Torturata, uccisa e poi sciolta nell’acido. È questa la fine che merita una donna che si ribella alla ‘ndrangheta. Anche se quella donna è la madre di tua figlia. La vita di Lea Garofalo, uccisa dall’ex compagno Carlo Cosco il 24 novembre del 2009, è stata legata a doppio filo alla criminalità organizzata calabrese. A quella realtà di corruzione, omicidi e regolamenti di conti, con cui ancora bambina impara suo malgrado a familiarizzare, Lea decide di dire di no da adulta. Sacrifica se stessa per salvare sua figlia Denise, che è solo un’adolescente ma va incontro allo stesso destino della madre. Lea diventa testimone di giustizia nel 2002, finché sette anni dopo Carlo Cosco non mette in atto il suo piano: togliere la vita a chi ha osato alzare la testa e parlare. Eliminare una donna, la sua ex compagna, solo perché voleva dare un futuro diverso alla figlia.
Nata nel 1974 a Petilia Policastro, in provincia di Crotone, Lea viene allevata da una nonna che le insegna che “il sangue si lava con il sangue”, perché quello è il diktat che la famiglia Garofalo segue da generazioni. Così, quando il padre di Lea viene ammazzato in una delle faide ‘ndranghetiste in cui sono coinvolti i Garofalo, a pareggiare i conti e vendicare l’omicidio sono il fratello di Lea, Floriano, e lo zio, i quali uccidono i fratelli Mirabelli. Lea intanto cresce, respirando l’odore di sangue e morte a cui molti anni dopo, ormai donna e madre, decide di ribellarsi. Anche a costo di non vedere crescere sua figlia. Anche a costo di farsi ammazzare.
A soli tredici anni, Lea si innamora di un giovane che ha quattro anni più di lei e decide di seguirlo a Milano. Lea cerca un riscatto, una redenzione forse. Ma non la trova. L’uomo al quale si è legata si chiama Carlo Cosco e a Milano gestisce insieme ai fratelli – e per conto della famiglia Garofalo – il traffico di droga in via Paolo Sarpi. Passano gli anni, la relazione tra i due prosegue e, agli inizi degli anni Novanta, Lea rimane incinta di una bambina, Denise, che crescerà nello stesso stabile in cui i Cosco subaffittano illegalmente appartamenti ai migranti. Tutto cambia quando, nel 1996, il fratello e il compagno di Lea vengono arrestati nell’ambito dell’operazione “Storia infinita”.
Lea è stanca. Si presenta in carcere da Carlo Cosco e gli comunica la sua intenzione di andare via di casa. Cosco non ci sta e la aggredisce con una rabbia e una violenza tali da costringere le guardie del penitenziario a intervenire per separarli. Lea decide di andare fino in fondo e, insieme alla figlia, si trasferisce a Bergamo. Presto arrivano le azioni intimidatorie: la sua automobile viene bruciata – probabilmente per volere del fratello Floriano, che non accetta le scelte della sorella –, e Lea decide di tornare nel paese di origine. In seguito a una dura aggressione sempre da parte di Floriano, la donna si rivolge ai Carabinieri per diventare collaboratrice di giustizia.
È il 2002, e per Lea e Denise ha inizio un periodo molto duro. Inserite in un programma di protezione testimoni, vivono anni di anonimato spostandosi dalle Marche al Friuli, dalla Toscana al Molise. Finché, nel 2005, Floriano viene ucciso per le colpe di sua sorella Lea, mentre Carlo Cosco torna in libertà e tenta in tutti i modi di scoprire dove vivono l’ex compagna e la figlia. A Lea viene tolta la scorta, poiché ritenuta testimone non attendibile. Impaurita, consapevole di essere bersaglio dei Cosco, la donna si rivolge a don Luigi Ciotti, che la mette in contatto con Enza Rando, avvocata che assiste Lea fino agli ultimi giorni di vita.
Lea e Denise rientrano nel programma di protezione, ma la donna è ormai provata e versa in serie difficoltà economiche. Vorrebbe tornare in Calabria, ma va a vivere a Campobasso: lì Denise potrà frequentare la scuola ed evitare di perdere un anno di studio. Cosco, con la scusa di farle riparare la lavatrice malfunzionante, manda in casa sua un tecnico, che è in realtà l’uomo che ha accettato 25mila euro per rapire Lea Garofalo. Quella mattina Lea si insospettisce e rischia di essere aggredita dal finto tecnico, ma la presenza in casa di Denise la salva dal rapimento. Da alcune intercettazioni in carcere, molto tempo dopo, viene fuori che quel giorno Lea doveva essere prelevata dall’appartamento e poi trucidata: in un furgone, erano già pronti i litri di acido per far sparire il suo corpo.
