Come Brazil di Terry Gilliam ha completamente predetto il nostro terrificante presente

Pochi registi come Terry Gilliam hanno saputo ritrarre gli aspetti più cupi e grotteschi della società in cui viviamo. Gilliam, già celebre per il suo lavoro con i Monty Python, nel 1985 realizzò una pellicola epocale, Brazil, seconda opera della cosiddetta “trilogia dell’immaginazione”, tra I banditi del tempo e Il barone di Munchausen. Il film di Terry Gilliam ci traghetta “Da qualche parte nel ventesimo secolo”, in un futuro distopico, un mondo freddo, industriale, preda di una tecnologia tentacolare, una società inquinata da una burocrazia repressiva e incompetente e un sistema di sorveglianza asfittico. Il protagonista è Sam Lowry, un tecnocrate del Ministero dell’Informazione tormentato che sogna una vita in cui può letteralmente volare via e passare l’eternità con la donna dei suoi sogni. Il mondo che lo circonda però è innaturale e ostacolato dalle macchine e dall’architettura opprimente, un mondo occupato da tragici attentati terroristici, sudicio e scuro in cui la fantasia viene in tutti i modi disincentivata, colmo di macchinari obsoleti e malfunzionanti: raramente si vede il cielo o qualsiasi forma di vita vegetale. Brazil non ha una cornice precisa, la città che sovrasta i personaggi non ha una collocazione perché rappresenta tutte le potenziali città del mondo, uno scenario allegorico e singolare.

La realtà di Brazil è soggiogata da un’autorità e da un sistema ossessionati dai documenti: i francobolli, i timbri e le ricevute rendono insignificanti le libertà e prosciugano l’umanità. Tutto è progettato per l’efficienza ma è completamente inefficiente: dal sistema di riscaldamento automatico, alle macchine da caffè, ai menu dei ristoranti. Lo spettatore si sente come un claustrofobico in una stanza che si restringe. Ed è lo stesso per Sam, la cui vita cambia radicalmente quando svela un falla, un errore del sistema che porterà un uomo, Buttle, a essere arrestato, torturato e ucciso con l’accusa di essere un ribelle. In realtà si è trattato di uno scambio di persona, causato proprio dal malfunzionamento di uno dei macchinari: l’uomo che il ministero cercava era un tale Tuttle, idraulico e riparatore. L’eccesso di procedure burocratiche lo ha spinto a lavorare per conto suo, una pratica assolutamente illegale, dal momento che anche le tubature sono sotto controllo. Questa sua scelta lo ha reso agli occhi del Ministero un pericoloso e ricercato terrorista. Sam vede Tuttle come un eroe per la stessa ragione per cui il Sistema lo vede come una minaccia: è libero. Il protagonista apre così gradualmente gli occhi sulla realtà che lo circonda, riacquistando quell’umanità che un governo oppressivo e paralizzante gli aveva portato via. Un cambiamento di mentalità che lo renderà a tutti gli effetti un nemico dello stato.

Nel dipingere un mondo ossessionato dalla formalità e dalla burocrazia, Gilliam non poteva fare a meno di inserire l’elemento propagandistico: i manifesti, che somigliano agli slogan di 1984 di Orwell, trasmettono indottrinamenti che inducono paura e terrore contro il pensiero indipendente, come “Information is the key to prosperity” – l’informazione è la chiave della prosperità; o “Be safe, be suspicious” – sii prudente, sii sospettoso; o ancora “The Truth Shall Make You Free” – la verità vi renderà liberi. Ciò che attesta la maggior somiglianza con il capolavoro di Orwell è l’onnipresenza dei dispositivi di scansione e di sorveglianza, un vero Grande Fratello che con i suoi occhi pedina e sorveglia ogni membro della società.

Brazil possiede in sé molto della realtà in cui viviamo, sempre più figlia di futili distrazioni, forze dell’ordine sospettose e invasive, preda di tragici attentati terroristici. Gli attentati esplodono ovunque, in ogni piazza e strada, ma ciò che riflette il mondo di oggi non è solo il loro modo di perturbare le vite, ma le reazioni dei cittadini: a parte le vittime, la stragrande maggioranza delle persone è insensibile a tutto ciò che la circonda, come mostrato nella scena del ristorante, in cui la gente, indifferente all’esplosione di una bomba e ormai assuefatta alla violenza e al terrore, si dimostra priva di ogni empatia nei confronti dei feriti. Ciò che Brazil mostra con cinica analisi è come il consumismo e la normalizzazione della morte siano diventati degli oppiacei, l’ultima seduzione di un uomo schiavo del sistema la cui attenzione viene unicamente rivolta agli spot pubblicitari, all’acquisto di nuovi prodotti e alla chirurgia estetica.

