L’alluvione in Sicilia non è semplice “maltempo” ma un ciclone tropicale ed è un segnale drammatico - THE VISION

Nei giorni scorsi la Sicilia orientale, in particolare la zona di Catania, è stata colpita da un ciclone con venti superiori ai 100 chilometri orari e potenti mareggiate, di cui ora è attesa una nuova ondata che potrebbe arrivare fino alla Calabria. Non si tratta di un semplice temporale, ma di un fenomeno pericolosamente simile ai cicloni tropicali. Per questo è stato classificato come Medicane, crasi di Mediterranean hurricane (uragano mediterraneo), un fenomeno che si origina nel Mediterraneo e che in scala ridotta è a tutti gli effetti assimilabile a un uragano nelle caratteristiche della sua struttura atmosferica: le dimensioni del vortice sono infatti inferiori, ma con caratteristiche analoghe a quelle di un uragano tropicale. Non si tratta di una fatalità, ma di una conseguenza della crisi climatica.

Catania, ottobre 2021

I media – a partire dai titoli – si ostinano a usare espressioni rassicuranti come “maltempo” o tutt’al più parlano di fenomeni eccezionali, quindi non troppo preoccupanti proprio perché relegati in rare casistiche. Eppure, eventi come quello di questi giorni sono sempre meno eccezionali e sempre più frequenti. Tanto che negli ultimi vent’anni si sono già contati una trentina di Medicane, segno di un cambiamento climatico già drammaticamente reale, di cui questi fenomeni atmosferici sono uno degli effetti più evidenti, anche se non necessariamente tra i più pericolosi. Contrariamente all’inquinamento dell’aria, tempeste e cicloni sono dirompenti e sotto gli occhi di tutti, con il loro portato di distruzione, panico e danni a persone, animali, coltivazioni e infrastrutture, con le relative conseguenze economiche.

Le cronache degli ultimi anni, specialmente dal 2000, sono segnate da una sequenza drammatica di fenomeni atmosferici estremi di crescente frequenza e gravità, a partire dall’alluvione del Nord-Ovest che nell’ottobre del 2000 fece 23 morti e 11 dispersi, oltre a 40mila sfollati, colpendo soprattutto il Piemonte. Sempre a ottobre, otto anni dopo, le forti piogge aggravarono il dissesto idrogeologico siciliano provocando colate detritiche che travolsero case e invasero strade, trascinando con sé anche diverse auto in alcuni paesi della provincia di Messina, per un bilancio complessivo di 37 morti. Nel mezzo, altre tragedie che non risparmiano nessuna regione, inaugurando il decennio successivo con alluvioni nelle Marche e nella provincia di Parma, colpita di nuovo tre anni dopo: il 2014 fu un anno particolarmente drammatico, infatti, per Emilia-Romagna, Toscana, Liguria e Piemonte.

La successione di eventi sempre più violenti e ravvicinati nel tempo ha avuto un’escalation nel 2019, con le impressionanti immagini di Matera sommersa dal fango, e all’anno scorso, con temporali estivi che non si possono più definire tali in Piemonte, a Messina e a Palermo, dove, a luglio, un nubifragio di potenza insolita per quelle zone e quel periodo dell’anno si è abbattuto improvvisamente sui capoluoghi isolani. La pioggia colpì con particolare furia alcuni quartieri di Palermo, dove causò importanti allagamenti che raggiunsero la circonvallazione, danneggiando centinaia di automobili. Come la Sicilia non è nuova ai fenomeni preoccupanti di questi ultimi anni, sono molte le zone colpite periodicamente, come Milano, che non scampa mai alle alluvioni, finendo allagata ogni volta per effetto di una somma di fattori tra cui piani regolatori obsoleti, cementificazione eccessiva e una conformazione idrogeologica sfavorevole che rendono diverse sue zone inadatte a resistere e adeguarsi agli effetti della crisi climatica. Genova è forse l’esempio estremo di questa situazione: in Liguria, tra frane e allagamenti, in 50 anni – a partire dall’alluvione del 1970 – sono morte 88 persone, e tra i peggiori episodi degli ultimi anni si contano l’alluvione del 2011 e quella del 2014.

