Perché abbiamo ancora bisogno di Simone de Beauvoir

Dicono che dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna. Lo sappiamo, è una cazzata. A volte le donne sono davanti, in primissima linea, come lo era Simone de Beauvoir con Jean-Paul Sartre, il suo compagno di una vita. Nata e cresciuta in una famiglia dell’alta borghesia francese, come racconta in Memorie d’una ragazza perbene, de Beauvoir è oggi considerata la fondatrice del femminismo contemporaneo. E a buona ragione. Il suo monumentale testo Il secondo sesso ha cambiato in maniera radicale la storia dei femminismi. Non c’è nessuna pensatrice che si occupi di tematiche di genere che non si sia confrontata con lei. Ma Simone de Beauvoir non è solo una teorica femminista, è molto di più, e il suo pensiero può renderci persone migliori ancora oggi.

Simone de Beauvoir

Simone de Beauvoir è una delle più grandi figure intellettuali del Novecento europeo, sebbene venga quasi sempre ricordata solo per il suo contributo al femminismo o, decisamente peggio, come “la partner di Sartre”. Quando morì nel 1986, sei anni dopo il compagno, lasciò dietro di sé una produzione sterminata: otto saggi filosofici, otto romanzi (di cui uno vincitore del premio Goncourt, il più alto riconoscimento letterario francese), sei memoir, un testo teatrale e una quantità impressionante di saggi brevi. Non si può dire che non visse una vita piena: da studentessa alla Sorbona conobbe l’élite culturale della Francia, da Lévi-Strauss a Michel Foucault. Ebbe numerosissime relazioni, anche omosessuali, anche durante quella con Sartre. Durante l’occupazione nazista in Francia, fondò con il compagno il gruppo di resistenza Socialisme et liberté. Fu una donna libera e scandalosa, stimata e di successo.

Con il compagno Jean-Paul Sartre

L’eredità più grande di Simone de Beauvoir, però, è il suo pensiero, che anche oggi può tornare utile per comprendere il tempo in cui viviamo. De Beauvoir è una filosofa della corrente esistenzialista. Questo significa che secondo lei l’esistenza, ovvero il fatto che veniamo gettati nel mondo senza sceglierlo, precede l’essenza, ovvero tutto ciò che può essere modificato tramite il libero arbitrio. Possiamo affrontare i fatti dell’esistenza – ad esempio in che parte del mondo siamo nati, da quali genitori, con quale capitale economico e culturale – in due modi: scegliere l’immanenza, cioè l’accettazione del mondo così com’è, oppure la trascendenza, che corrisponde alla volontà di progettarlo e modificarlo. In questo modo, possiamo dire che nulla è così per natura, ma che la nostra vita è una conseguenza del nostro modo di porci di fronte a quello che consideriamo come dato una volta per tutte.

Questo principio è alla base del suo testo più famoso e più studiato, considerato la Bibbia del femminismo contemporaneo, Il secondo sesso, scritto nel 1949. Per misurare la sua statura rivoluzionaria, basta dire che nel 1956 il libro fu inserito dal tribunale del Sant’Uffizio nell’Indice dei libri proibiti, uno degli ultimi prima della sua soppressione. Il secondo sesso analizza la condizione femminile partendo dal presupposto che il femminile rappresenti un sesso secondo rispetto al primo, quello maschile. Il primo sesso corrisponde al Soggetto, all’Uno filosofico, mentre il secondo sesso non può che essere l’Altro rispetto all’Uno. “Il dramma della donna,” scrive de Beauvoir, “consiste nel conflitto tra la rivendicazione fondamentale di ogni soggetto che si pone sempre come essenziale e le esigenze di una situazione che fa di lei un inessenziale.”

Conferenza del Comitato Internazionale per i diritti delle donne, 13 Marzo 1979

Per secoli si è pensato che questa condizione subordinata della donna fosse causata da un destino biologico, psicanalitico oppure economico. Che, insomma, le donne non potessero essere libere perché le cose stavano così e basta. A quest’idea de Beauvoir rispose con la sua citazione più famosa, che probabilmente avrete visto stampata su qualche maglietta o su un post di Instagram: “Donne non si nasce, lo si diventa”. Questo significa che non c’è un destino comune a tutte le donne, non c’è, come voleva la psicanalisi che faceva da padrone sulla scena culturale, un “eterno femminino” insuperabile, alla stregua di un marchio da scontare. Le donne sono oppresse per loro scelta: hanno scelto la via dell’immanenza e non hanno il coraggio di intraprendere quella della trascendenza. De Beauvoir però – e qui sta il limite più grosso al suo pensiero – non sa spiegare come e perché questa scelta sia avvenuta.

