Moana, il frutto proibito degli Italiani

Nella primavera del 1976, davanti a una fermata dell’autobus, c’è una ragazzina di quindici anni, bionda e bellissima. Antonio invece ne ha 23, e sta guidando una vecchia Mini Cooper. La vede, si affianca e le chiede se vuole un passaggio. Lei lo studia bene: è un bel ragazzo, solo come lei. Sale in macchina, parlano, si piacciono e finiscono in un prato a fare l’amore. A lei fa male, perché è la sua prima volta. Si rivestono, si salutano e non si rivedranno più. Antonio al tempo non lo sa, ma ha appena sverginato Moana Pozzi.

Moana Pozzi nasce a Genova nel 1961, mentre l’Italia festeggia il suo centenario e Roma è in piena Dolce vita. Suo padre è un ingegnere nucleare e sua madre una casalinga: sono ottimi genitori e coniugi ben affiatati, cattolici senza essere fanatici. La madre si premura che Moana e sua sorella Tamiko siano in ordine e ben vestite, mentre il padre consiglia loro buone letture – non Moravia, che era considerato osceno – e ogni domenica dopo la messa le porta in pasticceria. Moana ha un’infanzia felice e spensierata: frequenta le elementari presso le suore Orsoline e il liceo scientifico dalle Scolopi, domandandosi cosa farà da grande. A tredici anni, però, non ne ha ancora idea. Adora farsi guardare: quando va al mare con la scuola, si porta una Polaroid per farsi fotografare senza reggiseno. La madre la veste da collegiale, ma Moana appena esce va a casa di un’amica e scambia la gonna al ginocchio con una minigonna e indossa scarpe con i tacchi comprate di nascosto. Ha qualche fidanzato con cui simula rapporti sessuali, senza mai consumarli veramente.

La morale cattolica è forte quanto l’ignoranza sull’argomento “sesso”, basti pensare alle esilaranti lettere che le donne scrivono alla moglie del giornalista Indro Montanelli su Grazia; la pornografia viene trattata alla stregua di una malattia mentale. Moana, a 15 anni, trova il primo giornaletto pornografico a casa della nonna, nascosto sotto un divano dal nonno. Lo ruba e lo mostra al suo fidanzato “per emularli”, ma lui è troppo timorato di Dio e preferisce tagliare la corda. Antonio, incontrato alla fermata dell’autobus, risolve il problema. Moana capisce che Genova è una città troppo moralista per i suoi standard e nel 1979, scappa a Roma. Appena arrivata risponde all’annuncio di un pittore che cerca modelle e paga diecimila lire all’ora: in pochi mesi il suo ritratto fa il giro dell’ambiente e lei deve destreggiarsi tra i vecchi guardoni e gli artisti veri che se la contendono. Nel frattempo partecipa a concorsi di bellezza e gravita negli ambienti del cinema, sperando in una botta di fortuna, che arriva nel 1981.

Tinto Brass e Moana Pozzi
Moana Pozzi e il Gen. dell’ Aereonautica Edmondo Bernacca