Nubifragio a Palermo, 15 luglio 2020

Ma le date sono così tante che non le ricordiamo nemmeno più; se l’alluvione di Firenze del 1966 è entrata nella memoria collettiva come un evento epocale, lo stesso non succede oggi: a eccezione di chi ne è direttamente colpito – e non sono in pochi – tutti gli altri ne leggono sui giornali e sui social, magari si impressionano un po’, si informano se i loro conoscenti stanno bene, e poi se ne dimenticano. Perché ci sarà presto un altro evento a riempire i titoli di tv e giornali. Purtroppo la frequenza di questi eventi ci impedisce di usare l’aggettivo “eccezionale”, che pure sui media continua a comparire troppo spesso, come se fosse una nuova normalità. 

Alluvione di Firenze, 1966

Ma quello che stiamo vivendo non è affatto normale: l’Italia sta diventando un Paese arido in estate e tropicale in inverno, e tutta l’area del Mediterraneo è fortemente colpita dalla crisi climatica, con tassi di riscaldamento più alti che in altre zone del Pianeta; l’aumento delle temperature massime nella zona, infatti, potrebbe superare  i 3 °gradi centigradi, a fronte di un riscaldamento globale di due. La scorsa estate tutto il Mediterraneo è stato attraversato da un’ondata di caldo che ha reso chiaro quali vette il cambiamento climatico stia raggiungendo, con i 48,8 gradi toccati in provincia di Siracusa; nella regione il caldo estivo non è una novità e non è nemmeno strano, ma nel corso degli anni l’asticella dei termometri si è alzata, un agosto dopo l’altro. La siccità estiva porta ormai sempre più spesso con sé incendi devastanti e autunni posticipati e sempre più caratterizzati da eventi meteorologici che assomigliano sempre meno a piogge stagionali e sempre più a veri e propri cicloni. Nel mezzo si verificano le cosiddette “notti tropicali” – fenomeno che è tra gli indicatori dei cambiamenti climatici monitorati dal Servizio informativo agrometeorologico siciliano  – per cui quest’autunno la stessa Catania ha visto temperature minime costantemente al di sopra dei 20 gradi per 80 notti consecutive.

Non a caso ormai in Sicilia è possibile produrre frutta esotica come avocado, mango, banane e caffè, un pessimo segnale per la salute del clima che ha come rovescio della medaglia problemi per colture più tradizionali, come le arance, che sono in diminuzione, e la vite, che vede vendemmie anticipate – sempre che il raccolto scampi ai nubifragi – e grappoli più ricchi di zuccheri ma meno acidi, con cambiamenti notevoli anche per prodotti tipici che sono pilastri dell’economia e della tradizione italiana come il vino. L’innalzamento delle temperature medie comporta un peggioramento della stagione degli incendi estivi in tutta l’Europa mediterranea, con previsioni climatiche che preannunciano scenari preoccupanti, fino a un raddoppio dell’area che ogni anno finisce bruciata.

A essere più colpiti sono la Spagna, l’Italia meridionale, la Grecia, la penisola balcanica e la Turchia occidentale. A provocare i danni che oggi vediamo verificarsi sempre più spesso sono una sovrapposizione di fattori tra cui, in prima fila, inquinamento e sovrasfruttamento di terra e mare – con i relativi danni a una biodiversità come quella mediterranea che comprende 25mila specie di piante e il 18% delle specie marine conosciute al mondo – a cui si aggiungono e contribuiscono la forte urbanizzazione delle coste, la sovrappesca e il turismo di massa, un fenomeno quest’ultimo, di proporzioni importanti perché il Mediterraneo raccoglie il 30% del turismo mondiale, e allo stesso tempo un tema delicato perché resta una fonte economica fondamentale nonostante i danni che può provocare.

Tutto questo, quindi, contribuisce alla crisi climatica ormai ampiamente dimostrata dalla scienza, che ha anche evidenziato che l’ultimo decennio è stato il periodo più caldo degli ultimi 125mila anni. Quindi dobbiamo smetterla di parlare di clima impazzito, perché il clima non è impazzito affatto: fa esattamente quello che può nelle condizioni che con le attività umane e l’incuria ambientale noi abbiamo creato. Anche le parole sono importanti per dare forma e corpo alla nostra percezione del mondo e della realtà, in questo caso una realtà che è un’emergenza e va trattata come tale; l’Italia ne è coinvolta in modo massiccio, come tocca oggi alla Sicilia ricordarci, scoprendosi in fragile equilibrio, sommersa dalle acque, come in una versione postmoderna della leggenda di Colapesce.

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