La storia d’amore tra Filippo Turati e Anna Kuliscioff inizia a Napoli nel 1887. Insieme affronteranno problemi di salute, difficoltà finanziarie e la disapprovazione del loro rapporto da parte delle rispettive famiglie. Dopo il trasferimento a Milano nel 1892 lei diventa medico specializzata in epidemologia, mentre Filippo scala le gerarchie del partito socialista fino a diventare uno dei leader della sua ala moderata. Anna è una padrona di casa eccezionale, capace di trasformare il suo appartamento in piazza Duomo nel luogo di ritrovo di tutta la sinistra italiana, che lo chiamava “il salotto della signora Anna”. Anche Filippo lo frequenta fino a tarda notte per poi tornare a dormire a casa dell’anziana madre, Adele. Filippo e Anna iniziano a dormire insieme solo dopo la sua morte, nel 1916, rendendo ufficiale un rapporto felice e spensierato, uno di quei rari casi in cui due anime s’incontrano per la vita e la percorrono insieme, incuranti − o quasi − del mondo che le circonda.
Nell’autunno del 1925 un fallito attentato a Mussolini convince il re e l’opinione pubblica che una svolta autoritaria è necessaria per salvaguardare le istituzioni. La salute di Anna, da tempo malata di tubercolosi per le diverse incarcerazioni subite, peggiora. Come medico sa che non sopravviverà ancora a lungo e sul letto di morte confida a un’amica: “Non avrei mai dovuto fare a Filippo il torto di morire prima di lui”. Quando si spegne il 27 dicembre, la vita di Filippo va in pezzi. Inizia a soffrire di insonnia, passando le notti a fissare il soffitto disteso nel letto dove dormiva con Anna. Rifiuta le visite, tranne quelle del suo migliore amico Carlo Rosselli. Non riesce più a scrivere o a impegnarsi in politica, mentre fuori dall’appartamento di piazza Duomo l’Italia cambia. Il partito fascista raccoglie sempre più consensi e le camicie nere si fanno sempre più aggressive. Durante i funerali di Anna, il 29 dicembre 1925, gli squadristi aggrediscono i partecipanti, strappano i nastri delle corone funebri e costringono lo stesso Filippo a scappare in taxi dal funerale della sua compagna da quasi 40 anni.
Il 31 ottobre 1926, a Bologna, il 15enne Anteo Zamboni spara a Mussolini mancandolo di poco e viene linciato sul posto dalla folla. Il 6 novembre, con l’opinione pubblica ancora in fibrillazione per l’attentato, vengono promulgate nuove leggi sulla pubblica sicurezza che istituiscono l’Ovra, la polizia segreta incaricata di estirpare qualsiasi associazione antifascista, e reintroducono la pena di morte. Molti oppositori del regime hanno già scelto la via della fuga e dell’esilio all’estero, ma nel 1926 i confini vengono blindati e sorvegliati con l’ordine di sparare a chiunque provi ad andarsene. Le questure smettono di rilasciare passaporti a chi è schedato come antifascista o simpatizzante, mentre nelle strade le camicie nere cantano “Con la barba di Turati noi farem gli spazzolini/Per lustrare gli stivali di Benito Mussolini”.
Turati sa di essere in pericolo di vita; la questura, con la scusa di proteggerlo, fa piantonare casa sua e prende nota di chiunque lo vada a trovare. Rosselli cerca di scuoterlo dall’apatia in cui lo ha gettato la morte di Anna per convincerlo a fuggire. Ci prova decine di volte, fino a trovare nel ricordo della donna amata da Turati la leva giusta. Rosseli inizia a organizzare la fuga del suo migliore amico.
Carlo è un socialista con forti ideali mazziniani, che ha aderito al partito per combattere contro gli estremismi di fascismo e bolscevismo. Durante la prima guerra mondiale perde il fratello Aldo, ma rimane a favore dell’interventismo. Terminati gli studi nell’aprile del 1918 diventa ufficiale di un battaglione di Alpini in Valtellina, ma la guerra finisce prima che possa ricevere il battesimo del fuoco. Tornato a casa si dedica alla politica, e con l’avanzare del fascismo trasforma il suo appartamento milanese in via Borghetto in una stamperia clandestina e in una base per organizzare la fuga dall’Italia dei militanti antifascisti. Con lui collaborano i due compagni di una vita. Il primo è Riccardo Bauer, ex militare volontario nella Grande Guerra, perseguitato dal regime per i suoi ideali democratici. Il secondo è Ferruccio Parri, veterano del Carso e della battaglia sul Piave, quattro volte ferito e quattro volte decorato con la medaglia d’argento al valor militare, due volte promosso sul campo fino al grado di maggiore e addetto stampa dell’Alto Comando, convertito in giornalista antifascista dopo l’armistizio. Forti della comune esperienza militare, i tre pianificano la fuga di Turati nei minimi dettagli, ma nulla va come previsto.
