Il giorno in cui sposò il premio Nobel Albert Einstein, Mileva Marić non immaginava che dopo qualche anno si sarebbe ritrovata sola, con un divorzio alle spalle e un figlio malato di cui prendersi cura, mentre il suo ex marito ormai lontano raccoglieva frutti e glorie del proprio successo di scienziato, a cui lei aveva contribuito in gran parte per poi esserne esclusa. Brillante fisica, era rimasta sempre all’ombra del marito a causa dei pregiudizi di un ambiente scientifico e accademico che ostacolava le donne e relegava anche le più tenaci e talentuose al ruolo di mogli e madri. Per molto tempo, così, Mileva Marić fu soltanto la prima moglie di Albert Einstein, e la madre dei suoi due figli. Ma Mileva avrebbe potuto, e dovuto, essere molte più cose, se le ingiustizie di un sistema sessista non glielo avessero impedito.
Mileva Marić nasce il 19 dicembre del 1875 a Titel, città della Serbia nei pressi di Novi Sad, allora annessa all’impero austro-ungarico. Terza di cinque figli, perde i suoi fratelli maggiori molto presto diventando di fatto la primogenita di una famiglia che, sebbene di stampo patriarcale, non le preclude la possibilità di studiare. Timida e riflessiva, Mileva è costretta a convivere con una malformazione congenita all’anca sinistra, che la farà zoppicare per tutta la vita; fin dall’inizio si getta nello studio con abnegazione, rivelando presto una predisposizione per la matematica e la fisica. Trasferitasi con la famiglia a Zagabria a causa del lavoro del padre, Mileva frequenta una scuola che le garantisce un’eccellente preparazione in tutte le discipline. Ma, all’indomani del diploma, per la ragazza che sogna di diventare una fisica stimata iniziano le difficoltà.
Mileva, infatti, ha sì alle spalle una famiglia benestante e un padre disposto a pagarle gli studi, ma all’università sembra non esserci spazio per lei. Mileva è una donna: è questa sembra essere la sua unica colpa. L’unica possibilità che ha per proseguire gli studi è trasferirsi a Zurigo: ai tempi la Svizzera era il solo Paese ad ammettere donne nei propri atenei. Mileva decide così di partire, ma le delusioni che il futuro le riserva sono solo all’inizio. Iscrittasi al Politecnico di Zurigo, conosce Albert Einstein. Tra i due nasce una passione che diventerà anche sodalizio professionale, ma intanto Mileva è costretta a subire i contraccolpi di un ambiente maschilista che fatica a riconoscere i suoi meriti. Unica donna del suo corso, Mileva svolge esami eccellenti, migliori di buona parte dei colleghi maschi, ma ciononostante i suoi voti sono spesso mediocri. Quando decide di trascorrere un semestre in Germania, per seguire i corsi di fisica dell’Università di Heidelberg, le viene concesso di accedere solo come uditrice: dal momento che nessuna donna può iscriversi, dare esami o ricevere certificazioni, e il suo caso non fa eccezione. Ma Mileva, a testa bassa e ben salda nel suo obiettivo, accetta comunque.
Concluso il semestre Mileva torna a Zurigo, dove prosegue il percorso di studi fino al quarto e ultimo anno di corso. Il giorno degli esami finali, però, fallisce la prova ed è costretta a ripetere l’anno. Riprova l’anno successivo ma, incinta della figlia di Albert che non la vuole sposare, anche in questo caso, non riesce a superare l’esame. La commissione esaminatrice, composta da uomini, non vede di buon occhio la gravidanza che Mileva sta portando avanti fuori dal matrimonio. Esausta per le discriminazioni di cui è vittima, prostrata da una strada sempre in salita, mette fine in modo definitivo alla sua carriera universitaria e non conseguirà mai la laurea. Mileva torna a casa dei genitori per partorire la sua primogenita che lascia, ancora neonata, con i nonni; nulla si saprà più di questa bambina, forse morta di scarlattina o data in adozione alla nutrice. Quel che è certo è che Albert Einstein non la conoscerà mai.
È il 1903 quando Mileva e Albert – che intanto ha conseguito la laurea presso il Politecnico – convolano a nozze. Sono trascorsi pochi mesi dalla morte del padre di Albert, che ha sempre ostacolato il legame con Mileva in quanto non ebrea, a suo dire animata da eccessive ambizioni professionali e poco incline a occuparsi della famiglia. Anche dopo le nozze, Mileva continua a coltivare l’interesse per le sue materie di studio e per la teoria della cinetica dei gas, cui lavora insieme al marito che, intanto, lavora anche come impiegato presso l’ufficio brevetti. Poiché il lavoro toglie tempo agli studi di Albert e alla stesura dei suoi articoli, Mileva decide di coadiuvarlo in tutto e per tutto senza firmare nessuna delle teorie formulate. Mileva accetta quindi che sia Albert a raccogliere i frutti di un lavoro svolto in tandem e continuerà a fare così per tutta la durata del loro matrimonio.