Roma,IL 2 LUGLIO 1988, Moana Pozzi in “PROVOCAZIONE ” /ANSA/ARCHIVIO

Moana Pozzi è riuscita a diventare amica di Antonella Angelucci, attrice molto brava a tessere pubbliche relazioni e che quell’anno riesce a organizzare una svolta. Una sera telefona a Moana chiedendole di presentarsi vestita “il più provocante possibile” in un noto ristorante del centro di Roma, perché ci sarà un politico che adora le ragazze appariscenti e che “potrebbe aiutarla nel cinema.” Moana si prepara, si presenta e si trova a tavola con una decina di uomini in completo grigio che parlano solo di politica; le uniche donne sono lei e Antonella. Moana sa farsi notare, parla poco ma è incisiva. Dopo cena il politico, che nel suo libro Filosofia di Moana la pornostar definirà “il segretario di un partito di sinistra,” la invita a bere qualcosa in albergo. Alcuni suppongono che si tratti di Bettino Craxi, altri di Gianni De Michelis. Diventano amanti fissi e da quel giorno si incontrano in alberghi, ristoranti di moda o a casa di un’amica editrice. Il politico le fa fare un servizio per Playmen e l’anno dopo la presenta al direttore di Raidue, che, per compiacerla, la mette a condurre insieme a Bobby Solo Tip tap club, una trasmissione per bambini in onda il sabato pomeriggio. Ma Moana, con l’intrattenimento per l’infanzia ha poco da spartire. Nel 1982, con lo pseudonimo di Linda Heveret, gira il suo primo film porno, Valentina, ragazza in calore. La voce si sparge come un’onda d’urto: a Roma la Rai la rimuove dalla trasmissione, a Genova i genitori si offrono di pagarle un corso di recitazione purché abbandoni quella strada, ma lei tira dritto. Esce nuda dalla vasca di Manuel Fantoni nel film di Carlo Verdone Borotalco e in altre decine di B-movie, fino a fare una comparsata in Ginger e Fred di Federico Fellini, nel 1985. Nell’ambiente del cinema il suo nome e le sue foto girano, finché nel 1986 viene contattata da un ex paparazzo che ha fiutato l’aria di Roma e s’è inventato il porno in Italia: Riccardo Schicchi, insieme alla compagna Ilona Staller, le chiede di entrare nella sua scuderia di pornodive.

Maona Pozzi in “Borotalco” di Carlo Verdone ( di spalle)

Moana Pozzi e Riccardo Schicchi

Negli anni Ottanta il desiderio sessuale, specie quello femminile, è considerato anomalo, alla stregua di una malattia. Nell’immaginario perbenista cattolico le donne possono essere solo sante o prostitute, e le seconde devono esserlo di nascosto, in silenzio, vivendo ai margini della società, sfruttate di notte e ostracizzate di giorno. Era un’Italia diversa, dove un marito (o un parente) che assassinava una donna colpevole di adulterio rischiava  di essere condannato a una pena compresa tra i tre e i sette anni di reclusione, trattandosi di “delitto d’onore”, previsione normativa abrogata solo il 10 agosto 1981. In questo clima persino giornali di semplice nudo femminile come Excelsior, dove Alessandra Mussolini poserà seminuda nel 1989, vengono comprati come fossero droga, tenendo il viso ben coperto dalla sciarpa e nascondendo le riviste tra le pagine dei quotidiani. Moana e Schicchi riescono a vedere più avanti di trent’anni rispetto alla loro epoca; capiscono che il corpo e la sessualità sono destinati a liberarsi e sognano un mondo senza costrizioni sociali.

Riccardo Schicchi (S) e Moana Pozzi

Schicchi era cofinanziatore di una rivista chiamata Le Ore, che pubblicava amplessi espliciti e le cui foto erano acquistate in Francia o riprese dalla vecchia pornografia scandinava. Schicchi propone una collaborazione con la sua nuova diva nel 1987 e usa quelle pagine come cassa di risonanza per ogni film che Moana gira. Procura lui le fotografie al giornale: fatte bene, con le luci giuste e in tema con il film di prossima uscita in videocassetta. Il primo è Banane al cioccolato, assieme a Ilona Staller. A guardarli oggi sono film pressoché amatoriali: gli uomini hanno fisici normali o trasandati, le donne non si depilano e le tempistiche degli amplessi sono più lente, reali, spontanee, tanto da risultare dolci. Non hanno niente a che fare con quelli moderni, anzi: vedere i vecchi film di Moana vale come buona educazione sessuale.

Poi, nel 1986 Schicchi e Moana hanno un lampo di genio: al Teatro delle Muse di Roma mettono in scena qualcosa di talmente avanguardistico che ancora oggi è impensabile: Curve deliziose. È uno spettacolo di teatro sperimentale. Moana racconta, nella sua autobiografia, che insieme a Cicciolina, davanti a una platea composta prevalentemente da maschi, si spogliano e fanno al pubblico domande sul sesso. Alla fine Moana si siede su una poltroncina di raso bianco e si masturba, finché quello tra il pubblico che poco prima aveva dato le risposte migliori viene invitato sul palco, fatto inginocchiare e invitato a praticare un cunnilingus, mandando il pubblico in delirio. Naturalmente dopo tre settimane Moana e Cicciolina vengono denunciate per atti osceni in luogo pubblico. Nel teatro c’erano anche sordomuti, disabili, uomini ai margini della società che non potevano sperare di avere una donna. Quelle tre settimane elevano Moana a Dea del popolo. Moana la liberatrice, l’antimoralista, mentre gli anni Ottanta del pentapartito di Craxi e le feste in discoteca di Gianni De Michelis sembrano chiamarla. Moana sa farsi desiderare e non disdegna di passare per il letto di persone influenti. Finisce su Raitre, dove conduce con Fabio Fazio la seconda edizione di Jeans.

