A quasi tutte le persone che conosco non piace andare a lavoro. Non fraintendetemi, non tanto perché non amano quello che fanno, ma proprio perché faticano a sopportare il tedio dello spostamento quotidiano per raggiungerne la sede, la routine ripetitiva, inefficiente e stressante in cui le imprigiona. Questo vale soprattutto per chi ci va in macchina e si ritrova ogni giorno pedina di una delle più grandi assurdità della vita di città: gli ingorghi creati di centinaia di veicoli incolonnati, quasi tutti con a bordo una sola persona. Un’immagine che è espressione dei danni – sociali, economici e, forse soprattutto, ambientali – che l’egoistico ripiegarci su noi stessi provoca; non solo per evitare situazioni fastidiose nella quotidianità, come restare imbottigliati nel traffico, ma anche per contrastare un senso diffuso di solitudine, così come per contribuire positivamente alla società, recuperando un nuovo senso di comunità, condivisione e fiducia verso il prossimo. Consci di quanto ci pesi respirare smog ogni mattina e perdere minuti preziosi del nostro tempo imbottigliati nel traffico, potremmo cominciare ad attuare questa nuova sensibilità proprio dalla mobilità urbana e in questa direzione possono darci una mano le soluzioni proposte dalla sharing mobility.
Questa, infatti, si basa sull’iscrizione a un servizio di cui si usufruisce invece di possedere un bene o un oggetto; e rappresenta quindi un sottoinsieme della rental economy, a sua volta ispirata alle grandi piattaforme che ormai da anni dominano le modalità di fruizione di prodotti culturali e di intrattenimento. La sharing mobility dà quindi voce a una preferenza che negli ultimi anni si è diffusa a livello mondiale: quella di accedere temporaneamente ai servizi di mobilità invece di acquistare e utilizzare il proprio mezzo di trasporto. A questa domanda risponde la diffusione di servizi che, attraverso le tecnologie digitali, facilitano la condivisione di veicoli o tragitti realizzando servizi scalabili, interattivi e nel complesso più efficienti. Mentre nel bike sharing più utenti usano uno stesso mezzo, uno per volta, una corsa in autobus rappresenta una condivisione in contemporanea, che diventa decisamente più divertente e dinamica come il carpooling, che se si accetta l’incognita di viaggiare con degli sconosciuti apre la strada a incontri curiosi, playlist trash, nuovi input musicali, conversazioni filosofiche e altre piacevoli scoperte che, nel peggiore dei casi, saranno argomento per aneddoti divertenti da condividere con gli amici.
Quando si tengono faticosamente in bilico impegni di lavoro, scadenze, attività sportiva, interessi personali e, relazioni da coltivare, la comodità l’interattività e l’efficienza delle piattaforme digitali possono essere un sollievo, perché è il servizio ad adattarsi alle nostre necessità: spesso, come nel caso dei veicoli in sharing, non ci sono orari né tragitti prestabiliti, ma sono gli utenti a deciderli in base alle loro necessità. Una comodità non da poco, specialmente oggi che abbiamo bisogno di servizi che si adattino ai nostri bisogni e che desideriamo sfruttare il tempo come preferiamo invece di “sprecarlo” in attesa del bus o in coda al semaforo. Di contro, si potrebbe pensare al rischio di spendere troppo a fine mese tra i vari abbonamenti – dalla palestra, alle piattaforme di contenuti on deman, passando per le altre piattaforme – ma, se si presta un po’ d’attenzione a questo aspetto, quando si tratta di mezzi di trasporto la rental economy può in realtà rappresentare una soluzione molto utile per chi non ha grandi disponibilità economiche e per cui, quindi, una spesa importante come l’acquisto di un’auto potrebbe essere proibitiva e acquistare a rate comporterebbe un rischio maggiore: quello di trovarsi sommersi dai debiti, complici i costi importanti di mutui e affitti.
Con la rental economy, infatti, il passaggio – anche mentale – è un altro: non si sta pagando una rata per un bene o un servizio fino a quando non lo si possiede del tutto, una volta concluso il finanziamento; si tratta invece di pagare un servizio in modo molto più proporzionato all’uso che se ne fa. Tutti, così, possono accedere ai mezzi in condivisione, senza dover farsi carico del costo economico iniziale dell’acquisto, che per alcuni può essere un problema; inoltre, siccome non tutti hanno a disposizione uno spazio sicuro, come un garage, in cui riporre il proprio veicolo, il bike sharing o il car sharing evitano anche questa preoccupazione, permettendo a chiunque di usufruire dei mezzi, a prescindere dalle dimensioni della propria casa o del proprio conto in banca. La condivisione su cui si regge questo modello economico, quindi, ci aiuta a vivere la vita che vogliamo senza effettuare spese al di sopra delle nostre possibilità, e ci rende più facile usufruire di mezzi e servizi, senza i limiti e le difficoltà che il possesso può determinare; può diventare così, per esempio, più sostenibile anche l’integrazione di diversi mezzi per un solo spostamento, a seconda delle necessità imposte dalla diversa zona della città che si deve attraversare.
