La Le Mans è la gara automobilistica più vecchia del mondo. Dura 24 ore e mette a dura prova efficienza e resistenza delle automobili e dei piloti, ma non senza conseguenze; al primo giro della 24 ore di Le Mans del 1937, René Kippeurth viene catapultato fuori dall’abitacolo della sua Bugatti 44 e centrato dalla BMW di Pat Fairfild: muoiono entrambi. Nel 1949, all’ultima ora, l’Aston Martin di Pierre Marechal sbaglia un sorpasso e si schianta, uccidendolo. Nel 1951, la Ferrari 212 guidata da Jean Lariviere vola fuori dal circuito, e Lariviere muore decapitato da ufn cavo d’acciaio. Nel 1953 la Ferrari 340 di Tom Cole esce di strada a 170 chilometri all’ora; lui viene sbalzato fuori dall’abitacolo e si sfracella contro il muro di una casa. Nel 1955, la Mercedes 300 SLR di Pierre Lavegh si scontra con l’Austin-Healey di Lance Macklin, si solleva in aria e piomba tra gli spalti a oltre 100 chilometri all’ora in una pioggia di schegge d’acciaio, benzina e alluminio incandescente: muoiono i due piloti insieme a 83 spettatori. Nel 1956 Louis Hery muore arso vivo nella sua Monopole X86, nel 1958 la Jaguar di Jean Brussin sbanda per la pioggia, si capovolge e viene centrata dalla Ferrari di Bruce Kessler; Brussin muore nell’impatto. Al pubblico non importa, e aumenta ogni anno. Agli inizi degli anni ’60, qualunque pilota partecipi alla Le Mans entra nell’abitacolo consapevole che potrebbe morire.
Piero Ferrari, nel documentario “The 24 Hour War”, racconta che a suo padre Enzo non è mai interessato vendere automobili, solo farle gareggiare. Uscito dall’Alfa Romeo nel ’29, nel 1947 usa i soldi della buonuscita e compra un’officina a Maranello, in provincia di Modena, dove progetta la sua prima macchina: la Ferrari 125S. L’Italia è devastata dai bombardamenti e in mezzo a tanta rovina sembra un’idiozia creare un’auto da corsa. Invece è l’opposto. La gente ha bisogno di speranza, emozioni e futuro; guardare correre la prima Ferrari 125S fa sognare un popolo stremato dalla miseria che in quell’abitacolo rosso vede se stesso, il proprio desiderio di andare avanti e lasciarsi velocemente tutto alle spalle.
La 125S vince il Grand Prix a Caracalla e diventa subito un’icona. Nel 1949 viene ripristinata la gara di Le Mans, Ferrari si presenta con la 166 Barchetta guidata da Luigi Chinetti e stravince, conquistando i cuori di tutto il mondo che in quella piccola auto rossa vede lo spirito di una nazione rinata e ansiosa di riguadagnarsi il rispetto di tutti. A Maranello, però, le cose non sono così semplici: i soldi che vince con le gare, Ferrari li reinveste subito per migliorare le macchine, e ha sempre meno liquidità. A quel punto, è proprio Chinetti, il suo pilota italiano con cittadinanza americana, a suggerirgli di creare delle auto da strada. A malincuore Enzo accetta e Chinetti immette le prime rosse sul mercato statunitense dove non c’è concorrenza: l’automobile, lì, ha una filosofia diversa. Dev’essere un salotto su quattro ruote, capace di garantire comfort a discapito della velocità.
Henry Ford II non prende bene quest’invasione di campo, ma dopotutto non è il suo settore: così come i suoi concorrenti, Chrysler e General Motors, ha concordato di non entrare mai nel mondo delle corse e di sfidarsi solo a colpi di marketing. Eppure c’è un problema: le vendite calano per tutti. Fanno allora un’indagine di mercato e scoprono che i padri di famiglia hanno già una macchina, ma quelli che dovrebbero comprarne di nuove hanno 16-17 anni, e non vogliono affatto l’auto “dei vecchi”: vogliono potenza, aggressività e velocità. Sbavano sui bolidi che gareggiano a Le Mans e infatti, il giorno dopo la gara, la casa che ha prodotto l’automobile vincente ha sempre un’impennata di vendite. Henry Ford II rifiuta di vedere il problema e pretende che anche GM e Chrysler rispettino l’accordo, cosa che fanno solo ufficialmente.