Federcasalinghe la costringe a ritirarsi, sostenendo che sia del tutto inappropriato il finanziamento di “simili personaggi” mediante l’uso dei soldi dei contribuenti. L’attrice non poteva sperare in meglio, perché diventa una soubrette che non si riesce mai a vedere abbastanza, martirizzata e oscurata dalle casalinghe vecchie, bigotte e retrograde che sembrano uscite da Bocca di rosa.

Antonio Ricci la ingaggia per partecipare a un programma di satira feroce, chiamato Matrjoska: Moana dovrebbe apparire completamente nuda e commentare le dichiarazioni di un politico. La prima puntata è programmata lunedì 22 febbraio 1988 alle 22.30, ma Silvio Berlusconi vede l’anteprima e la blocca quattro ore prima della messa in onda. Ricci protesta e minaccia di lasciare il suo ruolo di autore anche per il programma Drive In, poi ricalibra il programma e ne fa un altro, che chiama Araba fenice e in cui rinuncia a molti sketch pur di salvare il nudo di Moana. Federcasalinghe grida ancora allo scandalo, ma Moana è ormai il sogno erotico di ogni italiano. La invitano nelle trasmissioni e lei non si nega, anzi: risponde pacata e sorridente, sa mettere a proprio agio lo spettatore trasmettendo un magnetismo erotico, il savoir faire di una nobildonna e la perversione di una pornodiva, un cocktail che produce valanghe di ascolti. Nel 1991 si sposa a Las Vegas con Antonio Di Ciesco, il suo ex autista, e scrive il citato Filosofia di Moana, un libro dove assegna pagelle ai suoi amanti Vip – ovvero un palese caso di diffamazione. Nessuna casa editrice lo pubblica: lei se lo stampa a proprie spese, ma viene prontamente ritirato dalle librerie. Nell’immaginario pubblico si tratta di censura, invece è probabile che Moana e i suoi legali abbiano valutato le conseguenze e siano stati loro stessi a dare impulso al ritiro: i risarcimenti miliardari delle cause che sarebbero arrivate da politici, cantanti, imprenditori, attori e personaggi pubblici l’avrebbero probabilmente rovinata. Una cosa molto simile a quanto succederà anni dopo con la pornoattrice Lea di Leo, che farà la stessa identica scelta.

Nel 1992, mentre in Italia sta arrivando Tangentopoli, Moana si presenta alle elezioni politiche con il Partito dell’Amore di Mauro Biuzzi, promosso dall’agenzia Diva Futura e da Schicchi. Politicamente è un flop – anche se Cicciolina riesce effettivamente a guadarsi una poltrona in Parlamento – ma a livello d’immagine è l’apice, l’incoronazione a Dea del popolo che si aggira tra i colletti bianchi. Negli anni Novanta una donna che decide di spogliarsi e vivere il sesso pubblicamente è rarissima, attrae l’attenzione di ogni italiano e italiana  e di conseguenza i suoi cachet sono miliardari.

Moana guadagna, ogni mese, 150 milioni di lire, un sacco di soldi per l’epoca. Oggi una pornodiva di successo internazionale ne guadagna a malapena 50mila: deve essere molto brava a curare l’aspetto social, il merchandising, e deve scalare i soldi per l’agente, tenendo inoltre conto che l’apice di popolarità di un’attrice dura dai 4 ai 6 mesi, per poi essere sostituita da una nuova arrivata – per dare un’idea delle proporzioni, Valentina Nappi ha dichiarato di guadagnarne 30mila euro lordi. Moana invece ha un business stimato sui 50 miliardi di lire, ogni suo film vende milioni di cassette e si vocifera abbia oltre duecento amanti. Compra un attico da due miliardi di lire a Roma, si fa vedere nei posti più esclusivi e costosi. Fa il bagno nel latte di capra ed è attentissima a non prendere il sole, perché la sua pelle non invecchi. In televisione, per il suo partito, affronta battaglie come la riapertura delle case chiuse e la creazione di “parchi dell’amore”, dove i ragazzini possano infrattarsi senza paura di essere sventrati da maniaci come il mostro di Firenze, ancora vivido nell’immaginario collettivo. Quando nel 1992, durante la Tribuna politica, casalinghe e donne comuni le fanno domande riguardanti quella libertà che loro non hanno mai avuto, le risposte di Moana sono di una semplicità devastante.

