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Ci sono mammiferi marini che vivendo a grandi profondità sott’acqua hanno sviluppato facoltà che alcuni studiosi pensano potremmo avere anche noi esseri umani se le allenassimo, al pari del riflesso d’immersione, come l’ecolocalizzazione – un modo di usare gli echi di suoni che emettono per stimare la distanza degli oggetti che li circondano e che allenano anche alcune persone cieche – oppure la magnetorecezione, che sfrutta il campo magnetico terrestre per l’orientamento, in particolare per le migrazioni. Il mare, oltre a essere un posto che ci trasmette un grande senso di pace, rappresenta anche e non troppo simbolicamente – insieme allo spazio – il luogo per eccellenza dello sconosciuto, o comunque dei limiti della nostra ricerca, non solo geografica, ma anche biologica, per quanto siano stati fatti tanti passi avanti negli ultimi cento anni. Scendendo di scala, allo stesso modo, il nostro cervello, al pari di questi ambienti, e allo stesso modo affascinante come ogni grande mistero, cela ancora molti segreti per la scienza. Eppure anno dopo anno, la ricerca sta compiendo dei passi importanti per comprenderne alcuni funzionamenti, in particolare in un’ottica preventiva e conservativa, e cioè rispondendo alla domanda: cosa ci fa bene? Che cosa serve al nostro cervello per farlo funzionare nel modo migliore e il più a lungo possibile?
Da anni, Fondazione Prada, porta avanti il progetto Human Brains, ora alla sua quarta fase: “Preserving The Brain: A Call to Action”. Questa attenzione attiva sulla ricerca neuroscientifica, sostenuta da Fondazione Prada a partire dal 2018, si focalizza sul cervello, anzi, sui tanti tipi di cervelli di cui disponiamo, sulle loro dinamiche, e sui diversi modi che hanno di svilupparsi e di funzionare, in modo da comprenderli in maniera sempre più precisa e approfondita. Così, questa quarta fase si concentra su uno dei temi più sentiti, connesso all’alzarsi della vita media: la prevenzione delle malattie neurodegenerative molto diffuse e tuttora incurabili, come Alzheimer, Parkinson, Sclerosi Multipla, SLA e Malattia di Huntington. Come ogni volta che sentiamo parlare di malattie, soprattutto se sono malattie tendenzialmente legate a una fase più avanzata della vita, tendiamo ad allontanare, e a spostare in un angolo ben recondito della nostra mente, l’idea che un giorno anche noi potremmo soffrirne. Questa purtroppo è la più classica strategia di coping di cui disponiamo. Facciamo finta che quindi un problema non ci possa tangere, e semplicemente ci limitiamo a sperare che le cose vadano effettivamente così, senza fare nulla a riguardo.
La mostra, accolta negli spazi milanesi di Fondazione Prada e visitabile fino al 7 aprile, è traccia del convegno “Prevention on Neurodegenerative Diseases”, tenutosi ad ottobre e tuttora disponibile su YouTube, e che ha visto protagonisti alcuni dei più importanti ricercatori del mondo in materia, che hanno spiegato come sia un’evidenza inconfutabile che per proteggerci dal rischio, sempre più alto, di incorrere in queste patologie sia necessario intervenire fin dalla nascita sui fattori di rischio modificabili, a vari livelli, sia personale che collettivo, sia medico che politico, prendendosi cura dell’ambiente, promuovendo i giusti stili di vita, arricchendo l’educazione e la cultura in modo da coinvolgere veramente tutta la popolazione, perché per fare veramente qualcosa è necessario un impegno trasversale e comune.
