La Mostra d’Oltremare a Napoli è il maggiore polo fieristico del Sud Italia. Ideata come “Esposizione Tematica Universale” e allestita nel 1937, doveva celebrare l’espansione politica e economica dell’Italia fascista.
Inaugurata ufficialmente il 9 maggio 1940, a partire dagli anni Sessanta venne però progressivamente abbandonata. Così, quando in seguito al terremoto dell’Irpinia del 1980 Napoli e la Campania si trovarono a dover gestire migliaia di sfollati, si decise di trasformare la Mostra in zona dormitorio, dove chi aveva perso la casa poteva parcheggiare la propria roulotte. Come spesso accade in Italia, da misura emergenziale e temporanea quella sistemazione divenne un quartiere: “la roulottopoli” della Mostra d’Oltremare divenne uno dei simboli del fallimento del piano di ricostruzione post terremoto, uno dei peggiori esempi di speculazione economica della storia italiana.
Il 12 maggio 1981, tra le roulotte della Mostra si diffonde un comunicato delle Brigate Rosse, il numero 5, che riporta le parole di Ciro Cirillo, assessore all’Urbanistica della regione Campania che da sedici giorni è opposto al “processo popolare”. “Terremotati, sono Ciro Cirillo, sono rinchiuso nella prigione del popolo come prigioniero di guerra delle BR. Sto pagando 30 anni di attività antiproletaria. Ho capito che la ricostruzione non può essere basata sulla deportazione”.
Ciro Cirillo, classe 1921, è uno degli esponenti di spicco della Democrazia Cristiana campana. Braccio destro di Antonio Gava, l’uomo forte del partito regionale, Cirillo negli anni Sessanta è stato a lungo segretario della provincia napoletana. Presidente della Provincia nel 1968, dopo 5 anni da assessore all’urbanistica della Regione, nel 1980 diventa di presidente della Regione. Nel 1981, dopo la tragedia del terremoto, Cirillo torna all’urbanistica con la delega alla ricostruzione. Una posizione di enorme potere. Per questo la sera del 27 aprile 1981 le BR lo rapiscono davanti al garage della sua abitazione a Torre del Greco. Nell’agguato perdono la vita l’agente di scorta Luigi Carbone e l’autista Mario Cancello. È l’inizio di quello che diventerà uno dei più clamorosi casi politici e giudiziari della Prima Repubblica. Saranno coinvolti uomini dei Servizi segreti, alti funzionari dello Stato, faccendieri, i vertici della Democrazia Cristiana, e la Camorra.
Il 1981 rappresenta uno snodo cruciale nella storia delle Brigate Rosse. Il 4 aprile a Milano viene arrestato Mario Moretti, l’uomo capace di mediare fra le differenti anime presenti nel gruppo. A guidare le nuove BR, alle prese con crisi e lacerazioni interne, c’è Giovanni Senzani: 40 anni, criminologo ex consulente del ministero di Grazia e Giustizia, nel 1980 è il fondatore della colonna napoletana delle BR con l’obiettivo di “sfondare – come recitava uno slogan del partito della guerriglia – la barriera del Sud”. Come primo atto ufficiale la colonna uccide il 19 maggio il democristiano Pino Amato, assessore al Bilancio della Regione Campania. La nuova strategia delle BR guidate da Senzani si rivolge al Meridione e in particolare alla Campania, dove il terremoto ha creato migliaia di senzatetto e disoccupati. Nel pieno di un nuovo boom economico italiano – una crescita dopata dall’abuso della spesa pubblica – il Sud resta ai margini, per non dire del tutto tagliato fuori, e Senzani vuole colmare il vuoto di uno Stato percepito sempre più come assente.
Per questo, nelle richieste contenute nei dodici comunicati del “processo popolare a Ciro Cirillo”, Senzani si concentra sulle condizioni di vita del proletariato campano: il rapimento dell’assessore DC all’Urbanistica è un atto “contro la deportazione dei proletari” e in cambio della liberazione si chiede di requisire le case sfitte “dei padroni” per consegnarle ai senza tetto, la chiusura del villaggio di roulotte della mostra d’Oltremare e l’istituzione di un sussidio per i terremotati. A un mese dal rapimento Cirillo, il capogruppo DC al comune di Napoli Roberto Pepe chiede la requisizione di 900 case sfitte. “Questo non significa trattare con le BR,” dichiara ai giornalisti. La realtà però è che lo Stato sta proprio trattando con i terroristi e che sono questi ultimi ad avere la meglio.
