Il libro A ciascuno il suo di Leonardo Sciascia, professore e saggista siciliano, narra del più grande e atavico paradosso italiano: tutti sanno cosa non funziona ma nessuno agisce. Nel corso della sua vita, Sciascia parlò della scuola come il luogo in cui sbocciò il suo amore per la scrittura. L’incontro con il giovane professore Giuseppe Granata, che lo introdusse alla letteratura americana e alle teorie dell’illuminismo francese, lo influenzò profondamente: “Voltaire è una delle mie bibbie”, disse lo scrittore. Sciascia riconosceva all’istituzione scolastica un ruolo preminente nella vita dello Stato e in particolar modo il lavoro delle scuole elementari era da lui ritenuto importantissimo ed estremamente formativo. Come ricorda il suo amico e collega Andrea Camilleri, Sciascia non si laureò mai. Nel 1949 prese un diploma per insegnare alla scuola elementare e quando l’Università di Messina, anni dopo, volle conferirgli una laurea honoris causa lui rifiutò con le parole: “Perché? Già maestro sugnu”, ribadendo la grande considerazione che aveva per le scuole primarie.
Il suo rapporto con la politica fu indubbiamente tumultuoso. Si avvicinò alla politica tramite il Partito comunista e nel 1975 si candidò come indipendente nelle liste del PCI alle elezioni comunali di Palermo, venendo eletto. Nel 1977 però si dimise dalla carica di consigliere del Partito, episodio che gli fece rompere i rapporti con i dirigenti per la sua contrarietà al compromesso storico. Successivamente, sostenne le battaglie portate avanti dal Partito Radicale con il quale venne eletto sia al Parlamento europeo che alla Camera dei deputati, rimase a Strasburgo due mesi per poi tornare alle istituzioni italiane, dove fu deputato fino al 1983.
A ciascuno il suo è il suo secondo giallo, e fu pubblicato nel 1966 dopo il successo ottenuto da Il giorno della civetta: il primo romanzo in Italia che parlava di mafia in uno Stato in cui la sua esistenza era negata persino dai rappresentanti delle istituzioni. Con A ciascuno il suo, Sciascia approfondì la tematica della corruzione e dei compromessi politici, tanto da anticipare ai lettori dell’epoca di aver voluto scrivere del fallimento storico del centro-sinistra.
Una sintesi eccellente della vita politica di Sciascia e della sua poetica la fornì lo scrittore statunitense Gore Vidal: “Sciascia è di sinistra, ma come pochi italiani è un ‘migliorista’. E la sua vena empirica è destinata a sbalordire molti italiani politicizzati. Ha idee, ma non ideologia, in un Paese dove l’ideologia politica è tutto e le idee politiche sono poco conosciute”. Nella produzione artistica dell’autore fanno senz’altro capolino le sue convinzioni politiche e, tra tutte, il disprezzo per l’immobilismo colpevole delle istituzioni, spesso coperto da una retorica che dà l’illusione di cambiare le cose senza farlo mai veramente.
Appena pubblicato, A ciascuno il suo incuriosì il regista politicamente impegnato Elio Petri che volle darne la sua versione cinematografica inaugurando, con questa pellicola, il sodalizio artistico con l’attore Gian Maria Volonté. La storia è ambientata in un piccolo paese siciliano la cui quiete è turbata da una lettera anonima indirizzata al farmacista Manno: “Per quello che hai fatto morirai”. Ritenendo di non avere scheletri nell’armadio, il farmacista pensa a uno scherzo di cattivo gusto, motivo per il quale decide di non dargli peso. Pochi giorni dopo, però, durante una battuta di caccia lui e il suo caro amico, il dottor Roscio, vengono assassinati. L’intero paese sembra individuare subito il nocciolo della questione: essendo il professor Manno un uomo piacente, era probabile che avesse intrapreso una relazione con una delle sue pazienti destando l’ira del marito cornuto e coinvolgendo suo malgrado il povero Roscio. Anche la giustizia, che si mostra poco solerte e molto desiderosa di raggiungere una conclusione veloce, sembra preferire questa versione dei fatti. Capita però che un privato cittadino, il professor Laurana, decida di indagare da solo. Laurana è un uomo mite, studioso e poco incline ad affidarsi ai pettegolezzi del paese, segue così diverse tracce e dopo aver parlato anche con un deputato del Partito Comunista, inizia a sospettare che il bersaglio del delitto non fosse Manno, bensì Roscio e che la lettera al farmacista fosse stata inviata solo per confondere le acque. Laurana troverà nel corso delle indagini sempre più conferme alla teoria da lui elaborata: il delitto è scaturito da un complicato miscuglio di questioni personali e beghe di partito di cui Roscio era vittima. Purtroppo per Laurana, la sua umanità, la sua onestà e la sua condizione di uomo solo vengono usate contro di lui e si scopre che quella verità che al protagonista è costata tante faticose riflessioni per i paesani era evidente, ma nessuno aveva intenzione di divulgarla e Laurana viene screditato come “un cretino”.
