“Il sosia” di Dostoevskij ci insegna che spesso il nostro più grande nemico siamo noi stessi - THE VISION

Al di là delle recenti discussioni rispetto alle goffe scelte istituzionali legate allo scrittore russo Fedor Dostoevskij, è giusto ricordare come questo grande autore sia stato capace di raccontare le contraddizioni che si annidano nell’inconscio e che, se non riportate alla coscienza, condannano l’individuo allo sviluppo di nevrosi, a un perpetuo dissidio con sé stesso e con gli altri, a sentimenti di onnipotenza o di autosvalutazione. Dostoevskij è stato in grado di mostrare in maniera inedita le contraddizioni interiori dei suoi personaggi, il lato scuro della loro personalità, essi incarnano gli eterni conflitti dell’essere umano, che trascendono il tempo e lo spazio, per questo i suoi romanzi sono dei classici intramontabili. Basti pensare a Raskolnikov, il protagonista di Delitto e castigo. Autore di un omicidio compiuto a fin di bene, per tutto il romanzo è dilaniato dal senso di colpa e tenta, più o meno consciamente, di essere scoperto e punito per ciò che ha fatto. Nel frattempo si interroga sulla sua identità e sul suo valore in quanto individuo: “Ma io, quanto valgo? Sono come un insetto o sono come Napoleone?”. Ma il dubbio esistenziale è la cifra di molti altri personaggi dostoevskijani.

Tra questi, quello che probabilmente incarna meglio di tutti la doppiezza dell’essere umano è Jakov Petrovič Goljadkin, l’inetto protagonista del romanzo Il sosia. Il romanzo racconta la storia del consigliere titolare Goljadkin, un uomo insicuro, innamorato di Klara Olsuf’evna, la figlia del suo superiore, che lo rifiuta, abituato a essere maltrattato e incapace di reagire alle ripetute umiliazioni che subisce. Una sera, dopo essere stato cacciato da una festa presso il palazzo della donna, Goljadkin si imbatte in una figura identica a lui. Quest’uomo, il “sosia” appunto, non ha soltanto lo stesso aspetto di Goljadkin, ma anche lo stesso nome e la sua stessa storia. Dostoevskij lo chiama Goljadkin junior, per distinguerlo da quel Goljadkin senior che per tutta la storia non riuscirà a liberarsi del suo alter ego. Il sosia, infatti, lo insegue ovunque, si insinua negli ambienti che frequenta e con sarcasmo e fare subdolo manda in crisi la sua esistenza, già minata dai fallimenti.

Sono molti gli autori che nel corso dei secoli hanno esplorato il tema del doppio. Da Plauto con la sua commedia Menecmi a Calvino nel romanzo Il visconte dimezzato, la metafora dell’altro da noi è stata sviscerata per raccontare la pluralità dell’animo umano e le sue componenti in reciproca contraddizione, ma l’espediente usato da Dostoevskij ne Il sosia rivela che il nostro più grande avversario è dentro di noi, e che il male che percepiamo negli altri è spesso una sua proiezione.  Se pensiamo a Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, di Robert Louis Stevenson, pubblicato nel 1886, il protagonista si ritrova scisso in due entità contrapposte: una alta, elegante e rispettabile, l’altra bassa, deforme e ripugnante. Un contrasto tangibile tra il bene e il male, tra un temperamento positivo e uno negativo facilmente riconoscibili dall’esterno. È così anche ne Il visconte dimezzato, dove il protagonista Medardo è spaccato in due da una palla di cannone che lo colpisce al petto, dividendolo in una parte socialmente riconosciuta come malvagia, il Gramo, e in una benevola agli occhi di tutti, il Buono. Tutto ciò non accade nel romanzo di Dostoevskij: il sosia, che osteggia Goljadkin senior, non ha nulla di socialmente e universalmente ripugnante, riesce al contrario a conquistare la simpatia e la stima di buona parte delle persone che orbitano attorno al protagonista. Nessuno riconosce nel sosia un essere malvagio a eccezione di Goljadkin senior, che ingaggia una battaglia distruttiva – e autodistruttiva – con il proprio alter ego. Goljadkin junior rappresenta il lato oscuro di Goljadkin senior, quell’ombra che lo psicanalista Carl Gustav Jung teorizzerà nei primi decenni del Novecento.