Ma in quegli anni il potere in Campania, più che dalle istituzioni della Repubblica, è gestito dalla Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Don Raffaè è detenuto ad Ascoli Piceno, ma mantiene comunque il controllo capillare del territorio. Lo sanno bene anche i servizi segreti, che già 24 ore dopo il rapimento del 27 aprile vanno in visita dal boss: hanno bisogno del suo aiuto per la liberazione dell’ostaggio. Il 28 aprile Giorgio Criscuolo, uomo del Sisde, incontra Cutolo nel carcere di Ascoli. Vi torna altre due volte, il 2 maggio e il 5 maggio. Stando alle dichiarazioni del Prefetto Parisi, allora vicedirettore vicario del Sisde, Criscuolo si presentava con il nome di copertura di Acanfora. Ai colloqui partecipano anche altri due personaggi: Vincenzo Casillo, esponente della camorra ancora in libertà e considerato il vice di Cutolo, e Giuliano Granata, sindaco di Giugliano e segretario di Cirillo, appartenente anch’egli alla corrente che fa capo all’onorevole Antonio Gava. Ma Cutolo per il momento non sembra disposto a collaborare. Il processo popolare a Cirillo, filmato dalle telecamere delle BR, prosegue.
Il 7 giugno del 1981 a casa Cirillo arriva la richiesta delle BR di rendere pubblica la trascrizione dell’interrogatorio all’assessore DC, che viene pubblicata da Lotta Continua alla fine di quel mese con il titolo “Quattro pagine che avremmo preferito non pubblicare”. In quel verbale Cirillo ripercorre tre decenni di storia dello scudo crociato in Campania e parla anche di Antonio Gava e del potere che detiene. Per la Democrazia Cristiana è un duro colpo, ma la pubblicazione è l’ennesima richiesta delle Brigate che viene soddisfatta e sembra ormai vicino il rilascio di Cirillo. Fino al 9 luglio 1981, giorno in cui arriva il comunicato numero 11: “Il processo a Ciro Cirillo è terminato, e la condanna a morte di questo boia è la giusta sentenza in questa società divisa in classi. Ed è nello stesso tempo il più alto atto di umanità che le forze rivoluzionarie possono cogliere”. I servizi segreti tornano da Cutolo a chiedere aiuto.
Non è più il Sisde ad occuparsi della vicenda, ma il Sismi, che non avrebbe alcun titolo per occuparsi di affari interni. Nel 1981 è l’esempio più calzante di “servizio deviato”, guidato da ufficiali iscritti alla Loggia massonica P2, come il suo direttore Giuseppe Santovito. Questa volta Cutolo ha un piano per “agevolare” il rilascio di Cirillo, ma vuole qualcuno a garanzia del patto. I servizi si presentano per conto della Democrazia Cristiana, e infatti portano come “garante” Giuliano Granata, capo segreteria di Ciro Cirillo: è l’inizio della trattativa con la camorra, con la speranza che almeno Don Raffaè riesca a condizionare le BR, con i suoi contatti e con i suoi mezzi.
Cutolo coinvolge Corrado Iacolare e Enzo Casillo, suoi uomini di fiducia: sarebbero entrambi latitanti, ma con la copertura dei servizi posso tranquillamente introdursi nel carcere di Palmi, in provincia di Reggio Calabria, dove sono detenuti alcuni esponenti delle BR. È accertato che Vincenzo Casillo e Corrado lacolare si siano recati in visita al penitenziario con un tesserino del Sismi il 20 maggio ed il 4 giugno 1981. Nella “Proposta di relazione sulla camorra”, redatta il primo dicembre 1993 dalla Commissione Parlamentare Antimafia, si leggerà che i due hanno colloqui con i detenuti politici Luigi Bosso e Sante Notarnicola, che fanno da intermediari per le BR. “Ciò conferma – si legge a pagina LXXX del documento della Commissione – come attraverso questi due detenuti si stesse svolgendo il negoziato e come sia stato decisivo il periodo tra la fine di maggio e la prima decade di giugno. Le prime proposte di Cutolo erano state respinte dalle BR ma successivamente le difficoltà vennero via via superate.” La Commissione aggiungerà anche che “Da tutte le deposizioni rese da ex brigatisti emerge una convinzione comune, diffusa nelle loro file: che la DC si era attivata, attraverso Cutolo, per trattare con le BR, e che era pronta a fare concessioni.” Lo stesso Cutolo, nella sua deposizione alla Corte d’Appello di Napoli il 30 giugno 1993, dirà ai giudici: “Io ho mandato a dire a questi BR che stavano a Palmi che subito dovevano rilasciare il dottor Cirillo, perché lo desideravo io sennò ci sarebbero state rappresaglie da me e dai miei uomini contro di loro.”
Dopo gli incontri di Palmi, Giovanni Senzani chiede alla famiglia Cirillo il riscatto per la liberazione. La cifra iniziale è di tre miliardi di lire, che poi scendono a un miliardo e 450 milioni. La negoziazione avviene telefonicamente tra lo stesso capo delle BR e l’avvocato indicato da Ciro Cirillo per la trattativa sul riscatto, Carlo Enrico Zambelli. Le conversazioni vengono anche registrate, ma la magistratura napoletana le potrà ascoltare solo nel 1987. Le custodisce in quegli anni uno dei figli di Cirillo e quando gli verrà domandato perché non le abbia mai esibite, Bernardo Cirillo risponderà: “Perché nessuno me le ha mai chieste”. In seguito a quelle telefonate, la mattina del 24 luglio 1981 Ciro Cirillo viene liberato: ad avvertire la famiglia è un’altra telefonata delle BR: “Il patriarca è stato lasciato alle case popolari di via Stadera, di fronte il cinema Lora, andando da Poggio Reale a Casoria, nell’atrio del grattacielo che cadde”.