Qualche tempo dopo, Lea ricontatta Carlo Cosco: vuole infatti che contribuisca al mantenimento della figlia. L’uomo invita allora l’ex compagna ad andare a Milano, così che i due possano parlarne di persona. Sebbene l’avvocata Rando le sconsigli di partire, Lea parte per Milano insieme alla figlia. I primi giorni trascorrono sereni, le tensioni tra Lea e il suo ex sembrano essersi appianate, la donna inizia ad avere meno paura. Ma il 24 novembre del 2009 Carlo Cosco riesce ad attuare quanto premeditato da anni. Accompagna Denise a far visita ad alcuni parenti che vivono a Milano, dicendo alla ragazza che lui deve parlare a quattr’occhi con Lea. Poi fa salire la sua ex in un appartamento in Corso Sempione – che Carlo Cosco si è fatto prestare ad hoc per ucciderla. Ad attendere Lea e Carlo in quella casa c’è Vito Cosco, fratello di Carlo.
Lea viene brutalmente picchiata, torturata e infine uccisa. Il suo cadavere è trasportato a bordo di un furgone in un quartiere di Monza da Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino. Sul furgone è già pronto l’acido, che servirà a cancellare ogni traccia di questa donna colpevole di troppo coraggio. Colpevole, soprattutto, di aver amato sua figlia al punto da volerla sottrarre all’ambiente, marcio e criminale, in cui lei stessa era vissuta e cresciuta. Sarà proprio la figlia Denise a imprimere un’importante svolta alle indagini in seguito alla scomparsa della madre. Quel 24 novembre infatti, quando Carlo Cosco va a prendere Denise, la ragazza gli chiede dove sia finita la madre. Cosco inventa una scusa: la donna gli avrebbe chiesto denaro, e per questa ragione lui avrebbe deciso di lasciarla sola e andarsene. Ma Denise non crede alla versione del padre e va a denunciare la scomparsa di Lea ai carabinieri. La ragazza è disperata, in preda al panico e all’angoscia. Carlo invece appare tranquillo, quasi impassibile. I carabinieri chiedono a Denise di fingere di credere alla versione del padre, così che lui riveli qualche dettaglio importante che possa aiutarli nelle indagini. La ragazza collabora.
Il corpo di Lea Garofalo non viene ritrovato per alcuni anni. Intanto le indagini proseguono portando, nel 2010, all’arresto di Carlo Cosco e dei suoi fratelli. A luglio 2011 inizia il processo, durante il quale Denise testimonia contro il padre. Il processo porta alla condanna alla pena dell’ergastolo, in primo grado, di Cosco Carlo, Cosco Giuseppe, Cosco Vito, Curcio Rosario, Sabatino Massimo e Carmine Venturino. Ed è proprio quest’ultimo che, nel 2012, fa delle importanti rivelazioni sull’omicidio di Lea, che conducono al ritrovamento di migliaia di frammenti ossei e della collana della donna. Nel 2013, durante il processo di appello, Carlo Cosco confessa l’omicidio della ex compagna attribuendosi tutte le colpe. Carmine Venturino fa delle rivelazioni sconvolgenti sulle modalità dell’omicidio e di distruzione del cadavere di Lea. La Corte d’Assise d’appello conferma l’ergastolo per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino; Carmine Venturino viene condannato a venticinque anni di reclusione mentre Giuseppe Cosco è assolto per non aver commesso il fatto. Un anno dopo la Cassazione rende la sentenza definitiva.
A tre anni dalla sua scomparsa si tengono i funerali di Lea. Quel giorno Denise fa il suo personale ringraziamento alla madre, di fronte a una folla di persone accorsa per rendere omaggio a una donna uccisa per troppa dignità. Queste le parole di Denise, che ritroviamo anche nel docufilm per la tv Lea, trasmesso per la prima volta nel 2015: “Lea, la mia cara mamma, ha avuto il coraggio di ribellarsi alla cultura della mafia, la forza di non piegarsi alla rassegnazione e all’indifferenza. La vostra presenza è un segno di vicinanza non solo a lei, ma a tutte le donne e gli uomini che hanno rischiato e continuano a rischiare. Per me è un giorno molto difficile, ma la forza me l’hai data tu. Se è successo tutto questo è stato solo per il mio bene, e non smetterò mai di ringraziarti.”
Oggi Denise è inserita in un programma di protezione e vive nel più completo anonimato, mentre Lea Garofalo, per lo Stato, continua a non essere una vittima di mafia; durante il processo infatti non è stata applicata l’aggravante dell’associazione di stampo mafioso. Ma il sangue di Lea non è stato versato invano. Oggi è giusto ricordare una donna andata incontro alla morte senza traccia di paura o di ripensamento, riuscita con il suo sacrificio a lasciare a sua figlia, come ultimo dono, un futuro lontano dalla mafia. La vita di Lea Garofalo è stata segnata da molta sofferenza e solitudine, prima e dopo il suo gesto di ribellione. Poco tempo prima di morire, infatti, la donna aveva inviato una lettera al Presidente della Repubblica in cui denunciava le carenze del suo programma di protezione, rivelando di sentirsi abbandonata a se stessa e privata di un’esistenza vicina alla normalità. Lea Garofalo è ricordata ogni anno il 21 marzo, nella Giornata della Memoria e dell’Impegno di Libera, la rete di associazioni contro le mafie. In questa data, il suo nome compare nel lunghissimo elenco delle vittime della mafia, come lei morti perché incapaci di rassegnarsi all’etica dell’omertà e per la volontà di combattere una realtà dominata da crimine e corruzione.