“Perché pensiamo all’oceano come a una semplice riserva di cibo, petrolio e minerali? Il mare non è un banco delle occasioni”, sosteneva con preoccupazione il regista, oceanografo, inventore e convinto ambientalista Jacques-Yves Cousteau più di trent’anni fa, purtroppo però i suoi allarmi profetici sono rimasti inascoltati: lo testimonia lo stato di salute dei mari e degli oceani che oggi risulta sempre più fragile e compromesso, sull’orlo del collasso.
Quella di Cousteau è una storia fatta di genio, amore per il mare e sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui cambiamenti climatici. Nato nel 1910 a Saint-André-de-Cubzac, nella regione della Nuova Aquitania, in Francia, da giovane si arruolò nell’Accademia navale di Brest, diventando poi Ufficiale cannoniere della Marina Militare Francese. È da questa esperienza che deriva la sua passione per il mondo sottomarino e per le immersioni subacquee. Nel 1936 sperimentò l’Aqua-lung, il primo tipo di equipaggiamento per la respirazione subacquea, progenitore delle maschere che usiamo ancora oggi. Prese poi parte alla seconda guerra mondiale come spia, e negli anni successivi al conflitto continuò a lavorare come Ufficiale di marina, ideando tecniche per lo sminamento dei porti francesi e per l’esplorazione dei relitti sottomarini.
Dal secondo dopoguerra in poi la sua vita prese una piega inaspettata che lo portò a diventare una vera e propria icona mondiale: nominato presidente delle Campagne Oceanografiche Francesi, nel 1950 affittò, al prezzo simbolico di un franco all’anno, un cacciamine costruito dalla Royal Navy, che ribattezzò Calypso e che venne trasformato in poco tempo in una nave da ricerca e base di supporto per le esplorazioni oceanografiche. Calypso diventò così la sua casa e il mezzo di trasporto che gli permise di esplorare gli oceani, i mari e i fiumi più importanti del pianeta. Insieme alla passione per il mare, crebbe dentro di lui l’interesse per la scrittura e le riprese. Iniziò così ad annotare e riprendere tutto ciò che osservava durante le sue missioni. Il risultato di questo lavoro confluì nel suo primo libro, pubblicato nel 1953, Il mondo silenzioso, che verrà poi adattato in un film-documentario del 1956, Il mondo del silenzio, che gli valse la Palma d’Oro al Festival di Cannes e l’Oscar nella categoria documentari.
Cousteau non è stato solo un regista e un oceanografo, ma anche e soprattutto un inventore. Affascinato dall’idea di poter colonizzare il mondo sottomarino rendendolo abitabile dagli esseri umani, nel settembre 1962 inaugurò l’esperimento Précontinent, che consisteva nell’alloggio di due suoi collaboratori, Albert Falco e Claude Wesny, nella stazione subacquea Diogene a 10 metri di profondità sotto il livello del mare per la durata di una settimana. La struttura, dotata di elettricità, televisore, telefono e acqua dolce, era alimentata dalla superficie. All’interno gli “acquanauti” potevano vivere normalmente, respirando continuamente aria compressa ed effettuando durante il giorno escursioni subacquee fino alla profondità di 25 metri. Un anno dopo lo studioso sviluppò insieme all’ingegnere belga Jean de Wouters una macchina fotografica subacquea chiamata Calypso-Phot, in seguito brevettata dalla Nikon con il nome di Nikonos. Sempre nel 1963 Cousteau replicò l’esperimento dell’anno precedente, stavolta con ben due case subacquee nel Mar Rosso, nella laguna Shaab-Rumi, vicino a Port Sudan, per una durata di tempo più lunga: 28 giorni. La prima casa si trovava a una profondità di 10 metri ed era in grado di ospitare fino a 8 acquanauti, l’altra a 25 metri con una capienza limitata a due inquilini. La casa più piccola venne costruita dagli abitanti della prima, che compirono diverse immersioni a 25 metri di profondità. I due uomini che abitavano la stazione che si trovava più in basso rimasero giù più di una settimana esplorando il fondale fino alla profondità di 50 metri. Questi esperimenti, oltre a rivelarsi molto utili per la raccolta di dati e materiali provenienti dai fondali marini, permisero all’oceanografo di dimostrare la fattibilità della sua teoria dell’homo aquaticus, che prevedeva un’evoluzione della specie umana in grado di adattarsi alla vita subacquea. Una scelta di cui, negli anni successivi, si sarebbe pentito, per via delle pesanti implicazioni ambientali ed ecologiche che questa comportava.
Insieme all’ingegnere Jean Mollard, Cousteau creò poi l’SP-350 – detto anche “Soucoupe plongeante”, per via della della sua forma a scodella – un sottomarino biposto che poteva raggiungeva una profondità di 350 metri sotto il livello del mare. Nel 1965 vennero poi effettuati ulteriori test con due di questi mini-sommergibili che raggiunsero la profondità di 500 metri. Cousteau iniziò a esplorare gli oceani e la vita sottomarina per pura passione e curiosità, ma con il passare degli anni la sua attenzione si concentrò sempre di più sui danni che l’attività umana e il riscaldamento climatico stavano arrecando all’ecosistema marino e alla salute dei mari. Si accorse infatti che le acque e i fondali che aveva esplorato all’inizio della sua carriera, quarant’anni dopo non erano più gli stessi. Per questo decise di impegnarsi in un’ambiziosa opera di sensibilizzazione sulla fragilità e sull’importanza della salvaguardia degli oceani, attraverso i documentari realizzati per la televisione tra il 1966 e il 1976 e la partecipazione a importanti conferenze sul clima.