Mentre Albert intraprende la carriera di docente universitario tra Praga, Zurigo e Berlino, Mileva dà alla luce due bambini. In Germania, però, Albert avvia una relazione extraconiugale con Elsa Lowenthal, una sua cugina di Praga. È l’inizio della crisi matrimoniale che nel 1918 sfocia in un tormentato divorzio. Soprattutto per Mileva che, in serie difficoltà economiche, umiliata dal tradimento e dall’abbandono del marito, si ritrova a fronteggiare la malattia del secondogenito, affetto da una grave forma di schizofrenia. Per guadagnare qualche soldo, inizia allora a dare lezioni private: non avendo un titolo di studio non può accedere a carriere più prestigiose e remunerative. Costretta dalle drammatiche contingenze, stringe un patto con l’ormai ex marito: nel caso in cui lui vincesse il Nobel, il premio in denaro andrà a Mileva e ai figli, e lui in cambio terrà per sé tutta la gloria e il riconoscimento, che infatti Albert ottiene grazie all’aiuto fondamentale di Mileva, che però non verrà mai riconosciuto pubblicamente.
Circondata dalla solitudine e delusa da un marito per cui si è sacrificata, Mileva scrive: “Il mio grande Albert è diventato un fisico famoso, molto rispettato e ammirato nel mondo scientifico. Lavora instancabilmente ai suoi problemi e si può dire che viva soltanto per essi”. Gli ultimi anni di vita della donna sono particolarmente duri: si occupa giorno e notte del figlio, sempre più grave, mentre il primogenito raggiunge il padre negli Stati Uniti. Oppressa dai problemi finanziari, oltre che di salute, Mileva teme per il futuro del figlio, ormai ritenuto incapace di intendere e di volere; si mette così alla ricerca di un tutore legale che possa occuparsi del ragazzo quando lei non ci sarà più. Dato che Albert si è già rifiutato molti anni prima di occuparsene, troppo impegnato a diventare lo scienziato universalmente acclamato. Nel maggio del 1948 Mileva viene colpita da un ictus e, dopo mesi di ricovero in un ospedale di Zurigo, muore. La carriera di Albert, che nel frattempo ha sposato la cugina Elsa, raggiunge intanto il suo apice.
Ad accreditare l’ipotesi di una loro collaborazione professionale c’è il fatto che prima del divorzio la carriera di Albert attraversò la sua fase più vitale e meno conservatrice, probabilmente proprio grazie allo stimolo di Mileva. Ed è Albert stesso, in una corrispondenza pubblicata tra i coniugi dopo la morte di entrambi, ad alludere a una collaborazione con Mileva nella formulazione della famosa teoria sulla relatività. In una lettera del 1903, Albert scrive: “Ho bisogno di mia moglie. Lei risolve tutti i miei problemi matematici”, alludendo alla sua scarsa predisposizione verso la matematica, materia in cui invece Mileva eccelleva. In altre lettere indirizzate all’amata, lo scienziato scrive: “Anch’io sono molto contento dei nostri nuovi lavori […]. Come sarò felice ed orgoglioso quando avremo terminato con successo il nostro lavoro sul moto relativo! Quando osservo le altre persone, apprezzo sempre di più le tue qualità!”.
Sul ruolo attivo di Mileva Marić nella carriera del marito si è dibattuto a lungo dopo la morte di Einstein. Peter Michelmore, uno dei più grandi biografi dello scienziato, fu tra i primi a riconoscere che uno dei fattori determinanti del suo successo fu proprio il supporto, professionale ed emotivo, della moglie. Anche il fisico Evan Harris Walker, in un articolo per il Physics Today, ribadì che il punto di forza di Albert risiedeva nel fortunato sodalizio con una donna talentuosa e perseverante come Mileva. Nel 2019 la scrittrice e fisica italiana Gabriella Greison ha presentato una domanda ufficiale al Politecnico di Zurigo affinché venisse attribuita a Mileva la laurea postuma, ma la richiesta non è stata accordata. Nel 2019, invece, l’attrice Ksenija Martinovic – in collaborazione con il drammaturgo Federico Bellini e il danzatore Mattia Cason – ha dato vita a uno spettacolo teatrale dedicato alla figura di Mileva e alle ingiustizie che ha dovuto subire per tutta la sua vita, a causa di una società ottusa, che ancora oggi troppo spesso si rifiuta di riconoscere e sanare le disparità sistematiche che le donne si ritrovano costrette a subire. Ora più che mai è infatti importante ricordare la figura di Mileva Marić come esempio di ingegno, forza d’animo e perseveranza, restituendole la dignità e la fama che si sarebbe meritata, in quanto grande scienziata penalizzata dal maschilismo imperante di fine Ottocento. La sua storia ci ricorda quanto l’ambiente scientifico (ma non solo) sia stato – e continui purtroppo a essere – discriminatorio verso le donne e il loro talento.