Il legame tra Maria Callas e Pasolini dimostrò che l’arte sopravvive anche alla morte
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Nel 1968 il regista e poeta Pier Paolo Pasolini è in procinto di girare il suo nuovo film: Medea. La Medea dell’intellettuale friulano si ispira alla storia della sacerdotessa originaria della Colchide le cui gesta furono inscenate dal drammaturgo greco Euripide, ma Pasolini intende utilizzare la storia di Medea per raccontare una tragedia moderna: il terzo mondo, primordiale e legato ai suoi riti ancestrali, che incontra il cinismo della civiltà occidentale.

Medea affida a un uomo tutta la sua vita, per lui tradisce le sue origini e la sua cultura e questo la getta nella totale confusione. Si sforza di vivere lontano dalla sua terra per Giasone, il condottiero valoroso, ma quando lui dopo dieci anni e due figli la lascia per sposare la figlia del re di Corinto, lei impazzisce dal dolore e gli infligge una terribile vendetta: con un sortilegio induce la promessa sposa al suicidio e poi uccide i due bambini avuti con Giasone. Il ruolo da ricoprire nel film è quindi estremamente complesso e la produzione è ambiziosa. I produttori suggeriscono a Pasolini la cantante Maria Callas per il ruolo da protagonista, ma lui è perplesso. I due artisti sono antitetici: due mondi opposti e apparentemente inconciliabili. Pasolini non è un esperto del teatro lirico e in più considera la cantante un’espressione di quella borghesia che tanto odia. Lei ha visto tre film del poeta friulano, Vangelo secondo Matteo, Edipo Re e Teorema, ed è intimidita da questo regista italiano anticonvenzionale e provocatore. Nonostante ciò, dopo l’insistenza del produttore Franco Rossellini, sicuro del ritorno in termini pubblicitari che potrà portare la presenza nel film della “divina Callas”, nell’ottobre 1968 la cantante incontra per la prima volta il regista ed entrambi rimangono folgorati l’uno dall’altro.

Maria Callas durante una pausa sul set di “Medea”, 1969

Pasolini definisce Callas “Una straordinaria apparizione fisica, con quei grandi occhi in un volto dagli zigomi alti, dai lineamenti e dalle espressioni che rientrano perfettamente nella mia mitologia fisionomica”, come dirà al giornalista Alberto Ceretto in un’intervista apparsa sul Corriere della sera nell’aprile 1969. Anche la cantante sente di aver appena conosciuto una persona speciale, un regista abile che potrà farle vestire i panni di quella Medea a cui si sente in qualche modo destinata, sia per averla interpretata in teatro tante volte sia perché in passato anche il regista danese Carl Theodor Dreyer le aveva proposto il ruolo, ma la sua morte aveva interrotto bruscamente il progetto.  

Pier Paolo Pasolini e Maria Callas si scambiano un bacio durante le riprese di Medea, 1969

Anna Maria Cecilia Sophia Kalogheropoulou, in arte Maria Callas, greca come Medea, abbandonata dal suo uomo, forte in pubblico e fragile nel privato. Pasolini interpreta così la figura di questa donna “senza tempo, arcaica e mitica”, come la descrive in un’intervista, elevata al ruolo di dea nel phanteon della musica lirica. “Lei appartiene a un mondo contadino, greco, agrario, e poi si è educata per una civiltà borghese. Dunque in un certo senso ho cercato di concentrare nel suo personaggio quello che è lei, nella sua totalità complessa”, queste le parole del regista italiano raccolte nel libro Pasolini sconosciuto a cura del critico cinematografico Fabio Francione.

Maria Callas e Pier Paolo Pasolini all’Opera di Parigi per la prima mondiale di “Medea”, 1970

“Medea è il confronto dell’universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e pragmatico”, spiega Pasolini nel libro Il sogno del centauro, “Giasone è l’eroe attuale, che non solo ha perso il senso metafisico, ma neppure si pone ancora questioni del genere. È il tecnico abulico, la cui ricerca è esclusivamente intenta al successo”. Callas è entusiasta di questo ruolo. Incontra Pasolini in un momento buio della sua carriera e della sua vita privata. L’ambiente teatrale la considera sulla via del tramonto e in più è appena uscita dalla tempestosa relazione – “nove anni di sacrifici inutili”, dirà – con l’armatore greco Aristotele Onassis, che nel 1968 le infligge un terribile dolore sposando la vedova di John F. Kennedy, Jackie Bouvier Kennedy. La vicenda scatena molti pettegolezzi e la cantante, sempre riservata, si ritrova a malincuore sulle prime pagine dei giornali scandalistici.

