Che l’inquinamento uccida è noto, tanto che esistono delle linee guida che indicano a quali livelli di concentrazione gli inquinanti atmosferici sono accettabili per la salute. Di recente le conoscenze scientifiche su questi valori hanno spinto l’Organizzazione mondiale della Sanità a pubblicare un aggiornamento delle linee guida basato su sei revisioni sistematiche di oltre 500 articoli scientifici. In questo modo sono state stabilite nuove soglie massime di tolleranza rispetto a quelle fissate nel 2005. I nuovi valori individuati danno la misura di quanto poco stiamo facendo per la qualità dell’aria che respiriamo. E di quanto questa ci stia uccidendo.
Dai tempi dell’ultima revisione, infatti, la ricerca scientifica ha mostrato in modo molto chiaro i rischi dovuti all’inquinamento da sostanze in grado di penetrare in profondità nei polmoni come i particolati PM 10 e PM 2,5. Quest’ultimo è capace di insinuarsi nella circolazione sanguigna, provocando problemi a carico non solo del sistema cardiovascolare e respiratorio, ma anche di altri organi, dove arriva trasportato dal sangue. Questi “inquinanti classici” – le cosiddette polveri sottili (o PM, classificate come cancerogene nel 2013 dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms), l’ozono, il biossido di azoto, il biossido di zolfo e il monossido di carbonio – sono strettamente correlati anche ad altre sostanze dannose, con un effetto mortale. Non è un modo di dire: PM 2,5 e biossido di azoto, per esempio, a qualsiasi concentrazione siano presenti nell’aria, sono associati a un aumento della mortalità e dell’incidenza di patologie come il tumore ai polmoni; a dimostrarlo sono evidenze scientifiche di rilievo, tra cui il vasto studio europeo Elapse (Effects of Low-Level Air Pollution), che ha seguito le condizioni di migliaia di cittadini europei sul lungo periodo. Le conseguenze concrete sulla salute si manifestano a livelli di esposizione alle sostanze inquinanti nettamente più bassi di quanto fino a poco fa si credeva. Se per il PM 10, per esempio, si passa dai 20 microgrammi al metro cubo stabiliti come soglia di sicurezza nel 2005 ai 15 microgrammi al metro cubo di oggi, per il PM 2,5 il limite massimo è fissato a 5 microgrammi per metro cubo, un valore che è la metà rispetto al 2005; per il biossido di azoto si passa addirittura da 40 a 10 microgrammi al metro cubo in media all’anno. La differenza è drastica e deve preoccupare perché le sostanze presenti nell’aria che respiriamo quotidianamente sono ben al di sopra di queste soglie.
Già nel 2019 oltre il 90% della popolazione mondiale viveva in aree in cui le concentrazioni di PM 2,5 nell’aria superavano le linee guida per l’esposizione a lungo termine. E in queste condizioni non dovrebbe stupire che ogni anno al mondo l’esposizione all’inquinamento atmosferico causi 7 milioni di morti premature e provochi globalmente la perdita di milioni di anni di vita in salute; nei bambini, in particolare, tra le conseguenze c’è la riduzione dello sviluppo e della funzionalità dei polmoni, oltre a infezioni respiratorie e forme gravi di asma, mentre negli adulti sono legati all’inquinamento cardiopatia ischemica e ictus – le cause più comuni di morte prematura e di invalidità in Italia – ma potrebbero esserlo anche il diabete e le patologie neurodegenerative, malattie che non possono essere più viste come semplici problematiche legate all’invecchiamento. Non solo: ci sono prove per cui anche l’infertilità sarebbe legata alla qualità dell’aria, un problema che oggi in Italia riguarda il 15% delle coppie. In definitiva, l’inquinamento atmosferico agisce sulla salute umana con modalità paragonabili a fattori altrettanto noti come alimentazione malsana e fumo: si piazza infatti al quarto posto tra i principali fattori di rischio per patologie e mortalità a livello globale, dietro soltanto a ipertensione, fumo e dieta alimentare.
Con la differenza che questi fattori riguardano aspetti della quotidianità su cui l’individuo – almeno in parte e almeno alle nostre latitudini – ha un certo controllo. Al contrario, non si può evitare di respirare aria inquinata, nemmeno se si vive in Italia, Paese che ha visto migliorare negli anni i livelli di inquinamento. Miglioramenti che in alcune zone sono stati molto ridotti, come in provincia di Taranto, dove le conseguenze dei fumi tossici dell’ex ILVA continuano a fare vittime; o ancora, in Pianura Padana, una delle aree più malsane d’Europa, con Cremona, Brescia e Vicenza ai vertici della classifica delle città più inquinate del continente a causa dell’alta concentrazione di industrie e allevamenti. In particolare, la Lombardia è la regione italiana che fa meno per l’ambiente, con solo il 15% delle azioni di tutela completate tra quelle prefissate dal Piano d’azione europeo “Verso l’inquinamento zero”.
