No, gli anni ‘90 non erano perfetti. Sì, fai bene a rimpiangerli. - THE VISION

Le immagini delle caduta del Muro di Berlino, a distanza di trent’anni, sono sempre forti: i berlinesi armati di piccone, le folle che attraversano il Checkpoint Charlie, gli abbracci tra sconosciuti, i balli in cima a quello che fino a poche ore prima era il simbolo della divisione del mondo in due fazioni.

Riguardando a quell’epoca, sembra che col Muro sia caduta la prima casella di un domino di eventi positivi che negli anni successivi ha sconvolto gli equilibri del mondo: nel 1990 la Germania riunificata dopo quarant’anni, le dimissioni di Margaret Thatcher; nel 1991 la dissoluzione dell’Unione Sovietica; nel 1992 il Trattato di Maastricht che sanciva la nascita dell’Unione Europea e l’elezione di Bill Clinton, primo presidente statunitense Democratico dopo 12 anni; tra il 1990 e il 1994 la liberazione di Nelson Mandela e la fine dell’apartheid in Sud Africa, gli accordi di pace a Oslo tra Israele e Palestina nel 1993, e in Italia la stagione di Mani Pulite e la fine della Prima Repubblica.

Questo clima di cambiamento radicale influenzò profondamente l’arte dell’epoca, e forse una delle opere più utili per percepire l’atmosfera del periodo è Lisbon Story, il film di Wim Wenders uscito nel 1994 in cui all’inizio il protagonista, viaggiando in auto dalla Germania al Portogallo, dice allegro tra sé e sé: “Niente più frontiere in Europa: tutte le porte sono aperte e chiunque può attraversarle a suo piacimento. […] Ehi, questa è la mia terra, la mia vera terra! Mein heimatland! Ma patrie! La mia patria! My home country!”. Oggi, questa scena, tra populisti, sovranisti e neonazisti a piede libero non può che suscitare una profonda nostalgia e soprattutto la consapevolezza che un’epoca si è definitivamente chiusa.

Al tempo, con gli anni Ottanta non era finito solo un decennio: era la fine anticipata del secolo, o addirittura dell’intera Storia. Il secolo breve di Eric Hobsbawm, uscito nel 1994, datava infatti al 1991, con il crollo dell’URSS, la chiusura del Novecento, mentre La fine della storia e l’ultimo uomo di Francis Fukuyama (del 1992) sosteneva che la diffusione ormai sempre più ampia del liberalismo democratico fosse la massima ambizione politica dell’umanità, e quindi la convergenza finale di ogni progresso precedente. Non male per i buoni propositi di Capodanno 1990.

Immaginiamo per un attimo di catapultarci in quell’inizio di decennio: in Italia, vedremmo la fine di partiti come la DC e il PSI, che dal dopoguerra in poi avevano dominato ogni fase della storia della Repubblica; in Russia, vedremmo crollare il blocco comunista che aveva rappresentato l’unica forma di governo per diverse generazioni; nel Regno Unito e negli Stati Uniti vedremmo terminare un decennio di politiche neoliberiste e imperialiste dettate dalle agende Thatcher e Reagan-Bush, per assistere all’insediamento di un presidente quarantenne che suona il sax, fa baldoria con gli U2 e ammette pure di aver fumato erba al college.

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Margaret Thatcher e Ronald Reagan

Nel 1991 l’Italia era la quarta potenza industriale al mondo, battuta solo da America, Giappone e Germania; il PIL statunitense per buona parte del decennio superava il 4% di crescita annua (cosa che non si è mai ripetuta); e i rapporti annuali Freedom in the World sulla “quantità di libertà” nel mondo ci dicono che, se nel 1989 i Paesi considerati liberi erano 60, nel 1998 erano saliti a 87 – mentre oggi non solo non ne abbiamo aggiunti di nuovi ma ne abbiamo perso uno.

A livello informatico, poi, nasceva il mondo virtuale: il 6 agosto 1991, infatti, il CERN annunciò la nascita del World Wide Web. Negli stessi anni Windows aprì le porte al grande pubblico, Al Gore parlava di “autostrade informatiche”, e se nel 1995 i computer connessi a Internet erano sedici milioni, nel 2000 erano passati a trecento. Perfino la grande paura di fine millennio, quella del millennium bug che avrebbe dovuto produrre un’ecatombe di dati informatici, fu un falso allarme che oggi ricordiamo con una risata. E poi ancora il Protocollo di Kyoto sul clima, la pace in Irlanda del Nord, il Pathfinder su Marte, il canale sotto la Manica, la prima vittoria elettorale della sinistra italiana dal dopoguerra, gli azzurri in finale ai Mondiali. E nel 1998 l’immissione nel commercio del Viagra.

Membri del team dell’esperimento “Mars Pathfinder”

Come ha detto Douglas Coupland, lo scrittore che ha coniato il termine Generazione X: “La storia era finita, e la sensazione era ottima”. Quello degli anni Novanta è stato apparentemente un decennio perfetto, ma in realtà sono molte le cose che preferiamo non ricordare sui nostri profili social, ma d’altronde fa piacere ricordare solo le cose belle. Quello di cui la nostalgia non tiene conto è per esempio la guerra: dal massacro di Srebrenica al genocidio in Ruanda. La stessa sorte è toccata alla svalutazione della Lira e alla progressiva perdita di potere d’acquisto da parte degli italiani successive a Mani Pulite, ed è proprio nel gennaio 1994 che con un videomessaggio di 9 minuti Silvio Berlusconi ha fatto il suo ingresso in politica, non uscendone per i vent’anni successivi. È sempre in questo periodo che si è iniziata ad affermare in Italia la paura degli immigrati (allora identificati soprattutto con le persone di origine albanese), e la Lega Nord di Bossi è arrivata al Governo.

