Il 15 novembre del 1933, nello stesso palazzo di Torino dove Antonio Gramsci fondò il periodico L’Ordine Nuovo, si sta riunendo un gruppo di ragazzi. Nessuno di loro ha più di venticinque anni e si chiamano tra loro con soprannomi che oggi potrebbero appartenere ai personaggi di una serie tv. In una stanza al terzo piano di Via dell’Arcivescovado 7 si trovano Cesare Pavese, anche detto “Ces” o “ Il Barone”, Norberto Bobbio, che per gli amici diventa semplicemente “Dindi”, e Leone Ginzburg, che è ormai per tutti “il barbuto lion dei Monti Urali” a causa delle sue origini russe. A completare il gruppo ci sono Massimo Mila e il più giovane di tutti, Giulio Einaudi.
I ragazzi si sono incontrati per dare vita a un progetto su cui fantasticano da tempo: fondare una casa editrice libera e indipendente in un’Italia dove gli uomini di Mussolini lavorano per censurare chiunque contesti il fascismo. Giulio Einaudi è tra tutti quello con maggior spirito imprenditoriale e ha le spalle più coperte degli altri, essendo il figlio di Luigi Einaudi, importante economista e futuro secondo Presidente della Repubblica. Per questo decide che la nuova creatura si chiamerà Giulio Einaudi Editore e sarà guidata proprio dal ragazzo nato nel cuneese.
Giulio può quindi dedicarsi alla sua passione per la lettura, ereditata dal padre, che spesso lo manda a ritirare i pacchi di libri ordinati dalle più importanti librerie d’Europa. Aprire quelle buste con dentro volumi di ogni tipo è un piccolo rito in casa Einaudi. Non stupisce quindi che a scuola Giulio si distingua nei temi. Fa più fatica con il latino, tanto da venire rimandato dal professor Augusto Monti. Monti verrà arrestato nel 1935 per antifascismo e sconterà la pena dopo il suo rifiuto di firmare la domanda di grazia. Prima della condanna Monti è una figura di riferimento per gli studenti del liceo classico D’Azeglio di Torino, che lo considerano un esempio di impegno civile. Il professore indirizza anche la vita di Einaudi, che di lui ha scritto: “Monti riuscì a farmi toccare con mano il divario tra la cultura accademica e quella aderente alla vita”. È lui a mettere in contatto Giulio con Massimo Mila, suo ex allievo. Mila dovrebbe aiutarlo con il latino, ma tra loro nasce un’amicizia che va oltre le ripetizioni e Einaudi viene presto introdotto da Massimo nella “Confraternita”.
La Confraternita è formata da un gruppo di ragazzi che si ritrovano nei bar per parlare di letteratura, ma anche della situazione politica del Paese. Sono tutti ex allievi di Monti influenzati dalla sua visione della cultura come strumento di emancipazione. Ricordano “la setta dei poeti estinti” protagonista de L’Attimo Fuggente, anche se gli insegnamenti di Monti spingeranno alcuni a progettare qualcosa di molto più rischioso: non vogliono infatti “cogliere l’attimo”, ma imporre clandestinamente una nuova visione, pubblicando libri che diano voce a una generazione che il regime vuole mettere a tacere. I cinque ventenni che fondano la Giulio Einaudi sono tutti usciti da una scuola che li ha formati anche come uomini, dando loro una forte coscienza sociale e politica.
Come testimonia Bobbio, “Si pensò che per lanciare la casa editrice valeva la pena fondare una rivista. Una rivista di cultura, ma che facesse passare attraverso articoli culturali dei messaggi politici”. Einaudi rilancia così nel 1934 la testata La Cultura che, per più di un anno, ospita contributi di intellettuali critici verso il fascismo. La rivista ha come direttore Cesare Pavese, l’unico che ha preso la tessera del partito pur di scrivere, ma questo non basta per sfuggire alla censura e il 9 marzo 1934 la polizia invia una nota alla segreteria di Mussolini: nel documento si informa il dittatore che anche a Torino si sono svolte riunioni volte ad “aggruppare gli azionisti o sovventori”. Nell’agosto di quell’anno, il Duce stesso sul Popolo d’Italia comunica il suo sdegno per la pubblicazione del primo libro di Einaudi Che cosa vuole l’America? di Henry Agard Wallace.
La repressione fascista passa in fretta alle vie di fatto. Ginzburg, scoperto a stampare clandestinamente un giornale, è il primo a essere arrestato e dopo di lui vengono fermati anche Einaudi, Pavese e Mila. La pubblicazione de La Cultura è sospesa mentre Ginzburg viene imprigionato a Civitavecchia e Pavese deve scontare due anni di confino. Einaudi dopo due mesi lascia il carcere ma con forti limitazioni: non può uscire dopo le otto di sera e non può allontanarsi da Torino senza autorizzazione.
Anche se la testa dello struzzo di Einaudi è stata tagliata, l’editore non demorde. Quando nel 1936 Pavese e Ginzburg tornano in libertà, tengono in vita la casa editrice con risorse limitate fino al 1940, finché arrivano da Roma nomi nuovi come Giaime Pintor e la compagna di Leone, Natalia, che cattura l’atmosfera di quegli anni in Lessico Familiare, raccontando di come neanche due sedi bombardate avessero fermato l’attività. Dopo il secondo bombardamento Einaudi reagisce con tipico aplomb piemontese: controlla cosa sia rimasto in piedi dell’ufficio e torna a correggere le bozze come se nulla fosse.
