Immaginate di trovarvi a un convegno di medicina, nel quale interverranno i migliori medici e ricercatori del pianeta. Seduti al vostro posto, ascoltate l’intervento del primo relatore, il quale sostiene con convinzione che, dal momento che la medicina non è riuscita a debellare il cancro, ha irrimediabilmente fallito nel suo scopo principale. Di conseguenza, essa è ormai da considerarsi obsoleta, inutile e morta. In tali circostanze, è prevedibile che il pubblico reagirebbe contestando con foga una tesi del genere, obiettando magari che è proprio perché il cancro non è ancora stato debellato che la medicina e la chimica farmaceutica sono più che mai necessarie, essendo le uniche cose potenzialmente in grado di liberare l’umanità da tale malattia. Sarebbe quindi ridicolo e irragionevole proclamare la morte della medicina in tali circostanze, specialmente se chi lo afferma facesse parte del mondo della medicina stessa.
Lo stesso ragionamento, partendo da un’ipotesi analoga, dovrebbe valere per qualsiasi altra disciplina. Eppure, se la situazione prospettata in apertura si svolgesse a un convegno di filosofia, è molto probabile che le cose andrebbero diversamente. Capita infatti molto spesso che filosofi e intellettuali oggi annuncino, con toni trionfali o rassegnati, la morte della filosofia a causa dell’avvento dell’epoca della “post-verità”. La filosofia viene quindi ormai ritenuta un corpo morto, un fardello, tuttavia, così come la medicina è necessaria proprio perché il cancro non è ancora stato sconfitto, la filosofia è indispensabile in un contesto come il nostro, caratterizzata da crisi – economica, sociale, ambientale – instabilità ed estremismi politici.
Già nel 2011, Stephen Hawking affermava apertamente che la filosofia era morta, in quanto i filosofi non erano riusciti a mantenersi al passo con il progresso scientifico. A quel punto, secondo lui, toccava alla scienza (e alla fisica in particolare) rispondere a quelle che una volta erano state le domande tradizionali della filosofia, come ad esempio: “Perché siamo qui?” o “Da dove veniamo?”. Gli scienziati nel corso del tempo sembrano infatti aver raccolto il testimone della filosofia ed essersi fatti carico di portare a compimento la nostra ricerca di verità. Tuttavia, bisogna anche riconoscere che la crescente specializzazione e divisione della filosofia in diverse branche ha fatto sì che l’ambizione di risolvere certi quesiti venisse quasi completamente accantonata e affidata appunto ad altre discipline.
In ambito più strettamente filosofico, anche il pensatore americano Raymond Geuss ha parlato di morte della filosofia, intesa come disciplina in grado di giungere a una verità e una conoscenza assolute ed eternamente valide. A onor del vero, va detto che Geuss (riprendendo la tesi del suo amico e collega Richard Rorty) intende dire che la filosofia non sarà più in grado di svolgere il ruolo di fondazione del sapere, e che quindi si vedrà costretta ad abbandonare la sua tradizionale vocazione assolutista. Essa potrà quindi sopravvivere, o meglio rinascere, soltanto come “appendice” del sapere, strumento. Infine, il filosofo Lee McIntyre, nel suo ormai noto libro Post-Truth (pubblicato nel 2018), afferma che nell’era della post-verità “preferiamo [sempre di più] credere alle cose che si accordano alla nostra mentalità, ai nostri valori o pregiudizi, senza preoccuparci che siano fondate o no”. In pratica, oggi le ideologie sono più importanti della realtà e le opinioni personali contano più dei fatti scientifici: così facendo, secondo McIntyre, si subordina la verità alla politica e si aprono le porte a nuovi regimi autoritari.
Non c’è dubbio che questi intellettuali abbiano delle ottime ragioni per sostenere le loro tesi. È innegabilmente vero, cioè, che in alcuni casi la filosofia non si lascia permeare facilmente dal progresso scientifico; e allo stesso modo, è vero che spesso i dibattiti filosofici restano isolati dal mondo reale; infine, è sotto gli occhi di tutti il fatto che le fake news stiano avendo un effetto devastante in ambito sociale e politico, annichilendo la coscienza critica degli individui e favorendo l’ascesa di leader populisti . Negare questi fatti è impossibile, e nessun filosofo con un minimo di onestà intellettuale si sognerebbe mai di farlo. D’altro canto, però, non si può negare che queste stesse posizioni – e quella di McIntyre in particolare – si basino a loro volta su dei presupposti ideologici e dogmatici identici a quelli che vogliono condannare. La critica principale alle loro posizioni non sta nel fatto che essi mettano in luce problemi che effettivamente esistono, quanto piuttosto che la loro analisi non lasci spazio ad alcun tipo di riscatto, né per la filosofia, né per le cosiddette masse: la filosofia è morta e sepolta e le masse sono irrimediabilmente ignoranti. Nulla, nella visione degli autori, sembra poter cambiare queste circostanze, se non un “intervento dall’alto”.
