La prima volta che ho sentito parlare di cicli chiusi e di economia circolare è stato nel 2016, durante un laboratorio di progettazione universitario dedicato alla decostruzione di un grande ospedale di una piccola città toscana. Da allora sembrano passati secoli per quanto riguarda la sensibilizzazione sempre più diffusa su questi temi, ma all’epoca io e gli altri membri del corso – sotto una persistente pioggia battente che di certo non rendeva più semplice il sopralluogo – ci chiedevamo cos’avessimo fatto di male per meritarci il professore che credeva di essere a Detroit, Michigan, e che invece di farci fare un progetto come tutti gli altri – solo un po’ più grande – ci chiedeva di fare qualcosa che non eravamo minimamente preparati ad affrontare: organizzare in maniera ragionevole e il più possibile realistica e professionale il completo smantellamento di un enorme parallelepipedo un tempo adibito a funzioni sanitarie. Oggi molte cose sono cambiate e per fortuna nel giro di pochi anni sempre più architetti di rilievo hanno iniziato a parlare di ciclo e fine vita degli edifici anche in Italia, decostruzione, soluzioni costruttive fluide e adattabili e riduzione dell’impronta carbonica degli edifici, che d’altronde sono tra i prodotti umani che inquinano di più. La cosa che, ripensandoci, ci appariva come più difficile era pensare diversamente rispetto a quanto eravamo sempre stati abituati – e ci era stato richiesto di fare – fino a quel momento.
Oggi, come ormai tutti sappiamo, si consumano più risorse di quante ne abbiamo a disposizione. Il Global Footprint Network – attraverso la sua la campagna dell’Overshoot Day – stima che l’Italia finirà la propria-biocapacità, ovvero le risorse naturali a disposizione per ciascuno dei suoi abitanti, il 15 maggio. Un mese dopo Danimarca, Finlandia, Svezia, Austria e Paesi Bassi, ma lo stesso decisamente troppo presto rispetto alla fine dell’anno (il Paese che consuma di più, secondo questo indice è il Qatar). I vari Overshoot Day del 2023 sono stati calcolati a dicembre dell’anno scorso, utilizzando l’edizione dello stesso anno del National Footprint and Biocapacity Accounts, che usa le statistiche delle Nazioni Unite, che raccolgono dati dal 1961 al 2018, a cui sono stati integrati dati più recenti – provenienti da altre fonti come il Global Carbon Project e l’International Energy Agency – per colmare la discrepanza temporale. Il principio dell’economia a ciclo chiuso agisce quindi in controtendenza, perseguendo l’obiettivo di ridurre il consumo di risorse e di avvalersi il più a lungo possibile e nel modo più efficiente possibile di materiali, attraverso “cicli chiusi” appunto. Nel ciclo chiuso tecnico, l’obiettivo prioritario è quello di rendere longevi i prodotti e di ripararli, riutilizzandone e reimpiegandone le singoli componenti dopo l’uso per generare nuovi prodotti.
Affinché ci possa essere una transizione di questo tipo, è fondamentale reimmaginare e riprogettare di conseguenza tutto il sistema produttivo, sia ai vertici che via via nei vari snodi e luoghi della filiera, coinvolgendo in prima persona tutte le varie figure professionali che se ne occupano e dando vita a un radicale cambio di paradigma. È quello che da tempo si sta impegnando a fare Audi. Da sempre in stretto rapporto col mondo del design e dell’architettura, in occasione del Salone del Mobile di Milano, dal 17 al 23 aprile, apre le sue porte l’Audi House of Progress, presso gli spazi del Portrait Milano, un hub suggestivo in cui si possono approfondire le tematiche dei cicli chiusi delle materie prime a elevato impatto energetico. Nella Piazza del Quadrilatero, trasformata in spazio espositivo, l’installazione “The Domino Act” disegnata da Gabriele Chiave e dal collettivo creativo Controvento accoglie la concept car Audi skysphere, l’avveniristica roadster full electric dal passo variabile in anteprima assoluta per il nostro Paese, a simboleggiare come progresso tecnologico ed emozione possano nascere da un approccio totalmente sostenibile basato sull’economia circolare, valori che guidano la road map di Audi verso la carbon neutrality. Un processo intrapreso dalla casa automobilistica che prevede di estendere la produzione carbon neutral dagli attuali quattro siti produttivi a tutti gli impianti entro il 2025 e ad ampliare nei prossimi tre anni la gamma full electric con più di dieci nuovi modelli. Per questo, Audi ha reingegnerizzato l’intero processo produttivo partendo dalle fonti rinnovabili e dalle materie prime, attraversando la supply chain fino a incidere sul fine ciclo di vita delle vetture.
