Con la crisi climatica, amare la montagna è lasciare meno tracce di sé. Non salire a tutti i costi. - THE VISION

Quando esci dalla stazione di punta Indren, in cima alla Valsesia, sul Monte Rosa, ad accoglierti ci sono i rimasugli dell’omonimo ghiacciaio, assieme a un senso di tristezza che aleggia tra i pendii silenziosi. Una lastra di ghiaccio vivo che si estende in tutto il vallone, verso le prime cime del Rosa come punta Giordani, di un colore scuro e opaco: quello che assumono i ghiacciai quando stanno per morire. Per chi non avesse avuto modo di vivere quest’esperienza di recente, vale la pena dare un’occhiata al filmato pubblicato quest’estate da La Stampa, nel quale un drone sorvola quella che, nell’agosto scorso, non era altro che una distesa di ghiaccio scuro ricoperto dai detriti. Lì, fino a venticinque anni fa, si sciava d’estate, mentre negli ultimi anni, a fine agosto, ti trovi a camminare su una pietraia sconnessa. L’ultima volta in cui mi è capitato di attraversarlo, ricordo di aver lasciato i ramponi nello zaino, facendo più che altro attenzione a non uscirne coi piedi zuppi. Il ghiacciaio di Indren, con ogni probabilità, è destinato a scomparire entro pochi anni, ed è uno degli spettacoli più eloquenti di come il cambiamento climatico stia impattando pesantemente sulle Alpi. Al di là del singolo caso, basta dare un’occhiata alle pubblicazioni di On the trail of the glaciers, progetto fotografico scientifico dedicato alla comparazione fotografica delle masse glaciali nel tempo, per rendersi conto di quanto questa sia una situazione globale. Immagini che ci spingono a una presa di coscienza sui danni irreversibili che l’essere umano sta causando all’ambiente, ma che per i frequentatori delle montagne aggiungono un tema ulteriore, ovvero la necessità di ripensare il loro modo di approcciarsi a esse.

Innanzitutto, ciascuno dei problemi che conseguono al cambiamento climatico per chi si avventura tra le vette rappresenta anche un problema di sicurezza. Quando le temperature salgono, infatti, i ponti di neve che coprono i crepacci diventano più fragili, con il conseguente rischio che crollino proprio quando c’è qualcuno sopra. Allo stesso tempo, la fusione del permafrost può causare improvvise scariche di rocce. L’anno scorso la tragedia della Marmolada ha portato sotto gli occhi di tutti le conseguenze di un periodo in cui le temperature sono rimaste a lungo ben sopra la norma, con il crollo di un seracco, ovvero un enorme blocco di ghiaccio, che ha causato la morte di undici persone. In quel caso era stato particolarmente interessante il commento dell’alpinista Simone Moro, che aveva proprio sottolineato la necessità di modificare l’approccio individuale alla montagna. Salite che in passato venivano affrontate in piena estate, oggi sono spesso sconsigliate dalle guide alpine – se non direttamente vietate dalle autorità – durante periodi che risultano troppo caldi. Penso, per esempio, alle condizioni in cui mi è capitato di trovare il Ghiacciaio del Gigante nel giugno del 2022: il manto era già risicato a inizio stagione, e imponeva forti limiti di accesso ad alcune vie alpinistiche, mentre altre che di solito sono frequentabili fino a fine agosto erano già in condizioni precarie. Basta infatti che alle scarse nevicate di una stagione invernale/primaverile asciutta si associno temperature superiori alla media per stravolgere nel giro di poche settimane la possibilità di effettuare salite solitamente accessibili. Una delle competenze necessarie degli alpinisti contemporanei, dunque, è una sempre maggior flessibilità nella scelta degli itinerari e dei periodi in cui si affrontano, con una costante attenzione all’evoluzione climatica.

Questo forte legame tra clima e fruizione della montagna emerge in modo ancor maggiore quando dalla stagione estiva si passa a quella invernale. “Il rischio è che in Piemonte si possa sciare solo fino al 2050, altri 25 anni, e solo perché insieme alla Valle d’Aosta dispone delle vette più alte”, ha affermato recentemente il meteorologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli. Ponendo ancora una volta l’accento su una questione spigolosa come quella che riguarda lo sci alpino. Negli ultimi decenni, come conferma lo stesso Mercalli, l’innevamento delle Alpi è diventato sempre più intermittente, in modo molto simile a ciò che è sempre avvenuto sugli Appennini. Questo fenomeno, associato al rialzo termico, mette in luce tutte le difficoltà che i comprensori sciistici devono affrontare a ogni stagione. La necessità di produrre neve artificiale e i crescenti costi dell’energia causeranno il prossimo inverno, per l’ennesima volta, un importante rincaro degli skipass, fino al 20% in più rispetto ad appena due anni fa. Lo sci in pista, poi, pone già di per sé un’importante questione ambientale, dato che le emissioni per la produzione di neve artificiale sono altissime.

