Cosa dice la nostra ossessione del Medioevo sul tempo presente

Con il diffondersi della psicosi da coronavirus, qualcuno ha azzardato un parallelo – a dire il vero molto esagerato – con la peste del Trecento, nota anche come “peste nera”, che nel giro di pochi anni uccise almeno un terzo della popolazione europea. Le epidemie non sono il solo motivo per cui si tira in ballo il Medioevo quando si parla di presente: i cambiamenti climatici, l’avvicinarsi di una presunta “terza guerra mondiale” e, soprattutto, la regressione dei diritti in molti Paesi europei e non, ci fanno spesso parlare di un ritorno al Medioevo o, alternativamente, dell’arrivo di una nuova età di mezzo. Parliamo con leggerezza di barbari, crociate e caccia alle streghe e, quando qualcuno dice o propone qualcosa di reazionario e retrogrado, ecco che subito diciamo che vuole “riportarci al Medioevo”.

Oggi in effetti pensiamo al Medioevo più come una categoria semantica che come un’epoca storica. La nostra idea di quest’era come quella dei “secoli bui” ha una storia lunghissima, anche se con questa espressione gli storici si riferiscono in genere agli anni immediatamente successivi alle invasioni barbariche. Nel suo celebre libro L’idea di Medioevo. Fra storia e senso comune, Giuseppe Sergi tenta di capire le cause delle molte mistificazioni sul Medioevo, a partire dall’annosa questione della cronologia. Sin dalle elementari ci insegnano che quest’epoca comincia con la caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476 d.C. con la deposizione di Romolo Augustolo e termina con la scoperta dell’America nel 1492. In realtà, questa “caduta” dell’impero non è stata affatto quella crasi che ci aspetteremmo: come fa notare Sergi, le istituzioni hanno continuato a sopravvivere per almeno due secoli e nessuno dei contemporanei considerava il 476 d.C. come una data di particolare rilevanza. Tuttavia questa periodizzazione un po’ forzata ha rafforzato la convinzione che il Medioevo sia stato un periodo da dimenticare compreso tra lo splendore dell’antichità romana e il Rinascimento – come dice il suo stesso nome “un’età di mezzo”. Il primo a usare il termine “Medioevo” fu infatti l’umanista Flavio Biondo nelle sue Historiarum ab inclinatione romanorum imperii decades (Le decadi storiche dal declino dell’impero romano), del 1474.

L’idea del Medioevo come epoca oscura e tormentata ebbe poi grandissima eco durante il Romanticismo, che rivalutò questo periodo, ma lo fece anche caricandolo di tensioni anacronistiche. E infatti diede vita a un’altra mistificazione del Medioevo, quella che poi influenzerà Brave Heart e La spada nella roccia, e se vogliamo anche Game of Thrones. Si tratta di quel “Medioevo fantastico” di cui parla Umberto Eco, raccontato in modo esemplare ne Il nome della rosa. Come scrive l’autore nelle Postille al romanzo, “La risposta postmoderna al moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente”. Tuttavia, quest’immagine di Medioevo fantastico – che si poggia su un fondo di verità, ovvero sull’immaginario cavalleresco – ha finito per prevalere sulla realtà. Non un susseguirsi di oscurità, pestilenze, guerre che durano cent’anni ed epidemie, ma un’epoca complessa (stiamo pur sempre parlando di mille anni), diversificata e con i suoi alti e bassi come tutti gli altri momenti della storia. Ci sono stati secoli difficili e di crisi profonda, in cui hanno prevalso l’ignoranza e la superstizione, ma ce ne sono stati altrettanti – o forse più – di straordinaria crescita economica e di grande vivacità dal punto di vista culturale. Eppure, questa categoria semantica viene continuamente evocata, ricadendo nella trappola della semplificazione storica.

