono confrontati a lungo su questi temi, in particolare durante le telefonate mattutine con cui il primo riempie il suo tragitto casa-lavoro, e si sono trovati d’accordo nel riconoscere una solitudine sempre più crescente e, di riflesso, il bisogno di ritrovare una collettività e una direzione, anche in un mondo che sembra essere senza futuro. La veste grafica dell’album – che richiama la poster art, con echi punk e foto di manifestazioni, ed è stata curata da Dee Mo – nasce proprio da queste chiacchierate sui loro stati d’animo, sulla vita e sulla direzione in cui sta andando il mondo e dal background che condividono, nato da un certo imprinting e preservatosi in un’attitudine precisa nei confronti dell’esistenza, caratterizzata dal reagire alla realtà quando questa non ci convince invece che subirla passivamente e che trova la sua forza nelle alleanze tra simili, creativi e non.

L’asse Milano-Bologna passa proprio da loro due, anche se ora vivono entrambi a Milano, la città che Alioscia e i Casino Royale hanno raccontato per anni, come centro nevralgico, nel bene o nel male, di una certa cultura italiana. A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta la città viveva il suo periodo oscurantista, violento, depresso. Quello da cui Bologna aveva cercato di uscire con l’esperienza dei centri sociali, seguendo il motto di Stop al Panico, il singolo del 1991 degli Isola Posse All Stars, crew rap costituita appunto da Dee Mo insieme a Deda, Gopher D, Treble e Papa Ricky, che divenne il manifesto di quella stagione calda anche per la concomitanza con l’attivismo politico legato al movimento studentesco contro la prima guerra in Iraq. Non un gruppo di ribelli come banalizza spesso qualcuno, ma di ragazzi impegnati, convinti che si potesse costruire un’alternativa alla realtà delle cose.

“Da frequentatore di centri sociali,” continua Alioscia, “non sentendomi a mio agio in quelli di via dei Transiti o di via Conchetta a Milano, ho fatto quello che avrebbero dovuto fare tutti, l’outsider, dando vita personalmente ad una strada alternativa, con un linguaggio politico diverso e con tanti elementi di intrattenimento, anche giovanilistico e adolescenziale forse, ma avevamo quell’età”. Nel cortile di Garigliano, mentre writer come Kado dipingevano muri e serrande, a suonare c’erano talenti come Dj Gruff, che l’anno dopo con Neffa, Dee Mo e il resto dell’Isola Posse All Stars avrebbe inciso il secondo e ultimo singolo del collettivo, “Passaparola”. Alla fine del tour che ne seguì Dee Mo lasciò il gruppo, dalle cui ceneri nacquero i Sangue Misto, e anche questa è storia.

Milano: casa occupata di via Garigliano. Anni ’90. – foto di Gin Angri ©

Per Dee Mo, anche se lontana dall’essere un divertimentificio, Bologna dopo i primi anni Novanta non offriva più una valida alternativa al sistema; non rappresentava più la perfetta commistione di culture e visioni progressiste capaci di abbracciare differenze e dar vita a un cambiamento che era stata un tempo, come nel 1989, quando capitava che gente come DJ War, il fondatore dei Sud Sound System, “importasse” da Lecce un sound sconosciuto come reggae salentino. Senza i problemi tipici delle grandi città e con la voglia di fare militanza in un certo modo, Bologna si era trovata a essere un posto da cui la Milano di allora aveva molto da imparare. “Il problema di Bologna,” racconta Dee Mo, “era stato quel Partito Comunista che aveva monopolizzato i discorsi di sinistra e non era mai stato disposto a offrire uno spazio fisico a questi giovani”, ecco com’era nata l’esperienza dell’Isola e come poi era finito tutto, disgregandosi in realtà più piccole a cui mancava una progettualità condivisa.