In realtà hanno già capito che il “ban” delle corse è destinato a finire e stanno già lavorando sui loro prototipi. Nel 1957, a sorpresa, la GM presenta a Daytona la sua prima corvette. Corre, vince e gli Stati Uniti si precipitano a comprarla. Per tutta risposta, Ford conduce una campagna pubblicitaria aggressiva basata sulla sicurezza delle sue auto che esce lo stesso giorno in cui la Ferrari ha trionfato alla Le Mans. Apre i giornali automobilistici e vede le sue belle reclàme strette tra articoli sulla Ferrari, e in un’intervista dichiara: “Spendo miliardi in pubblicità e questo meccanico finisce sui giornali di tutto il mondo senza spendere una lira.” Pochi giorni dopo, la risposta di Enzo è lapidaria: “Se Ford vuole finire sui giornali gratis, basta che si compri una Ferrari.”
Gli americani prendono molto sul serio le provocazioni, così Henry Ford II decide che non comprerà una Ferrari: comprerà la Ferrari. Offre a Enzo di cedergli l’azienda per 12 milioni di dollari, circa sette miliardi e mezzo di lire dell’epoca. Ferrari ha perso suo figlio Dino, non ha eredi, non naviga in belle acque e si dichiara disponibile a una trattativa. Nasce l’idea di una fusione Ford-Ferrari con due mercati separati, ma Enzo non è un ingenuo e va a chiedere consigli a Gianni Agnelli. Lui gli dice di non vendere a patto di un contratto poco vincolante, e che eventualmente lo avrebbe aiutato lui. Quando la delegazione di Ford arriva per la firma sul contratto finale infatti c’è una sorpresa: Ford pretende di avere l’ultima parola e il diritto di veto su dove e come far correre la Ferrari, estromettendo completamente Enzo.
Don Frey, Senior Manager della Ford e parte della delegazione che arrivò a Maranello per la firma del contratto, racconta che Enzo, con la sua famosa penna stilo a inchiostro viola, sottolineò due passaggi e scrisse di fianco “Non ci siamo!”. Alzò gli occhi e disse “Io non voglio correre a Indianapolis: bye bye,” poi si alzò e se ne andò con l’avvocato a pranzo. Per Ford, un uomo abituato ad avere tutto quello che vuole, quel moto di orgoglio è un affronto personale: decide di vendicarsi e umiliare Ferrari nel suo territorio. La voce della sfida si spande come un’onda d’urto. Negli Usa, Ford raduna chiunque abbia battuto la Ferrari. Trova Carroll Shelby, pilota Aston-Martin vincitore della Le Mans del 1959 che aveva declinato un’offerta di lavoro proprio alla Ferrari e si era ritirato dalle gare per un problema cardiaco ereditario, finendo a gestire una piccola officina. Ford la compra, lo mette a capo del progetto “Ford Advanced Vehicle” e gli dà pochi mesi per creare ex novo una macchina capace di battere la Ferrari. Nasce così la prima Ford GT 40 mk 1.