Italo Calvino

Secondo Jung, l’ombra è quella parte della nostra personalità di cui non siamo coscienti, che tendiamo a ripudiare perché la consideriamo poco desiderabile o addirittura ripugnante. Nell’ombra, dice lo psicanalista svizzero, si celano i nostri istinti più primitivi, che durante l’infanzia sono stati censurati e sostituiti. Meno l’ombra è incorporata nella vita cosciente dell’individuo – che se ne vergogna e la rifiuta – più questa si rivela nera e densa, agendo negativamente sulla strutturazione di una personalità solida e integrata. È ciò che accade al protagonista de Il sosia: più lui respinge la sua ombra, rinnegandola e chiedendole di farsi da parte, più questa lo incalza insinuandosi nella sua mente e osteggiandone l’esistenza. Nel suo romanzo, scritto nel 1846, Dostoevskij prefigura non solo questo concetto, ma anche quello di proiezione a essa associata.

Carl Gustav Jung

Secondo Jung, l’ombra, percepita come inferiorità personale che ha a che fare con la parte istintiva e irrazionale dell’individuo, viene proiettata sull’altro e avvertita come una sorta di sua deficienza morale. La proiezione è però dannosa, poiché crea un velo di illusione tra l’ego e il mondo reale dell’individuo che evita, pur inconsciamente, di penetrarla e integrarla nel proprio Io. Secondo gli studi di Jung sull’ombra, l’individuo incapace di riconoscere l’ombra elaborerebbe questa proiezione per soddisfare il bisogno di individuare negli altri le ragioni della propria inadeguatezza, attribuendo a chi lo circonda l’origine dei propri sentimenti negativi, dalla rabbia al dolore, dal risentimento all’odio. Così facendo, ingaggia una lotta contro gli aspetti della propria personalità che non riesce ad accettare e che vede come nemici esterni. Combattendo contro gli altri, dunque, combatte in realtà contro parti di sé: è ciò che accade a Goljadkin senior, che nel tentativo di annientare la sua ombra finirà per impazzire.

Goljadkin è infatti incapace di compiere quel percorso di individuazione e integrazione dell’ombra necessario, secondo Jung, a ciascuno di noi per maturare da un punto di vista psichico ed emotivo. Nell’ombra risiede la nostra parte creativa, oltre a quella istintiva, ed è importante riconoscerla senza caderne vittime, evitando di essere sopraffatti dal lato “oscuro” – ma sarebbe meglio dire soppresso – della propria personalità. Nel caso del romanzo di Dostoesvskij Goljadkin junior surclassa Goljadkin senior, il quale, umiliato e rifiutato dalla società, vede nel suo alter ego una figura stimata e ammirata, che raccoglie le lusinghe persino della donna che ama. L’errore di Goljadkin senior risiede nella sua inconsapevolezza, che lo porta a combattere ostinatamente contro il suo senso di inadeguatezza rispetto al reale e che gli impedisce di accedere alla stanza segreta della sua personalità. La sua ombra agisce attraverso l’enantiodromia, letteralmente “corsa nell’opposto”, fenomeno descritto da Eraclito e risemantizzato da Jung, che si verifica quando la vita cosciente procede secondo una direttiva unilaterale, e quindi la contraddizione intrinseca all’individuo è costretta a manifestarsi attraverso l’inconscio. L’ombra di Goljadkin, ovvero il suo sosia, risiede nel suo inconscio, ed è per questo che lui la percepisce come un nemico e non come una parte di sé. L’ombra finisce allora per umiliarlo davanti a tutti e prendersi ciò che lui non riesce ad avere, conducendolo a un degrado psicologico che sconfinerà nella follia.

Con Il sosia, Dostoevskij è stato capace di esplorare le contraddizioni intrinseche all’individuo, prima ancora che queste fossero indagate dalla psicanalisi. Attraverso la sua capacità di introspezione della psiche e grazie alle vicende universali a cui ha dato vita, l’autore russo ci ha lasciato in eredità degli strumenti di comprensione e decodifica delle nostre debolezze e precarietà. E oggi appare più che mai importante ricordarcene, in una realtà sempre più polarizzata, che si ostina a classificare ogni persona o evento secondo le categorie antinomiche del bene e del male, e che ci porta a proiettare sull’altro la nostra stessa inadeguatezza, perché incapaci di orientare lo sguardo verso noi stessi e verso i limiti che ci determinano e che a volte ci annientano. Dostoevskij è ancora oggi capace di metterci davanti a uno specchio, di farci osservare ciò che tentiamo di nascondere ai nostri occhi nostri e a quelli degli altri.

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