Allo stesso tempo, il rincaro dei biglietti e quello parallelo dei materiali, stanno trasformando uno sport che certamente non è mai stato economico in una passione ancor più elitaria. E questo, durante un periodo in cui assistiamo a un boom degli sport di montagna, in particolare dello stesso scialpinismo, è un aspetto che non si può ignorare proprio per ragioni di sicurezza. Al carattere sempre più elitario dello sci di pista, poi, si associa una questione irrisolta che negli ultimi anni continua a ripresentarsi, ovvero quella dell’Heli skiing. Che, tra l’altro, porta con sé anche criticità ambientali di non poco conto. Farsi trasportare su una cima innevata con l’elicottero per poi scendere in mezzo alla neve fresca, nonostante i costi esorbitanti, a quanto pare è una pratica in grande crescita. Il cui impatto ecologico però ha spinto il Club Alpino Italiano a schierarvisi contro più volte.

Allo stesso tempo, però, le cifre quasi inaccessibili che richiedono tutte le modalità meno ecologiche possono spingere gli appassionati a scegliere soluzioni alternative. Infatti, di opportunità per frequentare la montagna in modo sostenibile anche durante l’inverno ce ne sono eccome. Basta guardare cosa accade in Val Maira, nel cuneese, presa da anni come esempio di un turismo etico e attento all’ambiente. Valle occitana particolarmente isolata, con una strada d’accesso scomoda e un territorio piuttosto impervio, dopo un progressivo abbandono durato fino agli anni Novanta questo territorio ha saputo costruire un rilancio turistico senza impianti di risalita né strutture ricettive di massa. Oggi, secondo i dati del Consorzio Turistico della Val Maira, esiste un rapporto tra domanda e offerta tale per cui le strutture esistenti riescono ad accogliere solo un terzo dei turisti che fanno richiesta, ma la scelta di mantenere un equilibrio tra turismo e territorio continua a spingere gli abitanti a perseguire un modello di sviluppo basato solo su piccole realtà. La Val Maira è nota per la varietà di opportunità per scialpinisti e ciaspolatori, due attività che offrono agli appassionati la possibilità di fruire delle terre alte anche d’inverno a impatto ambientale pressoché nullo.

Se torniamo invece alle stagioni più calde, subentra un’ulteriore riflessione etica sul nostro modo di frequentare la montagna. Che parte proprio dal concetto di sostenibilità. Cosa significa concretamente, infatti, muoversi tra le montagne in modo sostenibile? Questo termine va innanzitutto ricondotto al proprio significato originario, ovvero la condizione che permette “il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità alle generazioni future di realizzare i propri”. Un appassionato di montagna responsabile è chi, nei limiti del possibile, è in grado di non lasciare traccia del proprio passaggio. Di conseguenza non può essere un approccio sostenibile quello che comporta una qualsiasi forma di inquinamento, sia in termini di rifiuti che di emissioni, che in tempi di cambiamento climatico sono quanto di più contrario all’etica condivisa ci possa essere. Allo stesso tempo, però, è fondamentale mantenere il giusto focus su questo concetto, evitando di sfociare in giudizi che sembrano mirare alla preservazione di un modello unico di frequentazione delle Alpi. Piuttosto, sarebbe bene investire in modo strutturale sulla manutenzione della sentieristica, troppo spesso lasciata alla buona volontà dei volontari del CAI e di alcune associazioni. Senza, però, escludere a priori una fetta crescente di appassionati che si approccia alla montagna in modo diverso ma assolutamente assimilabile dall’ambiente, e che per chi vive di turismo può davvero rappresentare una risorsa importante. La sostenibilità economica delle Alpi sta anche nel trovare un equilibrio tra le esigenze dell’essere umano e quelle dell’ambiente, e le modalità green di frequentazione della montagna come la bicicletta vanno sì normate, ma allo stesso tempo non ostacolate a priori.

In linea di massima, frequentare la montagna in tempi di cambiamento climatico significa accrescere ulteriormente la propria consapevolezza e farsi carico delle proprie scelte. Non possiamo permetterci di fingere di ignorare le conseguenze di ciò che facciamo, e allo stesso tempo dobbiamo trovare un equilibrio per continuare a fruire delle terre alte evitando che il nostro passaggio lasci segni incancellabili, precludendo alle prossime generazioni la possibilità di avere le nostre stesse opportunità – che, a dire il vero, a causa dei cambiamenti climatici, le persone in futuro non avranno a prescindere. Certo, non sta esclusivamente al singolo il compito di sovvertire le conseguenze del cambiamento climatico, ma quantomeno possiamo evitare di peggiorarle. Qualche tempo fa, uno dei più grandi alpinisti italiani viventi, il valdostano Hervé Barmasse, si era espresso a riguardo con un’affermazione interessante: “Il miglior alpinista,” ha dichiarato, “È chi difende e preserva la montagna, chi la scala in modo pulito rispettando la natura e non chi la sale ad ogni costo e ad ogni mezzo”. Mi sembra un buon mantra, che la mattina, prima di partire per un’escursione, una scalata o un’uscita con gli sci, a ogni frequentatore della montagna non può far male ripetersi.


Questo articolo è realizzato da THE VISION in collaborazione con Telepass, tech company all’avanguardia nella rivoluzione della mobilità in un’ottica sempre più innovativa e sostenibile. Grazie a un’unica app che tiene insieme un esclusivo metodo di pagamento e una pluralità di servizi legati alla smart mobility, come le strisce blu, il carburante o la ricarica dell’auto elettrica, l’uso di monopattini, bici e scooter in sharing, l’acquisto di biglietti per treni, pullman e voli, dello skipass per sciare, Telepass trasforma ogni spostamento, anche quelli in montagna, in un’esperienza senza confini.

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