Oltre alla mostra, che offre un quadro estremamente chiaro ed esaustivo sulla prevenzione primaria, quindi quella indirizzata ai soggetti – ancora – sani, Fondazione Prada ha organizzato un programma di otto incontri, sviluppati in collaborazione con associazioni e organizzazioni di pazienti, in collaborazione con Z.E.A. Zone di Esplorazione Artistica, gruppo di ricerca critica che indaga i confini tra arte, design, architettura ed altre forme e linguaggi espressivi contemporanei, con un focus particolare su fragilità, accessibilità, partecipazione e inclusione, usando l’arte come strumento d’elezione. Tra i prossimi appuntamenti previsti ci saranno quelli connessi alla malattia di Huntington, alla Sclerosi Multipla e alla SLA, ma anche un approfondimento sull’abitare, e uno, l’ultimo, sul valore dell’esperienza estetica, sulla socialità e sulla riserva cognitiva. Più ci si addentra in questo tema, infatti, più emergono ambiti correlati, che meritano uno sguardo mirato in merito, come appunto l’accessibilità allo studio, l’educazione alimentare, lo sport, la possibilità di esercitare la propria creatività, l’enorme discorso sul linguaggio e sull’apprendimento di diverse lingue straniere, ma anche la dieta, e il sonno, così come tutta la sfera legata alla gestione consapevole delle emozioni.
È interessante notare quanto tutti noi siamo più attenti al nostro aspetto fisico, piuttosto che a tutto il resto. Ci preoccupiamo di essere attraenti, prima che di dormire bene, ci sentiamo male per un capello bianco o una grinza sulla fronte, e invece non facciamo alcuna attenzione al cibo che mangiamo, ci disperiamo se la nostra crush non risponde a un messaggio, ma nel frattempo il nostro ecosistema sta andando a rotoli e non facciamo nulla per contribuire nella nostra piccola parte, gli effetti dell’inquinamento e del cambiamento climatico non sembrano influenzarci direttamente, ma invece lo stanno già facendo, ogni giorno, con milioni di piccole mutazioni invisibili, e non solo: come ha dimostrato uno studio recente, l’esposizione per quanto breve ad aria inquinata riduce notevolmente la nostra capacità di attenzione e anche il riconoscimento emotivo. È chiaro che una cosa del genere incida pesantemente sulla vita quotidiana delle persone, sulla loro capacità di concentrazione, non solo legata alla produttività, ma a qualsiasi capacità di focus, lavorativa e intima. Se sei in stato confusionale, se non riesci a non fare caso alle infinite distrazioni da cui siamo perennemente lambiti, per non dire bombardati, è molto difficile mantenere il timone della tua vita, pensare e decidere ciò che vuoi, agire secondo i tuoi valori, anche solo capire quali siano.
Il nostro corpo è un organismo meraviglioso, e soprattutto incredibilmente resistente, capace di adattarsi, e di accusare gli infiniti “colpi” che riceve, e che senza curarcene troppo ogni giorno siamo noi stessi a infliggergli. È capace di disintossicarsi, per quanto possibile, anche dai veleni. Eppure, anche il nostro corpo ha dei limiti, se viene costantemente esposto a fattori di rischio, presto o tardi, se non ha una tregua, inizia a cedere, a perdere colpi. La cosa che dovrebbe farci riflettere, è che molti di essi sono evitabili, con un po’ di attenzione, consapevolezza e sforzo collettivo. Invece che strapazzarci costantemente, potremmo farci del bene, potremmo avere cura di noi, solo che non siamo educati a farlo. Un periodo molto significativo della riflessione filosofica europea, e di una lettura abbastanza confusa di Cartesio che si è allungata fino ai nostri giorni, purtroppo, ci ha fatto credere che il nostro corpo e la nostra mente siano separati. Non è così, la mente è a tutti gli effetti corpo, ed è estremamente influenzata da tutti i processi fisiologici che avvengono al suo interno, anche in aree apparentemente molto lontane dal cervello, come l’intestino, e non solo, com’è stato sottolineato da diversi ricercatori. È quindi fondamentale uscire da questa visione dicotomica di ciò che siamo per iniziare a cambiare, rivoluzionando tutto il nostro modo di considerare noi stessi, e la società a cui diamo forma. Dobbiamo avere cura di noi nel senso più intimo e profondo del termine, Preserving The Brain: A Call to Action ce lo dimostra, e ci fa capire che non abbiamo tutto questo tempo, è necessario un cambio di paradigma immediato.
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