DeeMo al microfono, happening in via indipendenza contro lo sgombero dell’Isola Nel Kantiere – foto di Luciano Nadalini studio Camera Chiara Bologna ©
Da sinistra: in consolle Dj War (Sud Sound System); al microfono: Treble (Sud Sould System); in prima fila: Gopher D, Deda, Papa Ricky, Alessiomanna, di spalle. Jam session in piazzetta S.Giuseppe. Ultime settimane dell’Isola nel Kantiere prima dello sgombero. – foto Luciano Nadalini studio Camera Chiara Bologna ©

I ricordi di Alioscia e Dee Mo si mescolano e trovano conferma nel definire il decennio degli anni Novanta, passato presto e diventato altro, come i testi dei Casino Royale profetizzavano in musica, raccontando argomenti che sono tornati in maniera spontanea in Polaris. Questo, più che un disco, per Alioscia è un vero e proprio progetto di comunicazione, curato dalle note capacità grafiche di Dee Mo, che ha fatto sì che si manifestassero tante occasioni, come quella rappresentata da Milano Club, un mediometraggio su Milano, nato dalla musica stessa, e lo spettacolo live previsto per il 13 marzo al Museo della Triennale.

“I risultati,” dice Dee Mo, “sono qualcosa di diverso rispetto a un vero e proprio album: loro non sono lo stesso gruppo di CRX o di Sempre più vicini [ndr. tra i dischi più famosi e apprezzati dei Casino Royale], l’approccio, oltre agli anni e alla formazione, è diverso”. Un monito per tutti i nostalgici degli storici album della band. “La nostalgia è una zavorra, si trasforma in una sorta di schermo su cui vengono proiettate emozioni che ciascuno ha vissuto in determinati momenti della propria vita: c’è chi vive con questo schermo davanti, e non riesce a vedere oltre”, spiega Dee Mo, anche se molto di ciò che erano i Casino Royale, insieme alla loro storia ed esperienza, è a tutti gli effetti confluito in Polaris. A partire dal loop di “In My Soul Kingdom” [ndr. brano contenuto nell’album Howie B Vs. Casino Royale – Not in the face uscito nel 2007 per V2 Records Italia], che viene recuperato nel brano primogenito dell’album, sesta traccia, “Fermi alla velocità della luce”, che invita infatti a prendere spunto dal passato per creare un futuro migliore e più sostenibile.

Foto di Sha Ribeiro

L’aria di apocalisse di cui Alioscia canta nel brano “Tra noi” –  che apre il disco portandoci subito in atmosfere rarefatte e sospese in cui l’umanità si è persa e che i beat e le melodie sembrano voler diradare – in questo 2022 appare ancora più attuale che in quel 2017 che l’aveva ispirata. In “Scenario” a parlare tramite la voce del frontman, poi, è Josh, uno spirito guida che ci ammonisce a rimanere uniti, a non abbandonarci alla solitudine in cui siamo immersi. “Contro me stesso / ho combattuto / ho combattuto al mio fianco / ho perso il senso, il tempo, il resto, ma ora sto rinascendo”, dice Alioscia nella quarta traccia, “Ho combattuto”, e la crescita del gruppo e del suo paroliere e frontman è evidente.

Anche se il DNA è sempre quello, lo sguardo, più maturo, punta sempre verso una certa direzione. Per Alioscia, invece, comunicare qualcosa ha sempre il fine di capire se qualcos’altro ritorna, dando vita a un lavoro collettivo, che è poi quello che conta quando si fa musica, o più in generale cultura. “Per me questa è stata una maniera molto interessante e diversa di rapportarmi alla musica, che non ha niente a che fare con la discografia: trova una forma di espressione anche attraverso la parola, la grafica… ha la dignità, forza e impatto tanto per il suono quanto per l’immagine,” e per questo l’apporto di Dee Mo è stato fondamentale. “Ricordo che quando venne Akeem Bay dagli Stati Uniti ospite nel centro sociale in Garigliano,” conclude Alioscia, “dopo che vide come vivevamo e cosa organizzavamo, ci disse: ‘Ma le istituzioni vi pagano per fare questo?’. Quando gli rispondemmo di no, ci chiese chi ce lo faceva fare. Noi, profondamente europei, eravamo votati a una causa. Cattolici e comunisti, siamo sempre stati a cercare un paradigma. Ora stiamo prendendo una deriva molto simile a quella americana, in cui ognuno si preoccupa del suo ed è armato, pronto a tutto”. Polaris parla anche di questo.

Foto in copertina di Sha Ribeiro 

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