Connessa a questo aspetto c’è un’altra caratteristica della sharing economy: l’abbattimento degli sprechi. Nel caso di car sharing e car pooling, per esempio, l’uso condiviso permette di ottimizzare la spesa del carburante e anche il suo impatto ambientale, determinando nel complesso una riduzione delle emissioni oltre che, per tutti i tipi di veicoli, un minor impiego di risorse; non si può ignorare, infatti, che a livello di impatto effettivo l’acquisto di un bene, che sia un’automobile o una bicicletta, sia meno sostenibile del noleggio, a causa dei consumi di risorse ed energia legati alla sua produzione e dei rifiuti che l’oggetto produrrà. Servizi di ride sharing come il carpooling, ma anche alcuni servizi a domanda, infatti, riunendo più utenti sullo stesso tragitto, sfruttano al massimo la capienza del mezzo. Contando che in Italia circolano più di 40 milioni di autovetture, non ci si deve stupire che le città siano bloccate dagli ingorghi: ridurre quella cifra significherebbe diminuire l’ingombro fisico provocato dei veicoli, cosa che a sua volta consentirebbe di destinare più spazio a pedoni e ciclisti, ma anche ad aiuole, piste ciclabili e panchine che renderebbero più vivibili le città, oltre che più sicure per chi opta per la micromobilità e che è tuttora esposto al rischio concreto di incidenti.
Meno traffico e meno auto di proprietà, poi, significano anche meno emissioni nocive, che è uno dei principali obiettivi che ogni amministrazione cittadina dovrebbe porsi, tanto più che l’Italia si attesta oggi al terzo posto in Europa per morti premature legate all’inquinamento, cui si aggiungono livelli preoccupanti di incidenza di patologie respiratorie, soprattutto infantili. Complessivamente, quindi, la condivisione è la modalità di fruizione che contribuisce a rendere più vivibili e più democratiche le città, perché ogni utente del servizio fa la propria parte per diminuire traffico e inquinamento, riducendo il numero complessivo di mezzi in circolazione in uno stesso lasso di tempo, soprattutto delle automobili, con una conseguente diminuzione anche dell’inquinamento acustico.
Tutti possiamo fare qualcosa per il benessere collettivo, sottraendoci così anche a quel senso di impotenza che è parte, tra le altre cose, dell’eco-ansia e dell’inattività climatica, un altro grosso problema del nostro tempo. Complessivamente, dunque, i cambiamenti della mobilità urbana, con una crescita di biciclette e monopattini elettrici a noleggio e una diminuzione del numero di veicoli a motore circolanti, è un esempio di un modello più equo, sia a livello economico – perché i costi del servizio vengono distribuiti diversamente da come accade con l’acquisto di un bene –, sia a livello di impatto ambientale, dato che vengono distribuite anche le responsabilità, perché ogni cliente del servizio contribuisce a diminuire traffico e inquinamento.
Sebbene per la facilità con cui rende accessibili beni e servizi la rental economy sia spesso accusata di perpetrare a sua volta una visione consumistica centrata sulle strette necessità egoistiche di ciascun individuo; in realtà, questo modello economico si origina da una forma di fiducia negli altri utenti, dalla percezione di avere esigenze comuni e di poterle condividere. Un aspetto da non sottovalutare, infatti, è che l’utilizzo di beni in condivisione può aiutarci a imparare il rispetto per ciò che non ci appartiene in senso stretto, ma che è al servizio di tutti. Si tratta di un approccio che dobbiamo imparare, come dimostrano i casi di vandalismo nei confronti dei mezzi di bike sharing che si sono verificati in più casi in tutta Europa: la soluzione non può essere semplicemente la sharing mobility, ma un’educazione civica al rispetto di ciò che è pubblico può rafforzarla.
Si tratta di una consapevolezza di cui dobbiamo riappropriarci in particolare in Italia, dove, stando ai dati emersi dall’analisi “Circular electronics: creating value from longer lives”, l’80% delle persone preferisce possedere un dispositivo o un elettrodomestico di bassa qualità, piuttosto che averne uno di alta qualità a noleggio, percentuale che in Germania, per esempio, è ribaltata. Fiducia e condivisione sono valori che faticano a trovare posto nella nostra società atomizzata e fortemente urbanizzata, impostata su un modello produttivo e su uno stile di vita in cui i legami sociali sono deboli e sfilacciati e spesso il contatto e lo scambio tra le persone sono molto limitati al di fuori di una ristretta cerchia di amici. Ben venga, allora, un sistema di condivisione che, a partire dai mezzi di trasporto, ci aiuti a recuperare un po’ di questa prospettiva.
In questo senso la sharing economy può dare il suo contributo al superamento del modello economico capitalistico che si fonda sul possesso di beni, così numerosi da sommergerci e, soprattutto, da soffocare il Pianeta con il loro impatto. Nel suo piccolo, infatti, consente di recuperare un approccio condiviso ai beni e ai consumi e di superare, finalmente, il paradosso degli ingorghi di automobili con un solo passeggero a bordo. Opponendosi al modello di economia lineare che produce sprechi ormai insostenibili, inoltre, contribuisce al 12esimo obiettivo di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, che richiede di garantire modelli di produzione e consumo sostenibili: e lo fa attraverso una prospettiva opposta a quell’egoismo che non ci sta portando da nessuna parte, proponendoci invece il paradigma della condivisione e della fiducia.
Questo articolo è realizzato da THE VISION in collaborazione con Telepass, tech company all’avanguardia nella rivoluzione della mobilità in un’ottica sempre più innovativa e sostenibile. Grazie a un’unica app che tiene insieme un esclusivo metodo di pagamento e una pluralità di servizi legati alla smart mobility, come le strisce blu, il carburante o la ricarica dell’auto elettrica, l’uso di monopattini, bici e scooter in sharing, l’acquisto di biglietti per treni, pullman e voli, dello skipass per sciare, Telepass trasforma ogni spostamento, anche quelli in montagna, in un’esperienza senza confini.
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