La sinistra italiana dovrebbe ripartire da Zoro

Dalla caduta del muro di Berlino a oggi, la sinistra occidentale ha completamente cambiato pelle e rischia seriamente l’estinzione. E un paese come l’Italia, che ha avuto il Partito comunista più grande e organizzato d’Occidente, non uscirà indenne da questa trasformazione.

Il 3 febbraio 1991 la stragrande maggioranza dei compagni del Partito comunista italiano confluiva nel Partito democratico della sinistra, un nuovo inizio – o forse l’inizio della fine, a pensarci oggi. Da lì a poco sarebbe iniziata l’esaltazione della cosiddetta “Terza via”, attraverso cui le politiche di stampo socialista avrebbero dovuto trovare spazio nello scenario globalizzato e neo-liberista. Non è andata proprio così. La sinistra non solo non ha seguito una nuova via, ma si è appiattita sulle posizioni della destra liberale; un percorso ben descritto in una frase pronunciata nel 2005 dal Cancelliere social-democratico tedesco Gerhard Schröder: “La politica economica non è di destra o di sinistra, ma buona o cattiva.” In pratica, un’autostrada per i movimenti post-ideologici regalata da chi si professava orgogliosamente socialdemocratico.

In questi anni la sinistra ha sostenuto un’assurda incompatibilità tra i diritti sociali e i diritti civili, cercando di giustificare la compressione dei primi con l’ampliamento dei secondi. Diminuisco le  tue tutele in caso di licenziamento ma propongo lo ius soli, ci dispiace, ma non è possibile assicurarti sia la cittadinanza che il posto di lavoro – che volete farci, è il Capitalismo.

Negli ultimi anni, i progressisti si sono ritrovati a rincorrere la destra su temi come finanze pubbliche e immigrazione, con la conseguenza di disorientare l’elettorato storicamente meno mobile d’Italia. Da un lato si è cercato di ridurre progressivamente la spesa pubblica a danno del welfare, dall’altro si sono conclusi accordi disumani con la Libia per rivendicare una riduzione degli sbarchi dei migranti sulle nostre coste. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Sono stati grandi errori politici. È necessario ripartire da zero, e per farlo abbiamo bisogno di persone che siano rimaste saldamente sulla barca della sinistra. Io ne ho in mente una: Diego Bianchi, in arte Zoro.

Diego Bianchi

La storia di Bianchi è ben riassunta nella prima puntata di “Tolleranza Zoro”, dove sintetizza il periodo che va dalla dissoluzione del Pci alla nascita del Pd attraverso gli occhi di un militante che dall’età di 4 anni distribuiva le copie dell’Unità in giro per Roma. Zoro confessa di aver sostenuto la nascita del Partito Democratico della Sinistra e ricorda l’orgoglio con cui i militanti di quegli schieramenti rivendicavano una morale diversa dagli altri partiti durante la stagione di Tangentopoli.

Da quella puntata del 2007 sono cambiate tante cose. Dall’entusiasmo per l’elezione di Walter Veltroni a segretario del Pd alla disfatta del 4 marzo scorso, Diego Bianchi ci ha accompagnato in tutti i momenti più importanti della sinistra italiana, lasciando intravedere un progressivo distaccamento dalla militanza attiva, stacco che tradisce ancora una volta la crisi della sinistra italiana acuita negli ultimi dieci anni.

Nonostante il minore coinvolgimento nelle sezioni e nei circoli di partito, Zoro ha sempre cercato di fornire una chiave di lettura ideologicamente schierata rispetto a quello che succedeva dentro quell’insieme di ex comunisti, socialisti, democristiani, sparuti radicali e blogger della primissima ora che si chiama (chissà per quanto ancora) Partito democratico. Le puntate di “Tolleranza Zoro” andate in onda durante la segreteria del “compagno” Dario Franceschini sono state le migliori. Si respirava ancora un’aria di fiducia, le forze progressiste godevano di ottima salute in tutta Europa, e – pure con l’eccezione berlusconiana che ci tarpava le ali in Italia – il sole dell’avvenire era ancora lì, ben visibile all’orizzonte.

