Per la tradizione cattolica maggio è il mese della Madonna. Rosari, pellegrinaggi ai santuari, preghiere, leggende, feste e raduni speciali: sono i molti modi in cui la devozione popolare continua a celebrare quello che, a tutti gli effetti, è il più grande dispositivo di sottomissione del femminile mai creato nella storia dell’umanità.
Scrivere un articolo “contro” la figura della Madonna potrebbe sembrare una provocazione. In realtà oggi, nell’epoca di #metoo e dei tanti altri tentativi di ripensamento della coscienza di genere, non si può far finta che la cultura sessista non abbia radici precise. Per liberarci dei nostri tratti disfunzionali è importante vedere bene dove e come li abbiamo introiettati. Decostruire le figure della tradizione religiosa è utile per rendersi conto del modo in cui certe narrazioni hanno inciso, almeno per quanto riguarda la nostra cultura, sulla costruzione di quello che consideriamo l’identità maschile e femminile.
Per secoli le donne cattoliche hanno avuto come modello l’esemplare madre di Gesù. Ma la Madonna non è Maria di Nazareth: con la figura della Vergine Maria, la Chiesa nel corso dei secoli ha costruito, a colpi di encicliche e dogmi, il modello della donna docile e obbediente. A partire dagli scarni dati testuali del Vangelo, la Chiesa ha deciso di plasmare un’immagine ideale della madre di Cristo, utile per blindare il corpo e la volontà femminile.
La presenza di Maria nei Vangeli è minima – soprattutto dopo la nascita di Gesù – e quando appare sta quasi sempre in silenzio: di lei si ricorda e si celebra soprattutto quel sì iniziale, quell’ “avvenga di me quello che hai detto”, pronunciato nel momento dell’annunciazione. Il modello femminile principale del Cristianesimo è diventato da lì quello della donna che accetta di fornire il suo corpo alla causa e lo fa in nome dell’altro – per il bene di qualcun altro – secondo il tipico stereotipo della donna tutta cura e vocazione oblativa. La missione della donna è quella di servire e di farlo senza la molteplicità di opzioni lasciate agli uomini. Cristo infatti, col suo sacrificio, è portatore di un esempio e di un messaggio spirituale che vale per tutti, la Madonna invece è sempre stata utilizzata per fornire un modello per la vita concreta delle donne (corpo, sessualità, gravidanza, come essere madri e mogli).
La donna esiste in modo degno e virtuoso assistendo, accudendo: l’ha ribadito ancora nel 1988 Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Mulieris Dignitatem, individuando il “genio femminile” nella “naturale disposizione sponsale”. Il genio maschile invece non è mai stato oggetto di grande interesse da parte della Chiesa. Le donne possono essere solo mogli e madri, oppure suore – e questi ruoli la Vergine Maria, grazie a quel suo sì iniziale, li incarna entrambi (paradosso eloquente, come vedremo tra poco).
Eppure, nelle Scritture Maria di Nazareth è anche la donna dei no. Di fronte alla richiesta dell’angelo Maria, ad esempio, fa di testa sua: accetta senza chiedere il parere di suo padre o del fidanzato, come sarebbe stato normale fare data la società dell’epoca. Nonostante ciò le donne cattoliche sono state abituate a sopportare e accettare di tutto: il sì di quella ragazza dell’antica Palestina è stato usato per bloccare il potenziale rivoluzionario che la stessa Maria avrebbe potuto rappresentare. La Madonna è diventata uno strumento al contempo di oppressione e consolazione, è stata usata per dare alle donne cattoliche un esempio di virtuosa sopportazione.
Il rapporto complicato che la nostra società sembra ancora avere col consenso femminile nasce anche da qui: l’obbedienza mostrata con l’annunciazione nella cultura cattolica s’è fatta esempio onnipervasivo. Quel sì le donne cattoliche lo hanno dovuto dire un po’ a tutti: padri, fratelli, mariti. L’educazione cattolica per le ragazze non ha mai previsto il rifiuto. Il no delle donne ancora oggi è spesso frainteso o negato: quando dicono “no”, in realtà per la società si tratta sempre di un “sì” nascosto, o di un “forse”.
Il cristianesimo considera in modo diverso il dolore a seconda del genere di chi lo patisce. Cristo è il protagonista assoluto della sua morte, la Madonna invece è sempre spettatrice, accompagna, assiste, è Madre Dolorosa: il suo dolore è importante non di per sé ma perché funzionale al progetto altrui. Al progetto divino, si dirà. A quello maschile, sarebbe meglio precisare. Come scrive Michela Murgia nel suo Ave Mary: “Il dolore mariano, a differenza di quello di Cristo, non è mai personale, ma è traslato, eco e conseguenza di quello del Figlio. È un dolore di servizio, che serve a rendere più evidenti le sofferenze di Cristo”.
La morte di Maria è stata teologicamente rimossa, o meglio trasfigurata. Maria non muore, s’addormenta – secondo il modello della Dormitio Mariae – e sale al cielo così com’è, giovane e bella. Non muore e neppure invecchia: l’iconografia dell’Assunzione la rappresenta perfetta e immune dai segni del tempo. Le donne cattoliche anziane non hanno mai avuto grandi modelli a cui ispirarsi: il fastidio per le donne avanti con gli anni e il culto per la freschezza del corpo femminile, che tanta fortuna hanno ancora oggi, non ce li siamo certo inventati.
Come può essere misogino il Cristianesimo – capita di sentir dire – quando la figura della Madonna è così importante? Certo che la Madonna è importante, ma infatti non è vero che le donne non siano centrali nella cultura patriarcale. Le donne sono fondamentali, ma lo sono per concessione maschile e a patto che rispettino le regole decise dagli uomini. Le donne che sostengono il patriarcato sono celebrate e tutelate, quelle che violano i diktat maschili è risaputo che meritano il titolo di Eva.