Nel nuovo gruppo c’è anche Ernesto Ferrero, che spiega bene la filosofia di Einaudi: “’La casa editrice era un’impresa senza la consueta struttura gerarchica e con alla base un pensiero del padre di Giulio, che nel 1921 aveva scritto che il sale della democrazia era il confronto tra le idee, lo scontro dialettico rispettoso dell’altro. Sul lavoro quindi non cercava mai l’unanimità, ma tutto nasceva da scambi e dibattiti anche duri, avendo voluto attorno un gruppo di persone di grande valore e indipendenza”. Einaudi arriva a scatenare di proposito il dibattito, proponendo anche opere contro la linea editoriale solo per stimolare la ricchezza delle opinioni dei suoi collaboratori.
Nella casa editrice lavorano persone dalle opinioni più diverse accomunate però da una particolare curiosità per tutto ciò che arriva dall’estero. Giulio, in particolare, condivide le idee del padre che, già nel 1918, auspicava un’Europa unita senza più Stati sovrani “egoisti e schierati a difesa dei propri interessi”, e investe nelle traduzioni curate principalmente da Pavese. Negli archivi Einaudi è conservata una lettera del 1938 in cui Gertrude Stein autorizza la traduzione della suo libro su Alice Toklas, poi pubblicato nel 1938. Nei mesi in cui il fascismo si scopre antisemita e finge di ignorare l’esistenza della comunità LGBT italiana, Einaudi propone ai lettori un libro scritto da un’ebrea dichiaratamente lesbica.
La situazione, però, precipita con la seconda guerra mondiale: i Ginzburg sono costretti dalle leggi razziali al confino in Abruzzo e nel 1944 Leone muore in carcere. Giaime Pintor perde la vita nel dicembre del 1943 mentre tentava di raggiugnere i partigiani, mentre Einaudi fugge prima in Svizzera, per poi unirsi alla Resistenza nelle Brigate Garibaldi. Nell’ottobre 1944 viene inviato in missione a Roma, dove conosce Togliatti. Il segretario del Pci, vedendo in Einaudi un possibile interlocutore, lo autorizza a pubblicare per la prima volta Le Lettere dal carcere e I Quaderni di Gramsci. Questa scelta sarà poi motivo di diverse incomprensioni: Benedetto Croce, per esempio, si lamenterà con il padre di Giulio di una Einaudi a suo dire “apertamente e notoriamente legata alla propaganda russo-bolscevica”. In realtà, diversi episodi dimostrano l’indipendenza politica della casa editrice, come la polemica tra Togliatti e Elio Vittorini, con quest’ultimo che si rifiuta di “suonare il piffero della rivoluzione” sul Politecnico, rivista edita da Einaudi che lui stesso dirige.
A interessare Giulio è la validità culturale di un’opera, non il suo valore ideologico o commerciale: “Per validità culturale intendo sia Benedetto Croce che Gramsci, e certamente quando si discuteva di libri in casa editrice, quando uno diceva ‘questo libro si vende’, io dicevo ‘me ne infischio che si vende, è un libro importante questo qui, o no? Serve al dibattito, serve alla formazione dell’individuo, serve a discutere, c’è qualcosa dentro, sì o no?’ Se era sì si faceva e si prescindeva dalle possibilità commerciali”.
Einaudi è stata fondata per diffondere la cultura e Giulio non ragiona come un vero imprenditore. Quando, in piena seconda guerra mondiale, scrive a Montale per proporgli di curare un libro sui poeti si vede rispondere: “Pubblicherebbe piuttosto la raccolta delle mie poesie posteriori a Ossi di seppia? In mille copie da vendere a dieci lire l’una?” Sembra un suicidio commerciale, ma l’editore accetta, inaugurando con Le Occasioni la collana sulla poesia. Non è un caso isolato. Nel 1974 esce direttamente in edizione economica La Storia di Elsa Morante. Il libro si apre con il verso di Vallejo “Por el analfabeto a quién escribo” utilizzato come dedica e ha un prezzo basso per volere dell’autrice: il libro deve essere alla portata di quegli ultimi che si rivedranno nei protagonisti.
La logica di Einaudi ubbidisce solo a quella che Bobbio nel 1952 definì “politica della cultura”: una politica fondata sul dialogo e fatta dagli uomini di cultura per i fini stessi della cultura. Il rifiuto delle questioni commerciali e di qualunque tipo di aiuto economico che ne minacciasse l’indipendenza, porta la Einaudi ad avere enormi debiti e nel 1983 la casa editrice viene commissariata. Nel 1994 Einaudi entra a far parte della galassia Mondadori, mentre il suo fondatore Giulio muore nel 1999, ultimo tra i ragazzi di via dell’Arcivescovado.
In un mondo relegato nella perenne nostalgia e in quello che il filosofo Michel Serres chiamava “declinismo”, ha ancora più senso ricordare l’invito di Giulio Einaudi a guardare avanti, proponendo “delle cose provocatorie, che anticipino i tempi in cui si vive. Non che siano sempre indietro, che siano piuttosto delle prospettive”. Abbiamo ancora bisogno di idee coraggiose, animate dal dialogo e dalla “politica della cultura”, come quella casa editrice nata dall’ambizione di un gruppo di giovani nella Torino di 86 anni fa.