Audi è infatti tra i primi produttori di automobili ad aver aderito all’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, adottando numerose iniziative volte a ridurre le emissioni di CO2, puntando a un bilancio carbon neutral di tutte le sue attività entro il 2050. Già nel 2018, lo stabilimento di Bruxelles dove viene prodotta la gamma Audi e-tron ha ottenuto la certificazione carbon neutral grazie all’utilizzo di energia verde ottenuta da fonti rinnovabili e all’installazione di un impianto fotovoltaico di 107mila metri quadrati. Il programma Audi Mission:Zero si concentra sulla decarbonizzazione dell’intera catena produttiva, così come sullo sviluppo del ciclo chiuso per alluminio, acciaio, acqua e plastica, e ambisce a ridurre al minimo il fabbisogno idrico implementando lo stoccaggio dell’acqua piovana ed estendendo il ciclo chiuso dell’acqua a tutti i suoi siti produttivi. E ora il focus di Audi è sfruttare le opportunità rappresentate dal ciclo di vita chiuso delle materie prime e secondarie, promuovendo lo sviluppo di prodotti sostenibili e la creazione di cicli chiusi come parte integrante della catena del valore.
Attraverso i modelli presenti all’House of Progress, Audi dimostra con esempi pratici il suo impegno per il risparmio delle risorse, la conservazione e il riciclo dei materiali, per esempio attraverso il ciclo chiuso della plastica, che consente il riciclaggio di questo materiale nella produzione; o attraverso il progetto pilota per la reimmissione nella produzione dei parabrezza danneggiati, con un risparmio fino al 30% di CO2 e fino al 90% di acqua per ogni parabrezza riciclato. C’è poi il Water Stewardship Program con cui vengono identificati i rischi idrici rilevanti nella catena di fornitura per sviluppare soluzioni capaci di ridurre gli sprechi; o ancora il riutilizzo delle batterie attraverso i sistemi di accumulo di energia o le stazioni di ricarica rapida. Il risparmio di risorse – al pari degli edifici – punta infatti anche sul ciclo chiuso delle parti usate, che tende a estendere il ciclo di vita dei componenti selezionati prima di inviarli al processo di riciclo. In questo quadro ogni motore elettrico viene esaminato singolarmente, in modo da riutilizzarne il maggior numero di parti possibile.
La circolarità può essere alla base di una nuova idea di progresso e l’impegno in questa direzione – come ogni gesto virtuoso e compiuto con fermezza – può avere un importante effetto domino, influenzando un cambiamento sempre più diffuso e orizzontale. Una decisione in ambito strategico, per quanto complessa da realizzare, può infatti innescare un processo virtuoso, capace di portare a una cooperazione diffusa nata da una chiara comunione di intenti, con riscontri positivi a vari livelli. Se vogliamo sopravvivere dobbiamo cambiare, adattarci: alla fine vivere significa proprio questo.
Questo articolo è stato realizzato da THE VISION in collaborazione con Audi, che dal 17 al 23 aprile apre le porte dell’Audi House of Progress, presso gli spazi del Portrait Milano in Corso Venezia. Qui, l’installazione “The Domino Act” del designer Gabriele Chiave con Controvento accoglie la concept car Audi skysphere, l’avveniristica roadster full electric dal passo variabile in anteprima assoluta a simboleggiare come progresso tecnologico ed emozione possano nascere da un approccio totalmente sostenibile basato sull’economia circolare.