È l’estate del 1946, a Palermo. La Kalsa è il quartiere del porto, un labirinto di vicoli di architettura araba poveri e sporchi dove, scrive Karel Capek, ci sono palme di datteri, roseti, cespugli, una vegetazione ricca di fiori, l’aria sa di salsedine, mirto e rosmarino. C’è un continuo viavai di persone, merci, carretti, vecchi furgoni Fiat 1100 che portano posta, latte, giornali. L’oratorio della chiesa di Santa Teresa è a due passi dal mare, e ci si trovano bambini e adolescenti per giocare a calcetto o ping pong. Tra loro ci sono Giovanni Falcone, il chierichetto Paolo Borsellino, il litigioso Tommaso Buscetta e Tommaso Spadaro, il bullo della zona, che però con loro gioca volentieri. Sono cresciuti nello stesso quartiere, hanno corteggiato le stesse ragazze e dibattuto dei loro idoli; il preferito di Giovanni è Zorro, tanto che ancora gioca con la spada di legno e la maschera, incidendo la Z sulla carta da parati di casa. Paolo invece è un ragazzo eternamente distratto, che ascolta affascinato i racconti della campagna d’Africa di suo zio, Ciccio Lepanto.
Finite le medie, ognuno prende una strada diversa: Giovanni Falcone al liceo abbraccia la filosofia marxista e sviluppa un precoce pensiero critico; Paolo Borsellino, invece, diventa di destra, e frequenta i circoli dei veterani; Tommaso Buscetta a 16 anni si sposa, ruba generi alimentari e si merita il nomignolo di “don Masino” e poi scappa in Brasile, dove prova ad aprire una vetreria. Gli va male e torna in Italia, dove entra nelle fila della mafia sotto l’egida di Gaetano Badalamenti; nel 1958 lo arrestano per contrabbando di sigarette e associazione a delinquere. Giovanni Falcone intanto passa l’esame di maturità col massimo dei voti, inizia l’accademia militare a Livorno e dopo soli quattro mesi viene assegnato allo Stato Maggiore. Paolo Borsellino entra direttamente in facoltà di legge, dove milita nel Fuan (Fronte Universitario d’Azione Nazionale). Palermo è una città strana, ti opprime e ti soffoca quando ci vivi, ti manca come l’aria quando te ne vai: Giovanni Falcone dopo qualche mese, infatti, abbandona la vita militare e torna a casa, dove il padre lo iscrive alla stessa facoltà di Paolo, che tanto per cambiare ha la testa tra le nuvole e fa gli esami con calma. Giovanni si laurea prima di lui nel 1961 con 110 e lode. L’anno dopo, Paolo lo segue.
Nel 1962 scoppia la prima guerra di mafia. Tommaso è furbo, e pur schierandosi riesce a restare nell’ombra evitando di diventare un bersaglio. Quando c’è la strage di Ciaculli, è tra i sospettati; capisce che l’aria da guerriglia non fa per lui e scappa all’estero. Vede la Svizzera, il Messico, il Canada e apre a Brooklyn una pizzeria grazie ai soldi dei mafiosi italoamericani. Nel 1965, Giovanni Falcone è pretore a Lentini, ha sposato Rita Bonnici e ha visto il suo primo delitto di lupara bianca; una coppia uccisa a fucilate, i cui corpi vengono abbandonati in mezzo ai maiali che ne straziano i resti. Paolo Borsellino, invece, è diventato il più giovane magistrato d’Italia; lavora a Enna, si occupa di cause di lavoro. Tra i colleghi è famoso perché dimentica il caffè sul fuoco, lascia i rubinetti aperti e perde ombrelli con una media spaventosa, tanto che nel 1967 il presidente del tribunale Nello Sciacca, quando parte per andare a lavorare a Catania, nel suo discorso di congedo parlando di Borsellino scrive: “Cercate di spiegargli quante sigarette si possono impunemente fumare in un giorno, quanto pepe va sparso sulle pietanze e infine come non sia del tutto indispensabile, uscendo di casa, lasciare la luce accesa, la porta spalancata e tutti i rubinetti aperti […] Lo ricorderò sempre come un caro ragazzo dietro il quale correvo giù per le scale del tribunale gridando Paolo, accidenti a te, almeno l’ombrello.” Buscetta, negli Stati Uniti, viene arrestato dall’FBI; paga una cauzione di 40mila dollari e scappa in Brasile, dove mette su una massiccia esportazione di cocaina ed eroina verso gli USA e fonda una compagnia di taxi per pulire il denaro.