Il set, al contrario, è un luogo sicuro, un rifugio in cui è ammessa solo l’arte. Pasolini la cura come una bambina, rispetta e riconosce le sue fragilità e in più vuole da lei qualcosa che nessuno le ha mai chiesto: un’interpretazione che prescinda dall’uso della sua sublime voce. Callas nel film Medea non emette neanche una nota. È la preziosa possibilità di astrarsi dal suo personaggio pubblico e diventare qualcosa di nuovo. In queste favorevoli condizioni, nasce tra i due artisti quel forte legame che entrambi decanteranno nelle loro lettere private e che renderà Medea un film intenso e importante per il cinema internazionale. “Noi siamo molto legati spiritualmente, come raramente è concesso di esserlo”, scrive lei. 

L’intelligenza di Pasolini, la sensibilità e la devozione mostrate nei suoi confronti, fanno innamorare Callas. Anche lui se ne innamora platonicamente, tanto che le dedica un’intera sezione del libro di poesie Transumar e organizzar ma, sicuro del suo orientamento sessuale, è consapevole che quell’amore non potrà mai essere completo come lei desidera. Un sentimento che il poeta friulano sublima nel componimento che le dedica intitolato “Un affetto e la vita”. Complici alcuni equivoci, come l’anello che lui le regala a riprese finite, Callas continua a sperare che lui la sposi, ma questo non accade. Pasolini soffre perché il suo amato Ninetto Davoli ha deciso di sposarsi e Maria, nonostante tutto, accetta di fargli da confidente. “Sono infelice per te, ma contenta che ti sei confidato in me. Caro amico sono infelice che non posso essere vicina in questi momenti difficili per te come lo sei stato tu spesso con me,” scrive lei. “Tu in fondo uomo tanto intelligente lo dovevi sapere. Invece ti attaccavi anche tu a un sogno”. Maria aiuta Pier Paolo a superare la cocente delusione e dimostra un coraggio più grande di quello di Medea, aiutando l’uomo che ama a sostenere il dolore della perdita di un amante. Lei gli racconta che l’arte e l’autodeterminazione sono la medicina per ogni male, anche quello oscuro e profondo delle pene d’amore. La cantante gli racconta di essersi rifugiata nella sua musica “l’amica che non tradisce” e, in un italiano un po’ claudicante, prosegue dicendo che “la pace che tu pensi che ho ce l’ho davvero, me la impongo. Ti ho detto mio carissimo amico che credo in noi creature umane. Io ed io sola ho fatto quello che mi spetta nella società […] so anche che l’orgoglio mi salva da tante cose”.

Il 2 novembre 1975 la loro amicizia affettuosa viene interrotta dall’irreparabile: la morte prematura e violenta di Pasolini. Un dolore insostenibile per Maria Callas che, già provata dalle difficoltà della vita, cede sotto il peso dell’infelicità – come raccontato dalla sua intima amica Giovanna Lomazzi – e muore da sola, nella casa parigina di Rue Georges Mendel, due anni dopo Pier Paolo Pasolini, il 16 settembre 1977. Questi due immensi artisti, che hanno ottenuto il massimo nei loro rispettivi ambiti, hanno involontariamente regalato al mondo anche la poesia e la grazia scaturite dalla loro amicizia, insegnandoci che proprio l’amore può assumere le più diverse forme senza perdere la sua intensità e il rispetto che merita. Pier Paolo ribadisce a Maria, fino al giorno della sua tragica morte, il suo immenso affetto per lei e testimonianza ne sono i bellissimi e numerosi versi che le ha dedicato nelle sue lettere e poesie: “Sei come una pietra preziosa che viene violentemente frantumata in mille schegge per poi essere ricostruita di un materiale più duraturo di quello della vita, cioè il materiale della poesia”.

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