Eva e Maria: la traditrice lasciva e la vergine salvatrice. Attraverso il dispositivo estetico e narrativo della madre di Gesù, la Chiesa ha scorporato l’identità della donna, selezionando le parti concesse e quelle proibite. Ha ristretto il campo delle possibilità a disposizione, facendo sì che le donne si abituassero ad autointerpretarsi alla luce di questa figura immaginata dai maschi. Grazie a Maria il corpo delle donne è stato circondato da dogmi e tabù: la teologia cattolica ha costruito a poco a poco con la Madonna quello che gli uomini di tutti i tempi e di tutti i Paesi hanno desiderato costruire e tentato di costruire con le donne. Con Maria, il corpo della donne viene sottratto al tempo e alla natura, viene sigillato, consacrato, sottoposto al dominio del Dio-Padre. La retorica messa in scena sull’altare si è proiettata sulla società. Il femminile è stato polarizzato: un volto malvagio, illecito – il no, il rifiuto di Eva – e un volto retto ed esemplare – il sì eterno di Maria che acconsente a farsi incubatrice del progetto divino. Maria è la nuova Eva, quella che ripara all’affronto dell’incontinente compagna di Adamo. È la fedele, la silenziosa, l’obbediente: con la sua verginità perenne è portatrice di vita, a differenza di Eva che con la sua curiosità peccaminosa ha portato la morte nel mondo.
L’Immacolata Concezione e la perpetua verginità sono i due dogmi centrali del culto di Maria: la Madonna nasce senza peccato originale e non conoscerà mai piacere. Questo modello della donna sommamente pura si è tradotto, soprattutto nel corso degli ultimi due secoli, in una serie di esempi concreti: una sfilza di martiri femminili, ammirate e celebrate per la loro purezza. Nel corso del ‘900 ha infatti iniziato a diffondersi la santificazione anche dei laici, ma le cose sono andate diversamente a seconda del sesso dei santi. Gli uomini sono stati selezionati spesso in relazione al loro impegno sociale o alle loro virtù professionali, le donne perché morte di parto (come nel caso Gianna Beretta Molla) o perché ammazzate durante tentativi di stupro (si pensi a Maria Goretti, Pierina Morosini e Teresa Bracco). La strada per la santità per le donne laiche può passare solo da lì, dall’ideale della vergine.
Madre e vergine allo stesso tempo: Maria è un modello impossibile, contraddittorio. Le teoriche femministe l’hanno notato da molto: il femminile nel cristianesimo è posto a una distanza incolmabile dalle donne concrete. Maria è un ideale che non può essere raggiunto. Maria non è una dea, è una donna, eppure esibisce una virtù ultraterrena che può risultare mortificante per le donne reali. Maria è un’icona che ha plasmato e plasma tuttora, seppur in modo subdolo, giudizi e luoghi comuni sul comportamento femminile.
Nel corso del ‘900 la manipolazione ideologica del culto di Maria si è estesa anche all’iconografia, riducendo drasticamente la varietà offerta dagli artisti del passato. Senza bisogno di arrivare al realismo estremo di Caravaggio, le madonne del Rinascimento erano raffigurate in modo molto più realistico rispetto ai modelli novecenteschi. Erano donne vere, colorate, vivaci, agghindate di pietre preziose e gioielli, rappresentate spesso in abiti contemporanei e con una corporeità non di rado esibita in tutta tranquillità (alcune col seno scoperto).
Durante il secolo scorso la Vergine Maria è diventa invece essenzialmente una monaca: eterea, diafana, quasi stilizzata. Meno corpo c’è meglio è: di fatto è stata ridotta a uno spirito ambulante. I dogmi sono stati tradotti in immagine e il restyling dell’iconografia mariana ha prodotto una sfilza di donne-angelo, pudiche, vestite con teli bianchi, azzurri o rosa, il corpo ben nascosto e il capo coperto, secondo la tipica iconografia diffusa a livello planetario anche grazie alla stagione delle grandi apparizioni mariane (Lourdes, Fatima, Medjugorje).
La Madonna nel corso del tempo è diventata un mito sempre più strategico, una narrazione usata per sfruttare la potenza della spiritualità in modo da blindare il progresso e la trasformazione dei rapporti tra i sessi, imponendo alle donne una e una sola interpretazione della loro identità, usando Dio per legittimare una gerarchia umana arbitraria. Anche quando, come accade oggi nella maggior parte dei casi, la figura della Vergine Maria non condiziona le donne in modo esplicito, non smette di esercitare il suo effetto, dato che è stata introiettata dalla cultura e dalla società.
Lo stesso matrimonio cattolico è una costruzione retorica. Il suo statuto teologico non poteva prendere a modello la famiglia di Maria, Giuseppe e Gesù, troppo piena di anomalie per ispirare le nostre unioni terrene. Si è deciso allora di associarlo all’unione simbolica tra Cristo e la Chiesa: l’uomo è Gesù, la donna è la Chiesa che deve servire il suo Cristo-sposo.
Se non si può dire che sia stata la Chiesa a inventare il patriarcato, è lecito affermare che essa l’abbia legittimato spiritualmente. Sono tante le donne che hanno subito, e subiscono, abusi e sopraffazione in nome di una visione per la quale l’uomo è un po’ come Dio e loro sempre e comunque delle Madonne imperfette sfiancate dal carico di un’eredità culturale che oggi abbiamo il dovere di storicizzare e demolire. Un’eredità fatta di narrazioni univoche e tossiche, che impediscono a tutti, uomini e donne, di immaginarsi in modo alternativo.