Nei primi giorni del gennaio 1915 il quotidiano londinese Times pubblicò la breve cronaca di una partita di calcio che nessuno sapeva si fosse giocata. C’era anche il risultato: 133esimo Reggimento reale sassone batte Scottish Seaforth Highlanders 3 a 2. Le due squadre, formate da soldati tedeschi e britannici, si erano affrontate nella No Man’s Land, la terra di nessuno che divideva le trincee dei due Paesi nemici. Il pallone era uno di fortuna messo insieme con stracci tenuti da uno spago, mentre i confini delle porte erano dei cappotti buttati a terra, eppure quello fu uno dei match più importanti della storia.
La partita diventò l’evento simbolo della cosiddetta “Tregua di Natale”, decisa autonomamente dai soldati in diverse zone lungo la linea del fronte occidentale. Di questa storia i giornali dei Paesi in guerra avevano potuto parlare solo nei giorni successivi al fatto e spesso in maniera “camuffata” per evitare la censura. La partita, infatti, era stata giocata il giorno di Natale a Ypres.
La decisione di smettere di combattere non maturò però da un giorno all’altro. Dopo la prima battaglia di Ypres dell’ottobre 1914, in cui Impero tedesco e forze della Triplice Intesa si erano contesi la città belga e i suoi canali, c’era già stato un reciproco scambio di favori tra i due eserciti, come la decisione di non aprire mai il fuoco durante i pasti.
Temendo che questo clima “cavalleresco” trasformasse la guerra in una recita, per salvare la faccia con i superiori ed evitare la corte marziale, il comandante in capo del corpo di spedizione britannico John French aveva ordinato una serie di offensive durate per tutto l’autunno e concluse solo il 22 novembre, costate migliaia di morti. Nonostante l’ordine di non fraternizzare con il nemico, dopo mesi in trincea i soldati di entrambi gli schieramenti avevano iniziato a sentirsi accomunati dalla stessa condizione, impantanati in uno stallo che li avrebbe costretti a passare le feste di Natale lontani da casa.
Per alleviare la loro condizione, nel Regno Unito erano nati addirittura dei servizi di spedizione per consegnare regali e generi di conforto ai soldati al fronte, facendone arrivare così tanti che chi li riceveva non sapeva più dove conservarli negli spazi angusti delle trincee. Ad aggravare la situazione contribuì anche la pioggia incessante, che terminò solo alla vigilia di Natale. La gelata di quella notte compattò il terreno fangoso e la neve che iniziò a cadere sollevò lo spirito di tutti i soldati.
I tedeschi iniziarono ad addobbare la loro trincea con piccoli alberi di Natale e luci, che con i loro bagliori misero in allarme i britannici facendo loro pensare a un attacco imminente. Tutto cambiò però quando sentirono delle voci oltre la terra di nessuno cantare una melodia che conoscevano bene, anche se con parole diverse: “Stille nacht, heilige nacht”. Era l’inizio della versione originale tedesca di “Silent Night”, in italiano “Astro del ciel”.
Il capitano delle Scots Guards Edward Hulse decise a quel punto di dare un ordine piuttosto singolare, invitando i suoi commilitoni a rispondere con un altro canto di Natale. Il botta e risposta tra le due parti andò avanti per diversi brani, fino a unirsi sulle note di Auld Lang Syne, la canzone tradizionale scozzese con cui molti imparano ancora oggi a suonare il piano. Le canzoni di Natale erano diventate un linguaggio universale in grado di unire e far dimenticare i motivi della guerra.
All’alba della mattina di Natale su entrambi i lati del fronte comparirono alcuni cartelli con scritto “Buon Natale” e “Non sparate, noi non spariamo”. Un soldato britannico decise di superare disarmato il parapetto delle fortificazioni e in un attimo si passò “dallo sparargli in testa alla festa”, come scrisse il tenente del secondo Gordon Highlanders Alfred Dougan Chater in una lettera alla madre. Presi dall’euforia del momento, quasi tutti uscirono dalle trincee e cominciarono a salutarsi nella “terra di nessuno”.
Dopo aver sepolto insieme i corpi dei commilitoni morti, ognuno mise a disposizione quanto possedeva per festeggiare insieme il Natale. Nel diario di campo del 133esimo Reggimento Sassone, si parla addirittura di qualcuno che iniziò a tagliare i capelli ai soldati nemici in cambio di un paio di sigarette. Inglesi e tedeschi si scambiarono cioccolata e marmellate, oltre a memorabilia militari e parti delle divise. Qualcuno si fece anche fotografare in gruppo, scena riprodotta quasi cento anni più tardi nel film francese Joyeux Noël, nominato nel 2006 all’Oscar come miglior film in lingua straniera.