Non è difficile credere, quindi, che secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente nel nostro Paese le morti dovute all’esposizione al PM 2,5 sono circa 50mila all’anno. Questi dati – i più recenti a disposizione – sono l’effetto di concentrazioni annue medie di particolato che sono addirittura il triplo di quelle fissate dall’Oms – ma già prima della revisione dei valori 60 capoluoghi italiani superavano i limiti – e costano all’Italia il pagamento di multe europee per la violazione sistematica dei limiti comunitari fissati per il PM 10, a cui potrebbero presto aggiungersi quelle relative alle concentrazioni di PM 2,5 e biossido d’azoto. Ma è tutta l’Unione europea a essere bocciata al giudizio complessivo delle sue politiche ambientali, ancora insufficienti, nonostante sia messa meglio rispetto ad altri giganti come Canada, la cui azione è ritenuta altamente insufficiente, e Cina, criticamente insufficiente.
Ecco perché servono linee guida come quelle dell’Oms, che per proteggere davvero la salute dei cittadini ed essere sensate e realistiche hanno avuto bisogno di un aggiornamento. Il problema di queste indicazioni è che sono, per l’appunto, indicazioni, ma non vincoli. E proprio questo è un punto critico secondo numerose società scientifiche, associazioni di pazienti e organizzazioni di professionisti sanitari – tra cui le italiane Associazione Culturale Pediatri, Associazione Italiana di Epidemiologia e Associazione Italiana Ictus – che hanno inviato una lettera all’International Journal of Public Health, un’importante rivista di settore, in cui chiedono che i governi applichino le linee guida Oms come base scientifica per una coraggiosa azione politica, di cui ricordano l’importanza e l’urgenza in tutti i settori economici che sono responsabili dell’inquinamento atmosferico. Tra questi sono in cima alla lista il comparto dei trasporti, il settore energetico – che, tra industria e produzione di energia per alimentare le attività umane, dipende ancora troppo dai combustibili fossili – e quello agricolo, in particolare dell’allevamento, colpevole del 60% delle emissioni di gas serra dell’intero settore alimentare.
Agire su questi settori in maniera radicale è il solo modo davvero efficace per ridurre l’inquinamento atmosferico rientrando entro le soglie di sicurezza, e allo stesso tempo è una delle azioni più efficaci per contrastare la crisi climatica che all’inquinamento è strettamente connessa. Le azioni devono risolvere alla radice le cause dell’inquinamento e devono essere accompagnate dal sequestro delle emissioni dall’atmosfera, per cercare di mettere una toppa al danno che è stato già fatto.
L’ottimistica idea dell’Oms è quella di fornire uno strumento teorico con cui i governi possano tutelare i propri cittadini, allineando le proprie politiche ambientali alle linee guida: facendo così si potrebbero abbattere di quasi l’80% i decessi mondiali legati al PM 2,5, riducendo, insieme al carico di malattie, anche i costi sul piano sociale ed economico. Ma non è scontato che i governi si attengano a valutazioni non vincolanti, per quanto allarmistiche, tanto che l’Oms stessa ha proposto obiettivi intermedi per facilitare il miglioramento graduale della qualità dell’aria.
L’assenza di una volontà politica di agire è ancora più grave nei Paesi con la maggiore densità di abitanti, molti dei quali sono Paesi a basso e medio reddito: proprio loro stanno affrontando livelli crescenti di inquinamento atmosferico causati dall’intensa urbanizzazione, mentre i loro governi non hanno né la possibilità né la volontà di rinunciare a una crescita economica trainata dai combustibili fossili. Se già da noi la transizione ecologica è un tema delicato e, per molti settori economici, controverso, non possiamo pensare che le linee guida dell’Oms saranno seguite nei Paesi che più di noi hanno bisogno di tutti gli strumenti, fiscali, economici e sociali, per mettere in atto la drastica riduzione delle emissioni di cui le loro popolazioni hanno bisogno. La scelta, però, è che più o meno rapidamente tutti noi continuiamo a soffocare per l’inquinamento che ci ostiniamo a non voler ridurre.