C’è qualcosa in ciò che è sconosciuto che da sempre ci attrae, come se ciò che non abbiamo ancora incontrato ci potesse dischiudere qualcosa di prezioso, di raro. Il desiderio che ancora oggi – a circa tremila anni da Ulisse – ci spinge a metterci in viaggio, in maniera figurata e non, per andare incontro all’incognito e farci informare da esso è lo stesso che spingeva i poeti antichi a scrivere, i viaggiatori a intraprendere cammini sconosciuti da cui nemmeno sapevano se sarebbero tornati. Quello che è certo è che se si viaggia con questa disposizione d’animo, anche quando poi si torna, non si torna uguali a se stessi. Quando chiediamo all’ignoto “Chi sei, cosa sei tu?” stiamo formulando una delle più antiche domande dell’umanità, la domanda che si rivolge a tutto ciò che non conosciamo e che si pone come contraltare della nostra esistenza. Ma ponendola, per traslato, stiamo cercando una risposta su noi stessi.
Negli ultimi due secoli il nostro immaginario è stato influenzato dalla ricerca dell’esotico, inteso come una sorta di non-luogo lontano, favolistico, pressoché irraggiungibile, idea che di volta in volta siamo portati a proiettare su luoghi che di esotico non hanno nulla, se non la nostra aspettativa. Ciò, per certi versi, ha portato peraltro alla globalizzazione, per poi venirne annientato. Oggi, nel mondo connesso, potenzialmente manifesto, conosciuto e conoscibile, la tensione libidica per questo polo opposto al quotidiano, dove poter essere finalmente noi stessi e trovare un senso ultimo, e segreto, dell’esistenza, sembra essere quasi del tutto esaurito – le varie appropriazioni culturali, e traslazioni di riti, sembrano esserne l’ultimo distorcente barlume. Quello che dovremmo capire è che in realtà l’esotico non è tanto un luogo definito ma un nostro modo di percepire il mondo e che a volte l’altro, l’ignoto, non si trova per forza a migliaia di chilometri di distanza (siamo stati educati a vedere le differenze che ci distinguono dalle altre epoche e popolazioni, ma in realtà siamo molto più simili di quanto si creda), ma molto più vicini di quanto pensiamo, parte del nostro territorio. È il caso della Puglia.
Spesso finiamo per non vedere ciò che abbiamo sotto gli occhi, il nostro sguardo si abitua e non scorge più, così tutto ciò che ci circonda sembra tacere. A volte però basta poco per rimetterlo in azione, un cambiamento di prospettiva, di ritmo, di contesto, lo straniamento che suscita l’abitare luoghi diversi, e le nuove forme che porta con sé. Nei borghi pugliesi, disseminati in tutta la regione, si percepisce un’atmosfera che si sottrae all’incalzare del tempo che crediamo condiviso e globalizzato, piegato dalle nostre convenzioni, inoltre il fatto che per raggiungere molti di essi si debbano percorrere antichi tratturi di terra, o addirittura tragitti in mare, li rende ancora più evocativi, proprio perché geograficamente separati dal resto, non immediati da raggiungere. Ci chiedono un impegno, lo stesso che richiede qualsiasi tipo di ascolto e dialogo. Cesare Brandi, il famoso storico e critico dell’arte, padre della teoria del restauro, scrisse nel suo Pellegrino di Puglia, pubblicato per la prima volta nel 1960: “L’autunno in Puglia è una primavera più umile, come una figlia naturale dell’estate: inattesa e dolcissima”.