Quel giorno i soldati si parlarono per la prima volta dallo scoppio della guerra nell’agosto 1914, spesso con risultati surreali: esiste per esempio una lettera di un ufficiale britannico, sorpreso dal fatto che un suo omologo tedesco dicesse di combattere per la libertà: “Non eravamo noi a farlo?”, si chiedeva l’uomo. In guerra, al fianco dei britannici, c’erano anche tanti soldati delle colonie dell’Impero, soprattutto indiani che non avevano mai vissuto il Natale, ma che conoscevano bene il Diwali, una festa che ricorda la vittoria del bene sul male e dove le luci hanno una parte centrale. Quando i soldati indiani videro gli alberi addobbati si ricordarono Diwali e si fecero contagiare dall’atmosfera, al punto che alcuni di loro finirono a fumare sui parapetti delle trincee insieme ai tedeschi.
Come ha ricordato George Paynter del secondo Scots Guards in una lettera, “un (loro) ufficiale si è presentato al nostro con una sciarpa come segno di gratitudine per la premura nel curare i loro feriti. Quella stessa sera, un attendente tedesco ha attraversato la terra di nessuno ed è poi tornato indietro con un paio di guanti di lana per ricambiare il regalo ricevuto. A donarli è stato il maggiore Thomas, che li aveva appena ricevuti come regalo di Natale da casa”.
Come tanti altri protagonisti di questa storia, Hulse non avrebbe più visto un altro Natale. Morì soccorrendo un commilitone ferito appena tre mesi dopo. Aveva 25 anni. Le sue lettere dal fronte furono pubblicate solo molti anni più tardi.All’insaputa di tutti, Hulse compreso, episodi simili si verificarono lungo tutta la linea del fronte, coinvolgendo almeno 100mila soldati. Il famoso tenore tedesco Walter Kirchhoff si ritrovò a cantare per i ragazzi del 130esimo reggimento Württemberger, ma anche per le truppe nemiche, che avevano gradito l’esibizione al punto da chiedere il bis.
A parlare di quello che successe furono prima i giornali statunitensi, con il New York Times che rivelava la notizia già il 31 dicembre, e solo in seguito i giornali britannici più tendenti all’autocensura. L’8 gennaio 1915, il Daily Mirror fu più coraggioso del Times, che aveva mascherato la notizia facendola passare per una cronaca sportiva: il giornale uscì infatti con una fotografia di gruppo dei soldati britannici e tedeschi in prima pagina. In Germania le lettere dei soldati dal fronte furono invece pubblicate solo in qualche raro caso e sempre scegliendo quelle dal contenuto meno pericoloso per l’impatto previsto sull’opinione pubblica. In molte parti del mondo si decise addirittura di sorvolare su quanto accaduto, mentre in Italia la notizia fu confinata in brevi trafiletti, a eccezione della Nazione di Firenze, che pubblicò un reportage: “L’accordo era completo. I tedeschi nella notte di Capodanno avevano ornato l’orlo della trincea di lampioncini multicolori e per tutta la notte cantammo, ora essi ora noi, le più gaie canzoni. All’alba potremmo anzi combinare una partita di football. Mai più squisita cortesia regnò giuocatori di due teams. Però intanto, all’intorno, vari compagni nostri erano caduti per lo scoppio di qualche shrapnel venuto da lontano e sospendemmo la partita per seppellire i morti, a cui da entrambe le parti furono resi gli estremi onori”.
Il capitano inglese J.C. Dunn ricordò che già il 26 dicembre, tutto tornò più o meno alla normalità, anche se in alcuni settori la tregua resse fino a Capodanno. Gli Stati maggiori avevano lavorato per allontanare il clima di quei giorni, minacciando la corte marziale per chiunque avesse fraternizzato con il nemico. Negli anni successivi si arrivò a pensare di bombardare le trincee nemiche nei giorni prima di ogni Natale per evitare che l’episodio si ripetesse. I reggimenti iniziarono inoltre a essere spostati in altre zone del fronte dopo un tot di tempo. Sul Manchester Guardian di quei giorni in un reportage si poteva leggere che “I soldati francesi e tedeschi che avevano così fraternizzato si sono in seguito rifiutati di aprire il fuoco sul nemico, e hanno dovuto essere rimossi dalle trincee e sostituiti da altri uomini”. Fu uno degli ultimi articoli sull’accaduto. Da febbraio nessuno accennò più della tregua, per ordine della censura militare.
Della Tregua di Natale si tornerà a scrivere solo decenni dopo. Leggendo questa storia tornano alla mente i versi di Rudyard Kipling dedicati alla prima guerra mondiale. Nella poesia Common Form, l’autore de Il libro della giungla scriveva: “Se qualcuno chiederà perché siamo morti ditegli: perché i nostri padri ci hanno mentito”. Un pensiero simile si ritrova anche in una delle tante canzoni dedicate alla Tregua di Natale, Christmas in the Trenches di John McCutcheon. Nel suo pezzo del 1984, il cantante si mette nei panni del soldato Francis Tolliver di Liverpool, per ricordarci che “Ogni Natale dopo la prima guerra mondiale mi ricordo la lezione che (la guerra) mi ha insegnato. Che quelli che chiamano i colpi non saranno tra i morti e gli zoppi e che, a prescindere dall’estremità del fucile che abbiamo di fronte, siamo uguali”.