La crisi climatica è anche una crisi dei diritti dei giovani, contrastarla è credere nel loro futuro - THE VISION

Tra gli effetti meno scontati, più sottovalutati e anche più devastanti della crisi climatica ci sono quelli che colpiscono direttamente coloro che meno hanno contribuito a provocarla: i più poveri, gli emarginati e, più di tutti, i bambini e gli adolescenti. Il cambiamento climatico – con emergenze, disastri naturali e alluvioni – causa, tra l’altro, un incremento dell’abbandono scolastico, con le conseguenti violazioni dei diritti dei bambini. Ma, nonostante i movimenti di giovani e giovanissimi lo richiedano a gran voce, le loro istanze restano molto spesso inascoltate e figurano ancora troppo poco nelle agende politiche ambientali dei governi.

Il problema a oggi riguarda un miliardo di bambini che si trovano esposti a un rischio classificato come “estremamente elevato” di subire l’impatto della crisi climatica: uno studio avviato nel 2001, per esempio, ha riscontrato che buona parte dei 12mila minorenni seguiti nelle comunità povere di Etiopia, India, Perù e Vietnam, una volta raggiunti i 15 anni d’età aveva già sperimentato almeno un evento meteorologico estremo nel corso della sua vita, con un picco del 54% in Etiopia, in particolare presso le famiglie più povere

Il primo e fondamentale diritto a essere violato – che pregiudica, a cascata, tutti gli altri – è quello alla salute: se è vero che gli effetti sull’organismo di inquinamento, plastica ed eventi come siccità estrema, alluvioni e tornado riguardano tutti, i bambini li subiscono in modo particolarmente grave. L’incidenza dei tumori infantili e delle malattie, soprattutto respiratorie, aumenta a causa dell’inquinamento atmosferico, mentre l’eccesso di pesticidi è connesso a tante patologie, anche gravi, e può danneggiare il sistema nervoso, cardiovascolare, digestivo, riproduttivo, endocrino e immunitario. Ciò succede a causa del rapporto sfavorevole tra le dimensioni del corpo dei bambini, l’andamento delle loro attività metaboliche e i loro tassi respiratori, più elevati di quelli degli adulti; i loro tessuti, organi e apparati sono inoltre in una delicata fase di sviluppo, cosa che li rende più sensibili. Dagli studi risulta anche che il clima estremo sperimentato già durante la gravidanza – quando si sviluppano gli organi e il benessere della madre è quindi fondamentale per se stessa e per il feto – e nella prima infanzia ha un impatto importante sui futuri esiti educativi dei bambini, dato che, come la malnutrizione, può determinare anche uno sviluppo cognitivo inferiore e quindi nel lungo periodo rendere più difficili i progressi scolastici. 

Quando si tratta di bambini, adolescenti e crisi climatica, quindi, fattori sociali, umanitari e sanitari si intrecciano: è stato rilevato, per esempio, che in diverse regioni tropicali l’esposizione a temperature estreme e precipitazioni violente nella prima infanzia è associata a meno anni di scolarizzazione. E considerato che l’istruzione è tra i fattori cruciali per lo sviluppo socioeconomico – dal momento che amplia le competenze, aumenta le opportunità di lavoro e il tenore di vita e contribuisce alla parità di genere – un alto tasso di abbandono scolastico è un grave problema per l’intera società. Non a caso, gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU fissano per il 2030 la data in cui tutti i bambini e adolescenti al mondo dovranno avere la possibilità di completare la scuola primaria e secondaria. A ostacolare il raggiungimento di questo obiettivo però, tra le altre cose, ci sono gli eventi meteorologici estremi, che distruggono o danneggiano gli edifici scolastici o le strade per raggiungerli; oppure portano ad usare le scuole come rifugio per gli sfollati. Inoltre, le famiglie le cui entrate sono ridotte o annullate per effetto dei problemi ambientali – tanto più se legate al settore agricolo, per esempio in caso di siccità estrema o, al contrario, di allagamenti – si trovano esposte all’insicurezza alimentare, e ritirano i figli da scuola perché possano contribuire al reddito famigliare. Infine, anche i problemi di salute – inclusi, a loro volta, quelli causati dalla crisi climatica – possono ridurre le possibilità di scolarizzazione. Il problema appare ancora più grave se si considera che, statisticamente, una volta interrotti, gli studi difficilmente verranno ripresi in seguito.