Ma ciò che ci riporta a oggi, nello specifico agli attacchi terroristici che hanno colpito l’Europa dal 2015 al 2018, è l’identica e spesso crescente regolarità con la quale stanno sconvolgendo le nostre città, una regolarità piuttosto terrificante: dopotutto Brazil è in parte basato sulla stessa esperienza di Gilliam, che ha vissuto a Londra durante gli attacchi e le stragi dell’IRA. Ciò che si sente spesso dire, in seguito a queste tragedie è che “la vita continua”. Le persone imparano a ignorarle, a passarci sopra: il monito di Gilliam poggia proprio sul concetto “Life goes on”, la vita va avanti. In Brazil gli abitanti delle città sono gelidi e insensibili a ciò che accade perché si fidano del loro governo; una fiducia mal posta poiché nel film non si vedono mai gli agitatori dietro questi attacchi e in genere la colpa ricade sempre su persone innocenti.

Oggi ci stiamo abituando a essere sorvegliati. Edward Snowden, Julian Assange e Chelsea Manning sono stati forse i più celebri testimoni delle conseguenze della sorveglianza di massa e, nonostante le loro rivelazioni, nulla hanno potuto su questo truce andamento globale. Un quadro che diventa ancora più inquietante considerando le attività di tracciamento e profilamento che vengono fatte continuamente sulle nostre attività sul web e sui social, rendendoci meri oggetti di ricerca di marketing. Allo stesso tempo esistono casi in cui le intrusioni nella privacy sono legittimate e ammesse, in genere a condizioni precise, ovvero se sono necessarie e previste dalla legge o se perseguono uno scopo legittimo. In quei casi l’idea della sicurezza diventa una necessità primaria che mette in secondo piano la nostra riservatezza. Tracciamento, telecamere di sorveglianza diventano così un compromesso necessario tra il nostro bisogno di sicurezza e il diritto alla privacy.

Solo qualche giorno fa Donald Trump ha firmato il rinnovo per sei anni della sezione 702 del Foreign Intelligence Surveillance Act (Fisa), che consente alla National Security Agency di obbligare le aziende statunitensi, come Google, AT&T e Facebook, a permettere l’accesso illimitato, senza mandato, alle e-mail e a tutte le altre forme di comunicazione di cittadini statunitensi e stranieri.

Ma Brazil ha anche sottolineato come l’autorità sia ossessionata dalla burocrazia, che rispecchia il disagio endemico dello stato, una complessità che si riflette perfettamente nella nostra realtà, serrata da procedure formalistiche e cavilli intricati che impediscono di semplificare le amministrazioni e le procedure fiscali. Brazil critica aspramente la forma obsoleta delle gerarchie governative, abitate da persone che si rimpallano l’un con l’altro reciprocamente la responsabilità, in cui ogni movimento e ogni azione prevede la compilazione di un modulo, mentre ai vertici delle classi dirigenti, coloro che detengono il potere sono persone mediocri, nullafacenti, ignoranti e servili che sfruttano i loro sottoposti per far fronte alla loro totale inadeguatezza.

Il mondo che Gilliam aveva previsto in Brazil mette in scena una realtà in cui siamo solo ingranaggi in una macchina e in cui la nostra individualità non ha senso. Inondato dalla burocrazia e dalla sorveglianza, che dominano quasi ogni aspetto della vita, il protagonista del film fugge attraverso l’unico mezzo a sua disposizione, i suoi sogni, in cui si immagina di essere un cavaliere alato che cerca di salvare una damigella in difficoltà: la fantasia e la distrazione sono la sua unica fuga. Brazil rifiuta la catarsi e in questo è paragonabile a 1984 di George Orwell, sua dichiarata ispirazione al punto che Gilliam avrebbe voluto intitolare il suo film 1984 e 1/2, un’ideale fusione tra Orwell e Federico Fellini. Anche se per ragioni diverse, entrambe le storie finiscono male e riconoscono la vittoria finale dell’istituzione dispotica sull’individuo: Sam preferisce rifiutare la realtà e rassegnarsi a una catatonia irreversibile. Mentre il libro di Orwell servì come monito contro i governi totalitari, criticando il potere tout court, dal nazismo al capitalismo, fino allo stalinismo, Brazil è riuscito ad andare oltre gli aspetti più deleteri del regime, suggerendo quanto l’immaginazione sia uno dei pochi rifugi dalla realtà. A volte Brazil può sembrare cupo ma resta una favola potente che mostra come l’individuo lotta contro il sistema grazie alla fantasia; anche se sussiste solo come un sintomo del suo desiderio, il sogno è intrinsecamente ribelle, è l’unico atto di ribellione e il rifiuto totale di conformarsi.

Quello che colpisce è quanto Terry Gilliam sia stato lungimirante e quanto Brazil sia un film perfettamente contemporaneo, nonostante siano passati più di trent’anni dall’uscita. Il regista britannico già nel 1985 previde tante delle nostre degenerazioni, dalla mancanza di un riferimento culturale e ideale all’egoismo e all’egocentrismo dell’uomo che preferisce non vedere e chiudersi in una gabbia dorata.

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