Umberto Eco

L’impressione di essere entrati in un “nuovo Medioevo” si è infatti diffusa nel decennio scorso grazie ai lavori dei sociologi Akihiro Tanaka e Parag Khanna, che hanno individuato un ricorso di alcuni fenomeni tipici di quell’epoca (o perlomeno, dell’idea che ne abbiamo). Tra questi, ci sarebbero l’autoritarismo, la sfiducia nei confronti dello straniero, il fondamentalismo religioso e la diffusione di credenze e pseudoscienza. Anche il Millennium Bug – cioè la paura del grande reset informatico allo scoccare della mezzanotte del 1° gennaio 2000 – è stato associato al fenomeno dei terrori dell’anno Mille, ovvero il presagio che il mondo sarebbe finito con l’anno 999. In realtà, come ha spiegato lo storico Alessandro Barbero in una conferenza al Festival della Mente di Sarzana nel 2013, non c’è alcuna prova storica dell’esistenza di questa psicosi dell’anno Mille mentre, a ben vedere, esistono centinaia di esempi di isteria collettiva sul Millennium Bug. Verrebbe allora da chiedersi chi viva davvero nel Medioevo. Il papa Silvestro II che, in tutta serenità, il 31 dicembre 999 firma una bolla papale per confermare per altri trent’anni i privilegi del monastero di Fulda o le persone che assaltano i supermercati e si rinchiudono nei bunker antiatomici nell’attesa dell’Apocalisse dell’anno 2000?

L’idea che ci siamo fatti del Medioevo è infatti eloquente non del nostro modo di rapportarci col passato, ma col presente. Additare con la categoria del “medievale” tutto quello che non ci piace o che consideriamo peggiorativo per la nostra società è un modo per non affrontare i problemi che abbiamo di fronte, relegandoli a un passato cristallizzato e falso, e per rassicurarci che non tornerà più.

Alessandro Barbero

Non è un caso che una delle varie interpretazioni contemporanee del Medioevo più diffuse sia quella dell’ingresso – o del regresso – in una novella società feudale. L’internet delle cose e la gig economy ci avrebbero infatti ridotti a delle specie di servi della gleba virtuali, che lavorano gratuitamente consegnando ai signori (Google, Facebook e altre compagnie tech) i propri dati in cambio dell’utilizzo delle terre digitali, esattamente come avveniva nel feudalesimo. Il paragone medievale è stato recentemente usato anche nel saggio La società signorile di massa di Luca Ricolfi, in cui l’autore ipotizza l’esistenza di una classe improduttiva di signori che sopravvive grazie all’esistenza di un proletariato che somiglia più, appunto, a una servitù della gleba.

Sarebbe intellettualmente più onesto riconoscere che questi fenomeni non sono una regressione nel passato, ma uno sviluppo della crisi del capitalismo. Anzi, uno studio rigoroso del Medioevo ci svelerebbe che quei fatti che noi consideriamo tipicamente medievali, come la caccia alle streghe o il rogo degli scienziati, sono più vicini all’età moderna, mentre nei secoli precedenti c’era molto più spazio per la democrazia, la giustizia sociale e persino la parità di genere. Lo spauracchio del Medioevo, alimentato dalla nostra ignoranza e cattiva educazione storica, funziona molto bene come strumento retorico per descrivere i mali del nostro tempo senza però tenere conto che siamo noi, nel 2020, a dover trovare soluzioni a questi stessi mali. Un esempio è la strumentalizzazione che i suprematisti bianchi fanno del Medioevo, e in particolare della questione etnica.

Luca Ricolfi

L’età di mezzo è passata alla storia come un’età monolitica ed eurocentrica, spesso ignorando o sottovalutando gli intensi scambi che i nostri antenati avevano con l’Asia, l’Africa e il Medio Oriente. Questo ha dato adito a teorie razziste e storicamente inaccurate, come il famoso refrain della millenaria “tradizione giudaico-cristiana” che oggi sarebbe messa in pericolo dalle migrazioni. E così al rally di Charlottesville i neonazisti si sono presentati con gli scudi dei Templari protettori della cristianità e i neofascisti italiani si appropriano dell’immaginario medievale in chiave nostalgica. La questione è così rilevante che sta dividendo anche il mondo accademico, tra medievisti contenti della rinnovata popolarità del loro campo di studi e professori che si oppongono a qualsiasi uso strumentale della storia.

“La storia non si ripete mai, non ci sono cicli, non torna quello che c’era prima”, ha detto Barbero in un’intervista. “Si tratta di capire le analogie più serie per vedere se in passato si sono già verificate situazioni paragonabili. Studiare aiuta a capire che non sempre ‘è stato così’”. Trattiamo la storia come una scatola in cui mettere dentro tutte le cose brutte che sono successe e che potrebbero potenzialmente ritornare. Ma è con la realtà che dobbiamo fare i conti, accettando che possa essere molto più spaventosa e complessa di un generico e fantastico Medioevo.

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