Il problema, forse, non sta però nei mali degli anni Novanta, bensì in quello che è venuto dopo. A ben guardare, quel decennio è stato una grande promessa tradita, un picco di ottimismo e autocompiacimento di un Occidente perso nel suo progresso che si è poi dovuto scontrare con una realtà molto più amara del previsto.

Fare una rassegna degli eventi negativi che hanno segnato la storia del ventunesimo secolo significa rendersi conto di come molte di quelle paure che sembravano aver abbandonato il cosiddetto mondo civilizzato in quella fine di Novecento tanto decantata siano tornate più forti che in passato. A marzo 2000, la prima speranza delusa nel campo più rappresentativo del decennio di Bill Gates e Steve Jobs: in Borsa fanno crac le cosiddette dot-com, le compagnie legate all’informatica, sulle quali tutti avevano investito in nome del sacro positivismo Nineties.

A livello politico, le cose cominciano a cambiare rotta a livello nazionale e internazionale: a marzo 2000 Putin si insedia al Cremlino; nel novembre George W. Bush sale alla presidenza USA; a giugno 2001 Berlusconi viene eletto e inizia il suo “ventennio” (visto che, al di là di tutto della vulgata, in tutti gli anni Novanta governò solo sei mesi). L’11 settembre 2001 è l’evento cardine del nuovo decennio, che spezza la storia a metà e riporta l’Occidente a confrontarsi con il grande rimosso del Medio Oriente e del terrorismo religioso, fino ad allora relegati a notizie distanti viste al tg.

George W. Bush

Da lì, un’escalation: Guantanamo, la guerra al terrore, le guerre in Afghanistan nel 2001 e Iraq nel 2003, l’Europa ferita con le bombe a Madrid e Londra del 2004 e 2005 e infine, a partire dal 2015, gli attentati di Parigi, Nizza, Bruxelles, Istanbul, Manchester, Barcellona. Quell’Europa così pacificata, ormai priva di muri e frontiere, si trovava a confrontarsi dopo molto tempo dalla fine della lotta contro i vari terrorismi – dall’IRA alle Brigate Rosse alla RAF – con un nuovo nemico fino ad allora sconosciuto, una scheggia impazzita di fondamentalismo nella modernità secolarizzata.

Forse un decennio iniziato con la caduta di un Muro e con l’abbattimento delle frontiere economiche ci ha fatto credere che, con la fine dell’URSS e la decolonizzazione, l’Occidente fosse il popolo eletto, protetto da una barriera invisibile, destinato a mettere fine alla Storia nel migliore dei modi, tenendo a distanza il resto del mondo. Un resto del mondo che avrebbe invece dimostrato presto di poter turbare la pace apparente, a livello demografico con le migrazioni, a livello economico con le nuove potenze asiatiche e a livello politico con il terrorismo di matrice islamica.

La stessa economia che sotto l’egida di Clinton cresceva a gonfie vele, negli anni Duemila ha pagato quell’arroganza finanziaria affrontando la più grande crisi economica dal ’29 nel 2008, non aiutata dal fatto che nel dicembre del 2001 la Cina era entrata a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

In Europa non è andata meglio: oltre alla crisi, nel 2002 entrò in vigore l’euro, e per molti la sensazione fu che i prezzi di molti prodotti raddoppiassero. Quello che era stato il più grande successo economico degli anni Novanta si era scontrato con una realtà fatta di stati troppo diversi e l’impossibilità di un governo centrale davvero effettivo.

E allora la bancarotta greca, i governi dell’austerità, il tasso di disoccupazione giovanile che sale alle stelle, l’Italia che torna un Paese di emigranti, e allo stesso tempo l’onda migratoria africana e il suo conseguente sfruttamento in vena sovranista. La Brexit, i populismi, un alleato come Donald Trump sul tetto del mondo e il costo dei beni immobili ormai inarrivabile, l’emergenza climatica.

Quei dieci anni che, per un cittadino dell’Occidente ricco e pacificato, rappresentavano la soluzione di conflitti nazionali e ideologici durati un secolo, dovevano rivelarsi solo un lungo sospiro di sollievo prima di un ritorno all’ansia, al terrore, alla povertà e alla frustrazione, soprattutto per chi, ormai convinto di una prosperità futura per sé e i propri figli, ha dovuto fare i conti con l’improvvisa mancanza di certezze a livello economico, occupazionale, sociale e legislativo, con un mondo di pace e abbondanza che sta tornando a essere un mondo di guerra, ristrettezze e futuro incerto.

Ed ecco allora che forse, dopo aver vissuto sulla nostra pelle tutto ciò che c’è stato dopo, possiamo affermarlo con una certa sicurezza e senza ricorrere a facili nostalgie: sì, gli anni Novanta erano davvero bellissimi.

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