La Puglia è una regione stratificata ed eterogenea, composta da tante culture e tradizioni diverse, che si mostrano e parlano emergendo all’osservatore attento. Dal Gargano al Salento, dalla Daunia alla Puglia Imperiale, dal territorio di Bari a quello di Taranto, della Magna Grecia, delle Murge e alle Gravine, fino alla Valle d’Itria. Nella Puglia dei borghi premiati come Bandiere Arancioni del Touring Club Italiano troviamo i centri arroccati sulle colline della Daunia. Quest’ultima è terra di boschi e transumanza, con tre dei tratturi più importanti d’Italia, sentieri erbosi a fondo naturale, originati dal passaggio ripetuto e dal calpestio delle greggi e degli armenti, di norma della larghezza di 111 metri, corrispondenti a sessanta passi napoletani. È la Puglia pressoché sconosciuta della montagna, ricca d’acqua e di fonti, fontane, antichi mulini, lavatoi, torri e castelli. Una regione di borghi sospesi sul nulla, avvolti dai colori delle varie stagioni.
La Daunia in epoca pre-romana, insieme alla Peucezia e alla Messapia, costituiva la Japigia, da cui ha tratto il suo nome la romana Apulia prima e l’attuale Puglia poi. Il territorio dauno si estende dal Gargano al Vulture e dal Subappennino al golfo di Manfredonia, abbracciando quindi l’intero Tavoliere delle Puglie, condividendo le valli del Cervaro e dell’Ofanto con l’Irpinia. L’antica Daunia corrispondeva approssimativamente all’attuale provincia di Foggia, nonché alla parte occidentale della nuova provincia di Barletta-Andria-Trani e all’estremo margine settentrionale della moderna provincia di Potenza, in Basilicata. Malgrado il loro nome, i monti della Daunia erano invece per la maggior parte esterni al territorio della Daunia antica ed erano occupati dai sanniti e dagli irpini, che vi costruirono una serie di arces (fortezze) e oppida (borghi), il più rilevante dei quali era Vescellium, che oggi si sarebbe trovato vicino a Roseto Valfortore. In pochi chilometri si dipana una storia densa di cultura, ricca di architettura e paesaggi, che offre occasioni sportive, naturali e artistiche uniche nel loro genere. In questo territorio si mescola l’antico al presente, il carattere solido e duraturo della pietra al fluire dell’acqua e i simboli che questi elementi portano con sé danno vita al costruito, contribuendo ad animare a una dimensione capace di nutrire l’immaginario di chi attraversa questi luoghi.
Da, sulla via Francigena, centro d’arte, antichi riti e tradizioni, oltre che tappa gastronomica si arriva nella millenaria Troia, attraversata dalla via Traiana – conosciuta all’epoca con il nome di Aika, poi latinizzato di Aecae – si pensa abbia origini precedenti alle guerre puniche. L’attuale Troia – così chiamata dopo la ricostruzione seguita alle invasioni barbariche, in ricordo della Troia anatolica – ha festeggiato nel 2019 i mille anni di vita e i novecento della sua Cattedrale, grande esempio di romanico pugliese, dove sono conservati oltre cinquecento tra pergamene e codici miniati e tre Exultet che recano i testi e i canti della Pasqua. Sant’Agata di Puglia, invece, circondata da una doppia cinta muraria, è poi un chiaro esempio di come in queste terre si sovrappongono senza soluzione di continuità l’epoca romana il periodo svevo e la dominazione angioina. Così come Lucera, città di guerrieri tra le località più antiche della Daunia. Qui si sono conservati i segni delle tante culture che l’hanno abitata: il grande anfiteatro romano, antecedente al Colosseo e più grande dell’Arena di Verona; la residenza di Federico II; e il rinforzo dei 900 metri di mura, con 22 torri, voluto da Carlo D’Angiò. Nel centro, di stampo saraceno, c’è poi uno dei vicoli più stretti d’Europa, quello della Ciacianella – appena 22 centimetri nel punto più stretto e 45 in quello più largo. Nel tessuto urbano si innestano numerose edicole votive o tracce di età romana e medievale, oltre a chiese sorprendenti come la Cattedrale di Santa Maria Assunta, in cui si trova una Madonna nera del trecento.