La personalità di Cousteau come per ogni essere umano era fatta di luci e ombre. L’inventore era un uomo molto pragmatico e per finanziare le sue costose spedizioni si rese disponibile a collaborare con alcune compagnie petrolifere per aiutarle nella ricerca di petrolio sotto i fondali oceanici. Come però spiega lui stesso in un’intervista televisiva, riportata ne Il mondo del silenzio, negli anni Cinquanta non esisteva ancora una grande sensibilità sul tema dei cambiamenti climatici e una reale consapevolezza dell’inquinamento derivante dall’utilizzo dei combustibili fossili. Col senno di poi, non avrebbe mai accettato un incarico del genere.
Cousteau dimostrerà infatti negli anni a venire un genuino interesse per la protezione dei mari e per la loro salvaguardia. E sarà proprio lui che nell’ottobre del 1960 farà evitare lo sversamento in mare di scorie radioattive dell’EURATOM, grazie all’organizzazione di una campagna di protesta pubblica a cui aderirono decine di migliaia di persone. Ancora, nel 1973 decise di rassegnare le dimissioni da presidente della Confederation Mondiale des Activitè Sous Marine (CMAS) dopo aver scoperto che la società organizzava gare di pesca subacquea agonistica a livello internazionale, uccidendo brutalmente ogni anno centinaia di pesci. Tutto ciò non poteva che essere lontano dalle intenzioni di Cousteau, ovvero che questa si occupasse della diffusione della pratica di immersione subacquea e della ricerca in campo marino.
All’età di 81 anni, nel 1992, venne invitato a Rio de Janeiro per la prima conferenza mondiale dell’ONU sull’ambiente e lo sviluppo. In quell’occasione, criticò le grandi nazioni del mondo per ignorare volontariamente i pericoli ambientali del sovrappopolamento, della povertà e dell’uso indiscriminato delle risorse naturali. “Le necessità temporanee o anche le semplici tentazioni hanno purtroppo molta più influenza sul comportamento degli esseri umani del rispetto per la conservazione del nostro patrimonio”, dichiarò Cousteau in quell’occasione. Parole che oggi non ci suonano nuove e che somigliano sorprendentemente a quelle che ascoltiamo nei vari summit sul clima e alle manifestazioni in piazza contro il cambiamento climatico. Sono parole rimaste inascoltate per decenni e questo le rende ancor più inquietanti.
Durante la sua lunga esistenza, Cousteau ha ricoperto diversi incarichi di prestigio e ricevuto molte onorificenze, fra cui il premio internazionale per l’ambiente dell’Onu, insieme a Peter Scott, nel 1977 e la Medaglia presidenziale della libertà, tra le più prestigiose onorificenze statunitensi, il 23 maggio 1985 da parte del Presidente Reagan. Nel 1973 fondò The Cousteau Society, associazione non a scopo di lucro per la protezione della vita oceanica, oggi guidata dalla sua seconda moglie, Francine Cousteau e che conta più di 300mila membri. Otto anni dopo, diede vita ad un’altra associazione no-profit, la Fondation Cousteau, a Parigi, che dal 1992 ha cambiato nome in Équipe Cousteau, e che, dopo la morte dello stesso Cousteau nel 1997, è sempre sotto la guida della vedova Francine.
Cousteau è stato un personaggio pubblico molto amato e allo stesso tempo controverso. Anche se il suo desiderio di fama e di protagonismo ha, in alcuni casi, oscurato il principale obiettivo della sua missione – ovvero quello di informare e condividere con tutti i tesori custoditi negli abissi -, è importante collocare la sua figura nel periodo storico di riferimento, generalmente caratterizzato da una scarsa attenzione alla questione ambientale e alla crisi climatica. Per questo il suo lavoro di documentazione e sensibilizzazione sul valore degli oceani resta senza dubbio fondamentale.
Mosso da un incontenibile spirito di avventura e dalla curiosità tipica degli inventori, Cousteau ha dimostrato anche che non è necessario essere degli scienziati per occuparsi attivamente di temi ambientali e preoccuparsi della salvaguardia degli ecosistemi marini. Un approccio che dovrebbe essere preso come modello soprattutto oggi che gli oceani e i mari sono gravemente minacciati dalle attività umane, dall’inquinamento e dal surriscaldamento globale e che è necessario un impegno condiviso su larga scala per cambiare rotta.
I dati parlano chiaro. Secondo lo studio Upper Ocean Temperatures Hit Record High in 2020, pubblicato sulla rivista internazionale “Advances in Atmospheric Sciences”, la temperatura media globale dell’oceano nel 2020 è stata la più alta mai registrata. Inoltre, i cinque anni più caldi di sempre si sono verificati tutti a partire dal 2015. Questo problema ci riguarda molto da vicino: tra tutte le aree analizzate in questa ricerca, infatti, il Mediterraneo è il bacino che registra il tasso di riscaldamento maggiore negli ultimi anni. Al problema del surriscaldamento globale, poi, si aggiunge quello sfruttamento indiscriminato delle risorse ittiche (secondo i dati forniti da Ispra, il 75% degli stock ittici nel Mediterraneo sono sovrasfruttati) e l’inquinamento delle acque: ogni anno, si stima che finiscano in mare dai 4,8 ai 12,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. La Ellen MacArthur Foundation e il World Economic Forum prevedono che entro il 2050 ci sarà, in peso, più plastica che pesce nell’oceano.
Il lavoro di documentazione e sensibilizzazione di Cousteau ci mostra la varietà di forme di vita e il fascino misterioso del mondo sottomarino, così come la sua estrema fragilità, costantemente minacciata dall’attività umana. Riscoprire quest’uomo che ha ispirato intere generazioni a proteggere gli oceani, può essere di grande ispirazione. Se non proteggeremo gli oceani e la biodiversità del nostro pianeta, tutto questo rischierà di scomparire in pochi anni.