Ancora oggi, non è facile parlare della figura di Sciascia senza suscitare forti polemiche. Sciascia nel corso della sua carriera fu sicuramente acclamato, ma non si può dimenticare che venne anche aspramente criticato. Fu addirittura oltraggiato con l’appellativo di “mafioso” per aver scritto un articolo intitolato I professionisti dell’antimafia, in cui metteva in guardia dalla retorica della lotta per la legalità in un Paese che fino a pochi anni prima negava l’esistenza stessa della malavita organizzata. Bisogna ammettere che scrisse quell’articolo con un pessimo tempismo e cioè all’alba delle stragi in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma l’unico modo per onorare l’opera insostituibile di Sciascia e l’immenso contributo che ha dato alla vita politica e culturale italiana è quello di leggere quell’articolo e tutta la sua produzione artistica con la stessa onestà intellettuale e senso della giustizia con cui lui l’ha elaborata, e riconoscergli il merito di aver previsto il difficile scenario che viviamo oggi.
Pochissimi giorni fa su Report è stata presentata un’inchiesta giornalistica sull’imprenditore siciliano Antonello Montante, che sembra scritta da Leonardo Sciascia. Montante, elogiato per anni come eroe dell’antimafia, è stato a capo degli industriali siciliani che avevano dichiarato guerra al pizzo, ma da maggio è in carcere con l’accusa di associazione a delinquere per corruzione e per aver creato una rete che spiava politici, giornalisti e magistrati. Sempre pochi giorni fa il Gup di Caltanissetta, Graziella Luparello, ha rinviato a giudizio 12 degli indagati coinvolti nell’inchiesta “Double face”, tra cui proprio Antonello Montante.
La verità giudiziaria è appannaggio solo ed esclusivo della magistratura, ma l’episodio citato si aggiunge a tanti altri della storia italiana moderna – si pensi anche solo a “Mafia Capitale” – che sembrano confermare l’ipocrisia che permea una classe dirigente inadeguata, e troppo spesso collusa con personaggi di dubbia moralità. La circostanza più grave è che questi soggetti umiliano il lavoro di tanti cittadini onesti che con progetti e comportamenti virtuosi dedicano la loro vita al progresso culturale e sociale del Paese. Faccio, ad esempio, riferimento all’importantissimo lavoro svolto dal movimento AddioPizzo in Sicilia o dal Centro Baobab a Roma che offre cure sanitarie, distribuzione pasti, posti letto e assistenza legale ai rifugiati e che da pochi giorni è stato sgomberato per l’ennesima volta dalle forze dell’ordine su sollecitazione del ministro dell’Interno Matteo Salvini.
In A ciascuno il suo, il professor Laurana condivide con la maggior parte dei protagonisti dei libri di Sciascia la sconfitta. E la sconfitta sembra essere una sorte che lo scrittore vede comminata a tutti i cittadini onesti. A oggi, non possiamo dargli torto. Nel 2018 in Italia parliamo di una quarta sanatoria con effetti simili al condono, di pace fiscale, di una riforma della giustizia monca e osteggiata dagli operatori del diritto: insomma, di risposte confuse a problemi urgenti. Il quadro delineato da Sciascia in A ciascuno il suo è molto amaro: mentre le forze politiche giocano la partita del potere, il Paese diventa sempre più violento, prevaricatore, ingiusto, “fascista”, come afferma don Benito dialogando con Laurana.
Sciascia non era un profeta, era semplicemente un intellettuale onesto e credeva fermamente nella giustizia. Il tema di fondo della poetica dello scrittore siciliano fu sempre il rispetto delle regole: “La mafia non si combatte con la tensione delle sirene, dei cortei e della terribilità. La mafia si combatte col diritto,” disse in un’intervista. Il diritto però non deve essere reso inerme da una legislazione ingarbugliata e scritta in malafede per appoggiare interessi individuali.
I protagonisti dei libri di Sciascia sono spesso candidi, al punto da risultare ingenui, nel loro modo di affrontare da soli il malaffare italiano, una guerra che il più delle volte perdono, anche se guadagnano la consolazione della dignità. Insomma, meglio cretini che disonesti. Evidentemente, come scrisse Friedrich Dürrenmatt citato da Sciascia nel suo ultimo romanzo Una storia semplice, questo è il prezzo che in Italia paga chi vuole “scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia”.