Bambine e ragazze, anche in questo caso, subiscono maggiormente le conseguenze di tali situazioni, dato che, se ritirate da scuola dalle famiglie, risultano più facilmente esposte ai matrimoni precoci. In caso di eventi atmosferici violenti, poi, se sfollate le ragazze sono particolarmente esposte alla violenza sessuale. Parallelamente, negli ultimi anni, a livello globale sta calando il tasso di scolarizzazione delle ragazze che, senza titoli di studio, anche da adulte finiscono per dipendere da un padre, un fratello, un partner. Appare chiaro quindi come la protezione ambientale e la mitigazione climatica non possano che andare di pari passo con il miglioramento della condizione femminile

Anche le opportunità economiche degli adulti di domani sono compromesse dall’interruzione degli studi e, considerando che un reddito più alto avrebbe ricadute positive anche sulla capacità di far fronte ai danni della crisi climatica, quello che si crea è un circolo vizioso. Uno studio del 2017 dimostra, infatti, che negli Stati Uniti la distribuzione dei danni provocati dagli eventi meteorologici riflette quella dei redditi, per cui gli stati più ricchi ne sono colpiti in modo nettamente più marginale di quelli più poveri e anche in uno stesso stato i cittadini più poveri subiscono l’impatto maggiore, come accaduto con l’uragano Katrina del 2005, quando gli abitanti afroamericani che abitavano nelle zone costiere di New Orleans, più povere e più esposte, hanno subito più danni dei bianchi, tendenzialmente stanziati nei quartieri più ricchi.

Mentre i disastri naturali rendono difficile ai governi e alle autorità locali garantire alle loro popolazioni l’accesso all’istruzione e le difficoltà economiche delle famiglie fanno il resto, l’importanza cruciale dell’educazione nella lotta alla crisi climatica è gravemente sottovalutata. Eppure, questa aiuterebbe i cittadini di domani, non solo a vivere una vita più sana, soddisfacente ed equilibrata, ma anche a rispondere meglio alle problematiche ambientali – accrescendo le loro possibilità di sopravvivenza e benessere –, così come ad acquisire maggior consapevolezza e intraprendere azioni positive per l’ambiente.

La crisi climatica può inoltre favorire l’incremento del lavoro minorile a causa dell’abbandono scolastico, una piaga che secondo l’International Labour Organization (ILO) coinvolge 152 milioni di bambini e adolescenti, di cui la maggior parte vive in aree colpite da guerre e disastri naturali, e di cui la metà svolge attività pericolose, come lavorare in miniera, a contatto con sostanze chimiche e pesticidi o impiegando macchinari pericolosi. A questi bambini vengono negati la salute, i giochi e l’infanzia stessa, con il processo di sviluppo psico-emotivo, oltre che fisico, che questa dovrebbe portare con sé. Impedire loro l’accesso all’istruzione, nega anche quello alla conoscenza di sistemi di allerta precoce per tempeste o siccità, un problema in più rispetto alla mancanza di mezzi economici. Questi bambini, condannati a essere adulti poveri di mezzi, saranno poco spinti a contribuire all’impegno collettivo per arginare il cambiamento climatico. L’istruzione, poi, mette le persone nelle condizioni di prendersi cura di sé e in media porta a maggiori opportunità nel corso della vita. Nello specifico, questo avrebbe tanto più effetto nel caso si riceva un’educazione ambientale, cosa che porterebbe a risultati sorprendenti. Secondo alcune ricerche, infatti, se il 16% degli studenti delle scuole superiori ricevesse un’istruzione sulla crisi climatica, le emissioni carboniche potrebbero essere ridotte di circa 19 gigatonnellate entro il 2050. Ecco perché bisogna agire su più livelli: proteggere i più vulnerabili dai disastri ambientali e garantire loro un’istruzione adeguata.

Bambini e adolescenti hanno il diritto di far sentire la loro voce, perché pagano la crisi climatica più di chiunque altro, senza contribuire direttamente. Secondo il sondaggio Peoples’ Climate Vote, sono loro anche i più preoccupati dall’emergenza globale e si sentono inascoltati dagli adulti, a cui devono affidare il rispetto dei propri diritti. Non accedendo al voto, i minorenni non rappresentano la platea politica e le loro richieste restano spesso inascoltate.  È vero che i bambini i cui governi non rispettano le norme sui diritti umani possono rivolgersi a meccanismi di rimedio – e gli esempi non mancano – ma gli ostacoli che affrontano nel percorso per accedere alla giustizia sono molti, a partire da quelli di tipo pratico e finanziario. Un piano di adattamento e di lotta alla crisi climatica deve tenere conto di questi problemi, includendo strategie di protezione dei minorenni. I Paesi che guardano al futuro, hanno il dovere di proteggere i diritti dei bambini e dei ragazzi e devono quindi adottare politiche efficaci per la lotta ai cambiamenti climatici.

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Questo articolo è realizzato da THE VISION in collaborazione con UNICEF per la campagna “Cambiamo aria”, per aumentare la consapevolezza sugli impatti dei cambiamenti climatici su bambini e adolescenti. La crisi climatica è infatti una grave minaccia per le nuove generazioni, che negli scenari attuali sono altamente fragili e vulnerabili, e vedono compromessi la propria salute, nutrizione, istruzione, sviluppo, sopravvivenza e opportunità future. Serve un progetto ambizioso e concreto per contrastare la crisi climatica o i diritti di bambini e adolescenti continueranno a essere in pericolo. La crisi climatica è la crisi dei diritti dei bambini.

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