I borghi della Daunia sono caratterizzati dall’ammassarsi delle costruzioni a ridosso della roccia che dà forma alle colline, le case creano una massa compatta, come una sorta di formazione minerale attraversata da stretti vicoli, che proteggono dal calore, dal freddo e dal vento e che oggi sembrano suggerire da un lato la possibilità di potersi perdere, dall’altro l’invito a trovare il proprio percorso per raggiungere le mete desiderate, ricordando l’importanza del tempo passato tra le cose. Spesso, si incontrano fontane e si attraversano archi e portali, soglie simboliche che scandiscono la forma urbana che ha preso la vita in questi luoghi. Bovino (l’antica Vibinum), ad esempio, è il borgo dagli ottocento portali. Poi c’è Alberona, il cui nome, secondo una leggenda, nacque quando intorno all’anno 1000 alcune famiglie calabresi trovarono riparo nel cavo di un enorme albero. Tra le sue imponenti costruzioni – tra cui la Chiesa Madre, scenario di antiche storie sui Templari – accoglie l’Arco Calabrese e l’Arco dei Mille, entrambi del Quindicesimo secolo, e al tempo stesso è il paese dell’acqua, con la monumentale Fontana Muta – dall’acqua che scorre nei grandi abbeveratoi in pietra per i viandanti e i cavalli – e le sue cento sorgenti sparse tra i boschi. Il tema dell’acqua riappare a Castelnuovo della Daunia, che ospita terme sulfuree, a Biccari con l’acquedotto borbonico, e infine a Castelluccio Valmaggiore, dove si può bere al peculiare lavatoio del Piscero, che ricorda in maniera sorprendente antiche architetture presenti anche nel nord-ovest dell’India – a riprova del fatto che l’umanità è molto più simile di quanto alcuni storici ci hanno portati a credere, e che viaggiare ce lo può far facilmente capire in prima persona.
C’è poi il mondo della ritualità come l’affascinante processione attraverso la campagna dal Santuario della Madonna di Serritella fino a Volturino del primo maggio, o l’antico rito di Orsara, dedicato ai morti del primo di novembre delle Fucacoste e delle Cocce Priatorje, tradizionali lanterne.
Dai riti cristiani e pagani si passa alla radicata cultura musicale, al ritmo delle danze albanesi e arbëreshe di Casalvecchio di Puglia (Kazallveqi) e ad Accadia – scelta dalla Regione Puglia nell’ambito del piano Pnrr, come borgo da rivalutare e investire in progetti turistici, culturali e sociali – dove nell’antico Rione Fossi tra vicoli sinuosi, case scavate nella roccia, grotte e palazzi storici – disabitati dopo il violento terremoto in Vulture del 1930 – si svolge, a metà luglio, l’Accadia Blues Festival, che vede esibirsi musicisti di fama internazionale e, ad agosto, nel maniero di Deliceto ospita concerti di musica classica.
Alla domanda iniziale – “Chi sei, cosa sei tu?” – invece di sforzarci a definire qualcosa, trovando a fatica l’unica differenza che ci definisce come unicità, allora potremmo rispondere a nostra volta, posti davanti allo specchio del paesaggio e dei segni da cui è composto – che vengono dalla storia e quindi dal passato, dalle calamità e dagli equilibri ritrovati, dalle culture e dalle colture degli esseri umani, dalle abitudini delle altre specie, animali e vegetali – sono ciò che ancora non conosco, proiettando sulla forma che ci ha impresso il passato, grazie alla domanda del presente, la prospettiva del futuro.
Questo articolo è stato realizzato da THE VISION in collaborazione con Pugliapromozione – Agenzia Regionale del Turismo. Dal Gargano al Salento, la Puglia permette di immergersi nei colori e negli odori del mare e della macchia mediterranea, mentre se ne scoprono l’ampia tradizione enogastronomica e le antiche tradizioni. Continua il viaggio su viaggiareinpuglia.it.