“Hai mai avuto fidanzati gelosi?”

“Sempre. È una cosa abbastanza pesante sopportare la gelosia, certe volte è anche bello.”

“Cosa pensano i suoi genitori di questo… lavoro che fa?”

“Non sono felici, ma è normale. Purtroppo a volte nella vita si fanno delle scelte che comportano il dispiacere degli altri.”

“Se deciderai di avere figli, cosa pensi che diranno da grandi del tuo lavoro?”

“Proprio per questo motivo penso di non averne. Perché, ecco, far nascere una persona e costringerla ad accettare certe scelte non credo sia giusto. Quindi probabilmente non avrò figli.” Moana sorride a occhi bassi e lo studio esplode in un applauso entusiasta. Questo rende bene l’idea dell’aria che tirava vent’anni fa: se fai la pornodiva, non avere figli è la scelta più intelligente.

Qualunque donna, giunta a quel livello, abbandonerebbe il porno per fare il salto di qualità. Moana non ci pensa nemmeno. Nel 1993 Karl Lagerfeld la fa sfilare a Milano per Fendi in un costume da bagno bianco e rosso. Anna Wintour si alza e se ne va indignata – in seguito dichiarerà forti dubbi sulla vendibilità dei costumi delle Fendi che, a guardarli oggi, erano solo vent’anni più avanti. I giornalisti di Italia1, commentando la sfilata, diranno: “Un mucchio selvaggio di porno divette guidato dalla loro porno regina, Moana Pozzi, che batte i teatrini a luce rossa dell’Italia dei guardoni e i salotti a luce rosa dell’Italia dei tromboni.C’è uno stacco con una giovanissima Samantha de Grenet che dice “È uno scandalo, vergognati,” poi il servizio riprende: “Che dire? Che bisogno c’era? Possibile nel 1993 si debba ancora ricorrere a questi mezzi, per far parlare di sé? Davvero anche l’ultima frontiera del buongusto italiano andava oltrepassata affinché tutto finisse… in vacca?” Anche il mondo della moda insorge, ma Lagerfeld risponde che le donne si muovono e comportano come Moana, non come le top model. Sabina Guzzanti ne fa la caricatura ad Avanzi su Raitre, ma Lagerfeld ha detto bene: le donne vogliono essere sensuali, avere sugli uomini lo stesso ascendente magico di Moana.

Il 17 settembre 1994 viene comunicato che Moana è morta due giorni prima in una clinica di Lione, per un tumore al fegato. Si dice che i funerali si siano già celebrati in forma privata e nessuno è riuscito a vedere né fotografare lei malata, o morta. L’intero Paese rimane sconcertato, e molti ci rimangono male a causa di quel sadismo tipico dello spettatore che, come diceva Kubrik, “Ama guardare artisti e gangster solo per vederli cadere.” Nascono decine di teorie complottiste: Moana è ancora viva, si è rifatta una vita all’estero. Moana è stata uccisa da qualche potente, forse dai Servizi segreti perché sapeva qualcosa di inconfessabile. In realtà, Moana durante il suo viaggio in India aveva già dato segno di malessere: il suo ultimo film, uscito solo di recente, la mostra stanca e molto dimagrita. Era da lei, che si proclamava esteta assoluta, scegliere di non farsi vedere dai fan affinché nel loro immaginario rimanesse sempre giovane, bellissima e sensuale: una Fedora di Billy Wilder, nell’epoca in cui le donne del cinema erano dee eteree e inarrivabili. Così Moana è diventata mito, che ancora oggi mobilita fan vecchi e nuovi, in cerca di quella femminilità dolce e provocante che non invecchierà mai.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta il 03/09/2018.

Segui Nicolò su The Vision | Twitter | Facebook