In Italia, invece, c’è un problema: Laura, la moglie di Ferrari, si lamenta che non lo vede mai, così lui decide di metterla a lavorare con lui. In poco tempo tutta l’officina gli si rivolta contro, dicendo che sua moglie non sa lavorare e crea solo problemi. Il responsabile officina si presenta nel suo ufficio dicendogli che o se ne va lei, o se ne va lui. Enzo non ha dubbi, e lo mette alla porta. Insieme al responsabile se ne vanno anche specialisti, tecnici e meccanici. In una giornata i vertici di Maranello vengono azzerati, e così Enzo si rivolge a Mauro Forghieri, un meccanico di appena 26 anni, e lo nomina responsabile. Lui non si sente pronto, ma idolatra Enzo e promette di fare del suo meglio. Comincia così dal motore: per creare una nuova Ferrari, decide di usare sempre il loro 12 cilindri che è potente ed elastico, ma di posizionarlo sul retro della macchina. È una proposta inaudita: la Ferrari ha sempre avuto il motore anteriore e tutta la fabbrica insorge, secondo il vecchio adagio che recita “i cavalli non si mettono dietro alla carrozza.” Anche Enzo ha qualche dubbio, ma sceglie di dare fiducia a Forghieri e così costruiscono un prototipo, lo mettono in pista e in pochi giri polverizza tutti i record. È il 1963 ed è appena nata la Ferrari 250P, che l’anno successivo verrà migliorata diventando la Ferrari 275 P.
Alla 24 ore di Le Mans del 1964 arrivano centinaia di migliaia di persone. La Ford mostra per la prima volta al pubblico la GT40. Fin dalla partenza le due macchine mostrano di avere le carte in regola per vincere, ma alla tredicesima ora il motore della prima prende fuoco, e la seconda poco dopo. Nessuna Ford finisce il tragitto; le Ferrari vincono arrivando seconda e terza, mentre la folla deride le auto dei vecchi che hanno provato a giocare contro i giovani. Ford non la prende bene, torna negli Usa e fa fuoco e fiamme contro Shelby: ha un anno di tempo per progettare una GT capace di fare il doppio di quello che le prime non hanno saputo fare, e vincere. Shelby risponde creando la mk2.
La provano alla 12 ore di Sebring nel 1965, sotto una pioggia torrenziale, visibilità ridotta e asfalto tutt’altro che drenante. Per la prima volta Ford taglia il traguardo e finisce sotto gli occhi di tutti. All’inizio della Le Mans del 1965, gli spalti sono stracolmi e l’eccitazione è alle stelle. La GT40 stacca subito la Ferrari e alla fine del primo rettilineo le rosse non sono nemmeno più visibili dallo specchietto, ma è presto per cantare vittoria. I motori Ferrari sono meno potenti ma più complessi, il genio di Enzo sta proprio nella sua capacità di creare motori elastici capaci di resistere nel tempo a qualsiasi sollecitazione, mentre la mk2 è una belva che sussulta e ha molte imprecisioni. Su un tragitto di pochi chilometri stravince, ma far andare un motore per 24 ore è un altro discorso. E infatti le macchine cadono a pezzi una dopo l’altra. Anche la Ferrari taglierà il traguardo con una macchina sola, ma questo le basterà per vincere la gara. “It was murder italian style”, titolano i giornali americani.
Enzo Ferrari, per far sapere agli ingegneri che è deluso, ogni volta che un pezzo di una macchina si rompe o non funziona bene, invece di buttarlo lo espone in un enorme scaffale nel suo ufficio che chiama “Il museo degli orrori”. Ford ha un altro approccio: quando realizza che per far costruire la macchina perdente ha speso somme indescrivibili, licenzia gli ingegneri e i meccanici, poi mette Shelby al muro e gli dice che farà bene a vincere la Le Mans del 1966 se vorrà ancora avere un lavoro. Shelby riprogetta il motore e fa costruire una macchina che simula il circuito di Le Mans con accelerazioni, rallentamenti e cambio marce; per quei tempi è fantascienza. Gli ingegneri lo testano fino a 40 ore filate, e questa volta tiene. Nasce la Ford GT40 mk2V. Ne vengono presentati quattro esemplari alla Daytona e ne vincono tre. E alla 12 ore di Sebring replicano.