Molti di noi, Zoro compreso, hanno accolto il governo Monti come un’enorme liberazione per poi renderci conto, dopo pochi mesi, che stavamo sostenendo della macelleria sociale voluta dalle istituzioni europee per puro senso di responsabilità. La lotta tra l’allora ministro del Lavoro Elsa Fornero e l’Inps ha prodotto una riforma delle pensioni con centinaia di migliaia di “esodati”, e il taglio di numerose altre voci di spesa pubblica a danno dei più deboli, insieme all’inserimento del principio del pareggio di bilancio in Costituzione rendevano urgente un cambio di passo. In una puntata di “Tolleranza Zoro” del 2012 passò il messaggio, sibillino, che il “compagno” Mario Monti aveva fatto il suo mestiere, “adesso facciamo cadere questo governo e andiamo a vincere le elezioni.” E invece sappiamo perfettamente come è andata a finire. Governo che dura fino alla fine della legislatura, campagna elettorale con la sicurezza di governare con Scelta civica di Monti e di smacchiare il giaguaro, sino alla débâcle elettorale del 2013.

È la fine di un’era, e finisce anche “Tolleranza Zoro”. Diego Bianchi si trasforma in conduttore televisivo con “Gazebo”, in onda in seconda serata sulla terza rete. Era nato il democristianissimo Governo Letta e la narrazione dei fatti del nuovo programma era fondamentale per provare a convincermi che la sinistra non era ancora morta, che quella era una fase di passaggio necessaria ma transitoria, che il vento era debole, sì, ma fischiava ancora.

La vicinanza alle istanze sindacali, la lotta al precariato, il racconto umano del fenomeno migratorio erano intrisi di parole di sinistra: il lavoro, la solidarietà, l’uguaglianza, l’integrazione. Fuori da “Gazebo” il Movimento 5 stelle saliva sul tetto del Parlamento e il Senatore Silvio Berlusconi veniva condannato per frode fiscale, mentre il Governo Letta metteva il grembiule e faceva i compiti assegnati da Bruxelles.

Enrico Letta

Del governo Renzi e del successivo governo Gentiloni si è parlato a sufficienza. Possiamo limitarci a dire che la famosa frase di Schröder oggi è più che mai attuale. Nello psicodramma collettivo che viviamo in Italia, “Gazebo”prima e “Propaganda live” dopo, sono stati un’isola felice, lontana dalle disgraziate scelte politiche che ci hanno portato fin qui. Volevamo il partito della nazione e abbiamo avuto il partito della divisione, cercando di sfondare un centro che oggi non esiste.

In un mondo che si vanta di essere sempre più post-ideologico, con una politica che ha rinunciato a guidare i cittadini per cercare di assecondarli, le persone che hanno ancora un’idea diversa di società sono rare. E se riescono a riunire intorno a loro centinaia di migliaia di persone, un motivo c’è.

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Non è più tempo di cercare esperti di comunicazione di fama mondiale per esaltare il mondo moderno e globalizzato. Lo spin doctor va cercato in personalità capaci di aggregare visioni e scelte di sinistra, in persone in grado di raccontare il mondo con gli occhi di chi spera che il domani sarà migliore per tutti, non soltanto per alcuni. Diego Bianchi allora potrebbe essere l’uomo giusto per coprire questo ruolo e per ridare un senso di appartenenza a un popolo che si sente abbandonato. Un messaggio nuovo composto con parole antiche che devono essere necessariamente recuperate.

La sinistra deve ripartire. Per farlo ha bisogno di persone che hanno saputo adeguarsi alla modernità senza rinunciare alla loro identità, fatta di valori imprescindibili. Proviamo a raccontarci come Zoro, sperando che tra cinque o dieci anni la social top ten di “Propaganda live” si concluda con questo post: “Ve lo ricordate quando Salvini faceva il ministro dell’Interno?”

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