Non ho mai avuto una grande simpatia per social come 4chan, pur essendo un’assidua frequentatrice di Internet. La ragione? Essendo una persona di sostanza, l’unica motivazione che mi teneva lontana dal sito era un’interfaccia piuttosto antiestetica e meme che non trovavo particolarmente divertenti. E così ho passato infinite ore della mia vita su Reddit, ignara che proprio su 4chan si stesse sviluppando, in fase embrionale, una subcultura destinata a giocare un ruolo di fondamentale importanza nelle elezioni del 2016, ma soprattutto a determinare sostanziali trasformazioni nella società e nella politica statunitense, fino al tragico exploit di Charlottesville: mi sono persa l’ascesa della tanto odiosa quanto ormai celebre alt-right.
Perché è proprio su 4chan che hanno potuto sfogarsi tutte quelle voci che si professavano stanche della cosiddetta dittatura del politically correct¸ preoccupate da un presunto declino dei valori e della mascolinità occidentale, in aperto antagonismo con il multiculturalismo liberal, da loro definito “marxismo culturale”. Ma il contrasto non era solo con i democratici, bensì all’interno dello stesso partito repubblicano. Di quest’ultimo la destra 2.0 rifiutava i valori cristiani e quello che veniva percepito come immobilismo di fronte a una presunta minaccia di islamificazione, di un femminismo belligerante (sempre presunto) che minava la fragile virilità dei “poveri” giovani conservatori. Perché la donna è un essere riprovevole, ma fa anche tanta, tanta paura.
E così, tutta una serie di tendenze politico-culturali, che vanno dalla pura e semplice misantropia, spaziando per un più tradizionale razzismo, fino alla totale avversione per tutto ciò che si possa associare alla sfera della femminilità, dopo aver fermentato per anni in silenzio hanno finalmente trovato una piattaforma su cui vomitare tutte le invettive che avrebbero difficilmente avuto modo di essere pronunciate lontane da una tastiera.
Ma l’alt-right non si è sviluppata nel vuoto. Come sostenuto anche da Angela Nagle nel suo libro Kill All Normies: Online Culture Wars From 4chan and Tumblr to Trump and the Alt-right, una delle principali cause che hanno catalizzato le forze dell’estrema destra è stata un’altrettanto esasperata cultura liberal, che ha trovato come principale luogo di espressione Tumblr e i campus universitari statunitensi. Si tratta, in questo caso, di un liberalismo ipersensibile, suscettibile e inquadrato in una severa interpretazione del politicamente corretto. Per dirla in breve, l’opposto speculare di ciò che stava accadendo su 4chan.
Le due tendenze si sono quindi nutrite a vicenda, l’una dando all’altra una giustificazione a esistere.
I troll di 4chan hanno visto nella miriade di diversi generi identificati da alcuni utenti di Tumblr la conferma che forse la rivoluzione sessuale si era un po’ fatta prendere la mano. A loro volta i liberal da tastiera hanno adottato un atteggiamento sempre più difensivo e intransigente di fronte a post che ci aspetteremmo di trovare scritti sui muri del bagno di un’area di servizio. La guerra culturale era partita, e il campo di battaglia era proprio quell’Internet che negli anni Novanta era stato immaginato, forse un po’ ingenuamente, come uno spazio politico utopico privo di conflitti e di dinamiche di dominio.
Ma la domanda che mi sono posta io, e come me migliaia di americani, è stata: cosa ha reso l’alt-right così appetibile e seducente? Una risposta, un po’ semplicistica, potrebbe consistere in due parole: Milo Yiannopoulos. Una risposta un po’ più articolata identificherebbe poi questo individuo come mero poster boy della purulenta corrente socio-politica appena descritta.