Ferrari si rende conto di non avere i mezzi e la potenza economica di Ford, e soprattutto che il suo avversario americano non gioca pulito. Il colosso di Detroit infatti manda dei suoi emissari in Italia per sedurre ingegneri e meccanici offrendo loro uno stipendio triplo, con casa, auto e università pagata per i loro figli. A Ford interessa soprattutto Mauro Forghieri, quel ragazzino diventato in fretta capo officina. Lui però vede in Enzo Ferrari un padre spirituale che ha creduto in lui prima di tutti, e rifiuta. Ormai la lotta è senza quartiere, e alla vigilia della Le Mans il desiderio di vittoria fa la prima vittima.
Durante le prove su circuito c’è una pioggia torrenziale e Walt Hansgen, a bordo della GT40, va troppo piano perché la macchina è instabile. Via radio i tecnici gli fanno pressioni perché acceleri e lui a una curva sbanda a 180 chilometri all’ora sfracellandosi contro una parete. Il giorno dopo è già stato rimpiazzato. Ford schiera otto GT40 mk2 e Ferrari sette P2. Alla sesta ora, quattro Ferrari e quattro GT sono a pezzi, ma alla fine una GT la spunta. È la prima vittoria americana a Le Mans, gli Stati Uniti festeggiano e il mondo stabilisce che la gara del prossimo anno sarà la sfida finale. È da questa consapevolezza che le due officine creeranno due tra le macchine più belle della Storia.
Ferrari prende le sue P3 e ci mette tutto il suo genio: migliora cambio e sospensioni, allunga il passo e ci mette un motore nuovo. Alla fine di questi lavori, da Maranello esce la Ferrari “Barchetta” P4-0846. Quando la portano alla Daytona del 1967, il pubblico americano resta a bocca aperta: durante la gara alle GT40 si rompe la trasmissione, mentre le tre P4 di Ferrari tagliano il traguardo. Per Ford è l’insulto supremo. Ora ha solo due possibilità: o vincere la Le Mans, o ritirarsi prima. Pressa di nuovo Shelby a causa di un problema di stabilità in corsa, e così lui ha il colpo di genio: decide di portare la GT40 nella galleria del vento, e la ridisegna più aerodinamica. Il risultato è la GT40 mk4, che oltre a essere una macchina di un’eleganza inaudita, ha prestazioni eccezionali. Nel 1967, prima della sfida finale la testano alla 12 ore di Seabring, dove Ferrari non gareggia. Il risultato è che le mk4 fanno 7-8 secondi in meno della mk2.
Ford è pronto e il 19 giugno 1967 guarda Enzo Ferrari mettere in campo le sue P4 tra il pubblico che tiene il fiato sospeso. Partono benissimo entrambe, lasciandosi alle spalle tutti gli altri concorrenti. Durante la 24 ore, però, nei rettilinei la velocità è tale che i parabrezza in plexiglass di entrambe si fessurano, compromettendo la velocità. Il lunotto in plexiglass è un pezzo difficile da fare ed estremamente costoso. La Ferrari ne ha tre di scorta: si rompono uno dopo l’altro. Ford, invece, se ne fa arrivare dodici con un volo privato da Detroit. Le P4, comunque, non riescono a stare dietro alla velocità delle mk4 e restano indietro, permettendo alla Ford di tagliare il traguardo al primo, secondo e terzo posto. Quando Dan Gurney scende dall’auto, gli spalti sono in delirio. Qualcuno gli passa una bottiglia di champagne e lui, per la prima volta nella storia dello sport, invece di berlo subito lo scuote e lo spruzza sul suo team, come a significare che la vittoria è di tutti loro, non solo sua. È un gesto così spontaneo e bello che verrà adottato da tutti i piloti a seguire. Sugli spalti, Ford è raggiante: ha vendicato il suo onore ferito e messo al suo posto quel meccanico di Maranello che aveva osato rifiutare la sua offerta. I soldi, in fondo, possono quasi tutto.
Da quel 1967 la Ferrari non vincerà più la Le Mans. La vita ha il suo macabro senso dell’umorismo: Ford morirà nel 1987, Enzo l’anno dopo.