In secondo luogo, il concetto stesso di post-verità porta con sé una dose di ambiguità: McIntyre, ad esempio, sembra dare per scontato che l’intreccio diabolico tra politica e distorsione della verità sia una novità tipica dei nostri tempi, e che in passato nessuno avrebbe mai osato negare fatti scientificamente dimostrati. È vero che egli intende fare riferimento soprattutto all’esplosione di questo fenomeno che si è verificata attraverso i social media, tuttavia la propaganda ha sempre sfruttato la distorsione della verità per ottenere consensi, già dai tempi di Giulio Cesare, passando per Mussolini, Churchill e Goebbels, il cui motto addirittura era “più grande la menzogna, più disposta è la gente a credervi”. La politica ha sempre interferito con la “scienza”, e la verità è sempre stata legata, più o meno strettamente, ai meccanismi di potere. Il prefisso temporale “post”, però lascia intendere un fenomeno inedito, ovvero che la verità, in passato considerata inscalfibile e indiscutibile, sia oggi stata effettivamente sgretolata su larga scala dalle fake news e da opinioni irragionevoli e soprattutto illegittime.
Infine, c’è un ultimo e fondamentale punto critico: tutte le posizioni descritte si basano su concetti alquanto ingenui e obsoleti di verità e filosofia, che a differenza di quanto si potrebbe pensare sono però piuttosto popolari e hanno un discreto impatto sull’opinione pubblica. La verità, infatti, non è un’entità soprannaturale che la filosofia deve scoprire e rivelare; al contrario, la verità è a tutti gli effetti un prodotto della filosofia, o meglio una sua creazione. Ciò, tuttavia, non significa che la filosofia inventi di sana pianta concetti astratti che chiama poi “verità”. Esistono infatti diversi modi in cui l’umanità durante la sua storia ha definito la moralità e l’immoralità, ciò che è giusto e ciò che non lo è, il vero dal falso. Questi concetti sono stati ridefiniti ogni volta a seconda delle diverse circostanze che caratterizzavano le varie epoche storiche. Si pensi ad esempio a come si sia evoluta la concezione della donna e del rapporto tra i sessi nel corso dei secoli. Ebbene, questi cambiamenti non sono astrazioni teoriche come magari si potrebbe essere portati a credere, ma sono influenzati e influenzano concretamente il nostro modo di comprendere il mondo, pensare e agire. Si tratta di modelli in continua trasformazione in base ai quali orientiamo la nostra esistenza, nel senso più pragmatico del termine, e senza i quali non avremmo alcun punto di riferimento. Questo, seppur con le dovute differenze, era il modo di filosofare proprio di figure come il filosofo francese Gilles Deleuze, secondo cui la filosofia non è altro che la creazione di concetti in funzione di problemi concreti.
La filosofia, quindi, secondo questa visione, oggi dovrebbe essere più che mai viva e necessaria. Si è già accennato al concetto di crisi, che è una delle costanti della nostra epoca. Nell’antica Grecia, il termine “crisi” era riferito alla sfera medica e veniva usato da Ippocrate per indicare il culmine della malattia di un paziente: ossia, la crisi era quel momento in cui le condizioni del paziente non potevano più restare stabili e in cui il cambiamento – in meglio o in peggio – era inevitabile. Dalla crisi, cioè, si usciva o completamente guariti o morti. Perciò, nel contesto politico-sociale odierno, dove lo stato di crisi coinvolge ogni aspetto della nostra esistenza, non si può prescindere dalla filosofia come metodo di “guarigione”, ossia come strumento di riscatto e di superamento di tale crisi. Del resto, è proprio perché tale stato di crisi non può durare ancora per molto che bisogna agire in tempi brevi e con determinazione.
Anzitutto per attuare concretamente questo riscatto bisogna ribadire il fondamentale valore pedagogico della filosofia. Le fake news, infatti, non si combattono “blastando la gente”, ma ristabilendo una volta per tutte una forma solida di senso critico tramite un’azione educativa collettiva. Il filosofo non è e non sarà mai colui che contempla in solitaria il cielo cercando di cogliere il senso della vita o di rispondere alle domande citate da Hawking; piuttosto, il filosofo è colui che è in grado di produrre e creare un bagaglio concettuale che permetta a tutti di affrontare in maniera più consapevole e critica i problemi del nostro tempo.
Di conseguenza, oggi la filosofia va intesa anche e soprattutto come strumento di resistenza, in grado di affrancare il popolo dall’egemonia dell’estrema destra. Fare filosofia non vuol certo dire pesare e valutare accuratamente le varie opinioni, per poi trovare un compromesso giusto ed equilibrato. Fare filosofia significa principalmente respingere il concetto di opinione come forma valida di conoscenza e negare alla radice quelle opinioni mendaci o che addirittura la storia ha già sconfessato. La vitalità e l’utilità della filosofia, dunque, è tutta qui: mostrare come le opinioni razziste, sessiste, omofobe e nazionaliste siano illegittime perché antistoriche, controproducenti e strumentali. È così che si attua una vera e propria forma di resistenza: con un patrimonio di concetti in grado di opporsi alla propaganda e alla retorica reazionaria, contrapponendo a essa una concreta visione del mondo in cui vengano ristabilite giustizia ed equità economica e sociale, facendo comprendere a tutti il perché.
In conclusione, questo deve fare oggi un filosofo: non esprimere le proprie opinioni sui massimi sistemi né ostentare la propria superiorità intellettuale in diretta tv, ma creare concetti in grado di formare una verità che serva a ribaltare l’ingannevole visione del mondo dell’estrema destra. In altre parole, la filosofia deve oggi guidare una vera e propria riforma della verità e della società, superando definitivamente le falsità del populismo reazionario. Per questo, vale ancora la pena ricordare le parole di Gramsci, secondo cui “arrivare insieme alla verità è un’azione rivoluzionaria”.