Giovanni Falcone viene trasferito a Trapani come sostituto procuratore. Gli arrivano le prime cartoline con disegni di bare e croci, finché dietro suggerimento del presidente del tribunale, Cristoforo Genna, passa all’ambito civile. A differenza di Borsellino, Falcone è un uomo solitario, poco avvezzo alle occasioni sociali, vivrebbe in un eremo. È sua moglie Rita a occuparsi di organizzare feste, cene, vacanze, gite in barca e fine settimana in spiaggia. Nel 1972, Tommaso Buscetta viene arrestato in Brasile ed estradato in Italia, a Palermo, nel carcere dell’Ucciardone, dove deve scontare dieci anni. È sempre a Palermo che nel 1975 si trasferisce Borsellino per la sua prima indagine sulla mafia. Intanto, a Trapani, nel 1978 la moglie di Falcone si innamora di Cristoforo Genna, collega di Falcone assai più carismatico, e lo tradisce. È un brutto colpo per Giovanni. Insieme si lasciano alle spalle Trapani e Genna per tornare a Palermo, dove Falcone si butta nel lavoro e cerca di riparare il matrimonio. Borsellino, intanto, è diventato un veterano; emette mandati di cattura a ripetizione, scopre i rapporti personali tra gli affiliati della mafia e traccia i primi tentacoli della piovra. Gira già sotto scorta. Buscetta, nel 1980, mentre lo trasferiscono al carcere delle Nuove riesce a evadere e a nascondersi a Palermo, sotto l’ala di Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo. I due cercano di arruolarlo per uccidere Riina, lui temporeggia e appena ne ha l’occasione scappa di nuovo in Brasile, un errore che gli costerà caro.
Falcone, intanto, capisce che il suo matrimonio non si aggiusterà. Lascia a Rita la casa e torna a vivere da sua madre, mentre una telefonata dall’alto a tarda sera gli fa piovere addosso uno dei processi più difficili della sua vita: il processo a Spatola, l’amico di Michele Sindona. Il giorno dopo, nell’ufficio di Falcone si presenta la sua prima scorta, una volante e tre agenti. Falcone capisce che si tratta di roba grossa, ma non si fa intimidire e si mette al lavoro. Sa che Sindona è il banchiere della mafia e che cura principalmente il lato economico, così chiede ai direttori delle banche di Palermo di fornirgli i movimenti di cambio valuta estera e i nominativi dei correntisti fin dal 1975; dopotutto, l’eroina viene comprata dagli Stati Uniti, che pagano in dollari. All’inizio i bancari tentennano, poi dopo qualche mese iniziano ad arrivare montagne di scatoloni coi documenti richiesti; Falcone li legge tutti, ricostruisce le transazioni degli imputati e incrociando i dati scopre che Joseph Bonamico e Sindona sono la stessa persona. Quando capisce l’enormità di quello che ha davanti, è incredulo. La mafia non è una combriccola di criminali: è un’organizzazione internazionale che muove miliardi, si avvale della manodopera di assassini e soprattutto fattura miliardi, anche con la droga. Lo stesso giorno, Falcone sente dei colpi di pistola sotto la finestra. Esce di corsa e trova il corpo di Gaetano Costa, procuratore capo di Palermo e suo collega, freddato da cinque colpi calibro 38 mentre compra il giornale. A Falcone danno avvertimenti mafiosi persino dal pubblico di Santoro, in diretta.
È il settembre del 1982, quando anche il generale Dalla Chiesa viene assassinato per strada. È stato Riina, che dopo Dalla Chiesa stermina la famiglia di Tommaso Buscetta; i due figli, poi suo fratello, suo cognato, quattro nipoti, per un totale di 11 persone, colpevoli semplicemente di essere suoi parenti. In Brasile, Buscetta è distrutto e rabbioso, ma impotente. Agli inizi del 1983 lo raggiungono Badalamenti e Inzerillo per convincerlo a schierarsi, ma vengono seguiti dalla polizia brasiliana che li tiene d’occhio da quando sono arrivati. Venti poliziotti circondano la casa e arrestano Buscetta, accusandolo di avere ucciso due ragazze durante una festa a Copacabana. Lui cerca di corromperli, ma senza successo: lo devono estradare. Lo stesso giorno, a Palermo, un’autobomba uccide Rocco Chinnici, il giudice che aveva dato una svolta epocale alle indagini antimafia, miglior amico di Paolo Borsellino e padre spirituale di Falcone; quell’autobomba decapita l’antimafia e sembra che tutto sia destinato a rimanere come prima, finché Buscetta arriva in carcere. All’inizio non risponde alle domande degli inquirenti, poi lo va a trovare Falcone, lo stesso ragazzo con cui, oltre quarant’anni prima, giocava a calcetto. Hanno lo stesso accento, vengono dallo stesso quartiere e anche se hanno scelto due strade diametralmente opposte sanno come rapportarsi. Dopo un’ora di chiacchiere di cui probabilmente non conosceremo mai il contenuto, Buscetta dice di avere finito le sigarette. Falcone gli lascia il suo pacchetto, lo saluta e se ne va. Sembra una stupidaggine, ma non lo è affatto. È un messaggio molto potente; se Falcone gli avesse dato una stecca, o dei pacchetti nuovi, l’avrebbe trattato da prigioniero e umiliato. Invece gli ha dato le sue, proprio come farebbe un amico. Il giorno dopo Buscetta parla. Racconta tutto ciò che sa, diventando il primo vero pentito di mafia grazie a cui per la prima volta viene nominata “Cosa nostra”, in un ingarbugliato percorso di indagini – spesso poco ortodosse – che culmineranno nel 1987 con il primo maxiprocesso e la condanna di oltre trecento persone, aprendo un’altra epoca di mafia, e di Stato.
La foto più famosa di Paolo e Giovanni, quella dove Falcone sussurra qualcosa nell’orecchio di Borsellino sorridente, è stata scattata nel 1992, a palazzo Trinacria, a Palermo, nel quartiere dove sono cresciuti.