Oggi le idee di de Beauvoir possono sembrarci banali. Le donne non sono sottomesse per natura, la loro subordinazione è causata da una serie di condizionamenti storici e culturali, sai che novità. Ma in realtà la filosofa fu la prima ad esprimere in modo sistematico e convincente quest’idea, se si escludono le precedenti intuizioni di Virginia Woolf e, ancora prima, dell’insospettabile John Stuart Mill. Il pensiero di de Beauvoir, in ambito femminista, ha spostato l’attenzione dal tema dell’uguaglianza a quello della differenza, che nei successivi vent’anni è stato al centro del dibattito. In un certo senso, ha anche aperto la strada ai queer studies, riuscendo a separare il concetto di sesso biologico da quello di genere prima di molti altri. E se ci spostiamo dalle tematiche femministe e allarghiamo l’orizzonte sul suo pensiero, scopriamo che il messaggio della filosofa è molto più ampio di quello che a una prima lettura superficiale può sembrare.

Dicendo che le donne devono scegliere la trascendenza, Simone de Beauvoir sta dichiarando un principio molto più vasto: che niente è dato, niente è eterno, e che anche la condizione più penalizzante e ingiusta è frutto delle nostre scelte. Quando qualcuno, come è successo per secoli nei confronti delle donne, si richiama al principio di natura o al principio utilitaristico per dire che le cose devono restare così come sono, sta solo tentando di limitare la nostra libertà, che è il presupposto della nostra esistenza. Trascendere i fatti dell’esistenza significa scegliere di non arrendersi alla propria condizione e partecipare al cambiamento del mondo. E questo non vale solo per le donne, ma per tutti gli esseri umani, che sono egualmente dotati di libertà.

Simone de Beauvoir alla manifestazione femminista di Bobigny, dove firmerà il “Manifesto delle 343”, la dichiarazione in cui 343 donne ammetteranno di aver avuto un aborto, 1971

Due anni prima di Il secondo sesso, uscì un altro importantissimo libro della de Beauvoir, Per una morale dell’ambiguità. In questo breve saggio semisconosciuto si trova il cuore del suo pensiero esistenzialista e la sua ostinata militanza. Fu scritto su suggestione di Albert Camus nel 1946, come è ricordato nel memoir La forza delle cose, in risposta agli intellettuali che non presero posizione durante l’occupazione nazista della Francia. Nel saggio, de Beauvoir spiega che la nostra condizione di assoluta libertà ci consente di fare quello che vogliamo, anche di non fare niente di fronte al male. La libertà è di fatto una condizione di ambiguità, in cui siamo contemporaneamente oggetti e soggetti. Costruire una morale dell’ambiguità, per de Beauvoir, significa riuscire a orientarsi in questa confusione scegliendo sempre il bene degli altri. Se per Sartre l’inferno sono gli altri, si può dire che per de Beauvoir l’inferno è restare oggetti, non reagire di fronte alla storia, scegliere l’immanenza, rimanere soli.

Nella parte finale de Il secondo sesso, de Beauvoir spiega che la chiave per la liberazione della donna è abbracciare la trascendenza, come il maschio ha sempre potuto fare. Poiché la donna “non è una realtà fissa, ma un divenire”, può emanciparsi solo quando lascerà dietro di sé l’immobilità. L’unica rivoluzione possibile, per la filosofa, è la lotta socialista tramite la riconciliazione con l’uomo, finalizzata alla parità fra i sessi. “L’oppresso,” scrive, “non può realizzare la sua libertà di uomo se non nella rivolta, giacché la peculiarità della situazione contro la quale si ribella consiste proprio nell’impossibilità di ogni sviluppo positivo; la sua trascendenza si supera all’infinito solo nella lotta sociale e politica.”

Di questi tempi il mondo inizia a fare di nuovo paura, e di fronte alla paura molti si convincono che le ingiustizie e i soprusi siano una cosa normale. Addirittura, si affannano a trovare giustificazioni di ogni tipo. Da quando i porti sono stati chiusi, i morti nel Mediterraneo sono aumentati in maniera esponenziale, ma almeno gli sbarchi sono diminuiti. Trump chiude i bambini immigrati nelle gabbie, ma vuoi mettere con una crescita del Pil statunitense del 4,1%? Chi ha ancora un briciolo di umanità e non arriva a conclusioni simili, si rassegna comunque all’idea che le cose vadano così e basta, che non ci sia via d’uscita e che bisogna solo aspettare che la storia faccia il suo corso. Ma le cose non vanno mai “così e basta”, siamo noi a sceglierle. E come le abbiamo scelte in prima battuta, abbiamo anche il potere di cambiarle. Il pensiero di Simone de Beauvoir ci insegna come affrontare la normalizzazione del male, ma soprattutto come non lasciarsi vincere dall’impotenza. L’inferno non sono gli altri. L’inferno è starli a guardare.

*

Le citazioni sono tratte da:

Simone de Beauvoir, Il secondo sesso (1949), trad. it. di Alda Arduini, Milano, Il Saggiatore, 2012.
Simone de Beauvoir, Per una morale dell’ambiguità (1947), trad. it. di Andrea Bonomi, Milano, SE, 2001.

Segui Jennifer su The Vision | Facebook