Il suddetto Milo Yiannopoulos, Senior Editor di Breitbart, sito di riferimento dell’alt-right fondato nel 2007 e il cui direttore esecutivo, per intenderci, è stato Steve Bannon, ha dato infatti un volto presentabile e addirittura accattivante al movimento, permettendogli di fare il salto di qualità da Internet alla vita reale, soprattutto dopo il controverso Dangerous Faggot Tour. Poco conta il fatto che fosse gay, ebreo, che avesse avuto fidanzati afroamericani e che non fosse nemmeno un cittadino americano. Il trentenne di origini britanniche, con la sua forbita eloquenza e l’accattivante personalità istrionica si è imposto come portavoce del movimento ed è riuscito ad ammaliare una platea che, in media, non sa nemmeno cosa significhi “eloquenza”, presentando più volte l’estrema destra come la nuova vera ribellione, il nuovo punk, per le ripetute smutandate fatte all’establishment repubblicano e agli abbottonati liberal delle coste Est e Ovest.
L’alt-right, avvolta così dal seducente velo della trasgressione e sfruttando le stesse dinamiche di liberazione e sovversione tipiche della controcultura degli anni Sessanta, si è così guadagnata un posto da protagonista nel discorso politico statunitense, conquistando migliaia di giovani esasperati dal clima di castrazione intellettuale di cui si è parlato.
Emblematici sono stati gli scontri nell’Università di Berkley, in passato centro gravitazionale delle controculture della sinistra. La stessa sinistra che ora voleva impedire a Yiannopoulos di tenere l’ultima tappa del Dangerous Faggot Tour perché il suo discorso sarebbe stato, molto probabilmente, un tantino offensivo nei confronti di qualsiasi gruppo demografico non qualificabile come “maschio caucasico”. La data è stata cancellata, per la gioia dei tanti piccoli klansmen in erba, che hanno visto così confermata la loro tesi paranoica della “dittatura del politically correct”.
La decisione di cancellare la tappa di Yannopoulos è stata una scelta producente? È innegabile che tutto il Dangerous Faggot Tour sia stato un decisivo fomentatore dei sentimenti antagonistici tipici dell’alt-right e abbia avuto un ruolo non irrilevante nel portare Trump alla Casa Bianca, o nei più recenti e tragici fatti di Charlottesville. Stento però a considerare come una mossa strategica felice quella di impedire a un soggetto, per quanto urticante possa essere, di tenere un discorso in un America che ha fatto del Primo Emendamento la punta di diamante delle proprie esportazioni.
A Berkley, insomma, si è riprodotta in piccolo quell’insidiosa dinamica che da tempo caratterizza le guerre culturali tra i troll di 4chan e gli animi sensibili di Tumblr.
Ma torniamo ora al paragone fatto da Yiannopoulos tra alt-right e punk, basato sul fatto che l’alt-right, come il punk, sarebbe “divertente, una scelta coraggiosa e il modo migliore per far incazzare i tuoi.”
Non mi sembra particolarmente coraggioso trincerarsi dietro l’orgoglio dell’uomo bianco inneggiando all’odio verso altri gruppi sociali, visti come minaccia verso privilegi che non sono guadagnati, ma sono un semplice precipitato di secoli di oppressione sistematica. Non è stato divertente vedere una stanza piena di colletti bianchi celebrare con saluti nazisti l’elezione di Trump, o assistere all’uccisione della trentaduenne Heather Heyer durante la contro-manifestazione di Charlottesville – guarda caso con lo stesso modus operandi del terrorismo di matrice islamica più recente. Si fa davvero fatica a non cogliere la triste ironia di tutta la vicenda.
Ma soprattutto, non mi sembra particolarmente punk una schiera di esseri non pensanti, con i loro identici cappellini rossi e il loro slogan “Make America Great Again”, che idealizzano e seguono acriticamente qualsiasi figura sia in grado di dar voce alle loro frustrazioni o, più precisamente, millanti di farlo.
Ve l’hanno venduta bene, ragazzi, e voi ci siete cascati in pieno.