Nonostante siano le stesse BR nell’ultimo comunicato del 22 luglio a rivelare l’esistenza di un riscatto, Antonio Gava smentisce più volte che sia stata mai pagata alcuna somma – lo confermerà anni dopo. D’altronde, nei giorni seguenti il rilascio di Cirillo, tutta la Democrazia Cristiana è sotto accusa, Gava in particolare: perché questa volta si è deciso di pagare, mentre nel sequestro Moro ha prevalso la “linea della fermezza”? Le opposizioni chiedono a gran voce le dimissioni di Antonio Gava, diventato nel frattempo ministro dell’Interno nel governo presieduto da Ciriaco De Mita, che non solo non accoglie la richiesta ma attacca anche il giudice Carlo Alemi, titolare dell’inchiesta sul sequestro, accusandolo di fare solo illazioni e di agire al di là dei limiti costituzionali. L’accusa più pesante avanzata dal giudice riguarda proprio l’entità del riscatto: oltre al miliardo e 450 milioni di lire pagati alle BR, l’accordo con Cutolo avrebbe previsto anche la promessa di futuri appalti e coperture per la sua cosca. La stessa tesi avanzata anche dal Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza presieduta dal senatore repubblicano Libero Gualtieri, presentata il 10 ottobre 1984 e riguardante l’operato dei servizi nella vicenda Cirillo. “Il riscatto da pagarsi alle brigate rosse,” precisa la relazione Gualtieri, “costituiva solo una parte della partita, e la concessione di contropartite di altro tipo ai clan camorristici di Cutolo, elevati a rango di intermediari tra lo Stato e le formazioni terroristiche, era altrettanto necessaria”. Insomma, i cardini della trattativa sono stati due: l’impegno del boss camorrista a far leva sui brigatisti per trovare un accordo e ottenere la liberazione del sequestrato e la promessa di benefici non patrimoniali a favore di Cutolo e della sua organizzazione.
L’istruttoria di Alemi viene depositata il 28 luglio 1988 al tribunale di Napoli, ma si chiuderà con un nulla di fatto, con i giornali che titoleranno: “Al processo Cirillo vince la DC”. Anche Raffaele Cutolo, condannato in primo grado per falso ed estorsione ai danni del partito, verrà assolto dalla Corte d’Appello di Napoli con la sentenza del 14 luglio 1993. Nella stessa sentenza però i giudici scriveranno: “Sono ricollegabili alla grande famiglia della Dc le trattative attuate con le BR attraverso la camorra di Raffaele Cutolo.” La Corte respingerà le richieste di una nuova istruttoria e di rinnovamento del dibattimento. Nessuno però saprà mai da dove siano arrivati i soldi del riscatto. Anche i figli di Cirillo diranno di essere stati aiutati da “amici”, ma nulla di più. Né si accerterà mai per conto di chi abbiano agito i servizi segreti.
Dopo essere stato rilasciato dalle Brigate Rosse, Ciro Cirillo viene costretto dalla DC stessa a dimettersi dal partito. Morirà il 30 luglio 2017. Antonio Gava rimarrà invece a capo del dicastero dell’Interno anche sotto il governo Andreotti VI, fino al 16 ottobre 1990, quando in seguito ad un ictus sarà costretto ad abbandonare la carica. Morirà l’8 agosto 2008. Raffaele Cutolo sarà condannato a 4 ergastoli da scontare al 41 bis. Oggi è detenuto nel carcere di Parma.
Giovanni Senzani viene arrestato nel maggio del 1982. Durante gli 89 giorni del sequestro Cirillo, le Br da lui guidate sequestrano altre cinque persone: Renzo Sandrucci, dirigente dell’Alfa Romeo; Giuseppe Tagliercio, ingegnere della Montedison; Rosario Giovine, consigliere comunale democristiano; Umberto Siola, assessore comunale all’edilizia del Pci. Il sequestro più tragico però è quello del 10 giugno 1981, quando le BR rapiscono Roberto Peci, fratello di Patrizio Peci, il primo grande pentito del gruppo. Nei 55 giorni di prigionia sarà interrogato senza sosta da Giovanni Senzani, che filmerà l’interrogatorio – una vera e propria minaccia nei confronti di tutti i brigatisti, con cui dissuaderli dal collaborare con gli inquirenti. Roberto Peci viene assassinato il 3 agosto del 1981 con 11 colpi di mitra. Giovanni Senzani ha scontato la sua pena, e da febbraio 2010 è definitivamente libero.