Nel tardo pomeriggio del 21 novembre, Rosselli passa sotto il naso dei piantoni che sono abituati a vederlo, sale all’ultimo piano del palazzo dove vive Turati e gli dice di fare i bagagli per partire immediatamente. Gli fa indossare un cappotto pesante e un berretto ben calcato sulla testa, poi apre una vecchia botola sul soffitto dell’appartamento. I solai delle case milanesi sono tutti collegati tra loro e i due uomini camminano accucciati percorrendo un labirinto di vecchi bauli, tappeti, masserizie e polvere. Arrivano nel solaio all’angolo dell’edificio, dove una scala scende in una via laterale. Una macchina li aspetta col motore acceso, giusto alle spalle dell’agente di guardia, troppo annoiato per badare a tre uomini qualsiasi che probabilmente stanno andando a cena. L’autista è Ettore Albini, un critico d’arte proprietario di una casa in campagna a Caronno Ghiringhello, in provincia di Varese. Dovrebbero nasconderci Turati solo per una notte, ma il piano non riesce.
Ferruccio Parri nei giorni precedenti ha perlustrato tutti i valichi di frontiera con la Svizzera e sa che le possibilità di farcela in macchina sono nulle. I valichi della bassa comasca sarebbero percorribili a piedi, ma è uno sforzo notevole per un uomo dell’età di Turati. Anche la pioggia non aiuta, ma il vero problema sono i rastrellamenti da parte delle forze dell’ordine a caccia del bandito Sante Pollastri, ricercato per diversi omicidi. La situazione si aggrava il 28 novembre, quando Bauer viene arrestato vicino a Como mentre cerca di portare in Svizzera Giovanni Ansaldo e Carlo Silvestri, colpevoli di avere pubblicato un articolo che identificava in Mussolini il mandante dell’omicidio Matteotti. I confini sono impenetrabili e il tempo è agli sgoccioli: bisogna rielaborare un piano e in fretta, perché a Milano la polizia ha scoperto che Turati è latitante e ha iniziato a interrogare conoscenti e antifascisti per trovarlo. L’unica soluzione rimasta è quella più impensabile: scappare via mare.
Il 2 dicembre Turati lascia il suo nascondiglio poche ore prima che la polizia ci faccia irruzione. Gli agenti e il prefetto di Milano trovano solo Albini che, nonostante le minacce e l’arresto, non tradisce i fuggitivi. Turati raggiunge Ivrea, dove viene nascosto e aiutato dalla famiglia Olivetti. Camillo, padre del più celebre Adriano, nutre per Turati un’ammirazione sconfinata ed è dichiaratamente antifascista, ma rinfaccia comunque a Filippo la scarsa energia che ha dimostrato in politica negli ultimi anni. Da Ivrea trasferiscono Turati a Torino nella casa di Giuseppe Levi, un anatomista ebreo, mentre la polizia estende le ricerche in tutto il nord Italia e mobilita i propri informatori.
A Torino entra in scena il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini, che deve espatriare come Turati per le sue idee antifasciste. Organizza il piano di fuga, ma perché funzioni gli servono più uomini e soprattutto più denaro. Per raccoglierlo, Pertini scrive alla famiglia a Savona, chiedendo di vendere la sua quota ereditaria di un podere, ma riceve un rifiuto. Alla fine è Carlo Rosselli a pagare l’operazione di tasca sua. Pertini contatta il macchinista navale Lorenzo Da Bove: è un uomo di fiducia e che procura un motoscafo Oriens. Poi recluta dei marinai. Italo Oxilia è un amico di Pertini e capitano di lungo corso, così lo mettono al timone. Enrico Ameglio è un meccanico giovanissimo e riceve la mansione di motorista. Giuseppe “Achille” Boyancé, un ferramenta, viene incaricato di procurarsi il carburante. Con l’equipaggio al completo, la partenza viene fissata per l’11 dicembre dal molo di Vado Ligure. Quel giorno il porto è pattugliato dalle motovedette della Guardia di Finanza e il motoscafo con De Bove e Oxilia non può attraccare. Turati, Parri e Pertini restano nascosti in macchina, incerti se rimandare il tentativo di fuga.
De Bove alla fine riesce ad attraccare in un molo dismesso, dove fa sbarcare Oxilia che corre a prendere un taxi e raggiunge la macchina dei fuggitivi un istante dopo che hanno messo in moto. Dopo averli rassicurati, li guida fino al molo “Lanternino Verde” dove riescono a imbarcarsi alle dieci di sera. Il libeccio che agita il mare e rende la traversata verso la Corsica estremamente pericolosa: naufragare o cadere in mare significa morire per ipotermia nell’arco di pochi minuti, ma decidono di rischiare comunque in una traversata che durerà 12 ore.
Alle dieci di mattina del 12 dicembre, Pertini, Parri, Turati e Rosselli attraccano al molo di Calvi, dove vengono arrestati dai gendarmi. Il comandante della capitaneria di porto locale, però, cambia atteggiamento non appena scopre l’identità di Turati. La Francia e i francesi nutrono forti antipatie per Mussolini, e le loro autorità forniscono di buon grado tutta l’assistenza necessaria per permettere ai fuggiaschi di richiedere l’asilo politico. Appena la notizia si diffonde Turati e gli altri vengono invitati a un ricevimento in loro onore al circolo repubblicano di Calvi. Per Mussolini è uno smacco internazionale, ma ormai il leader socialista è lontano dalla sua portata. Turati non tornerà mai più in Italia. Morirà a Parigi nel 1932, ma le sue spoglie torneranno a Milano solo nel 1948, dove verranno tumulate nel Cimitero Monumentale di Milano, finalmente vicino alla sua Anna.